1943: TERRORE SULLA CITTA’

Nel corso della Seconda guerra mondiale Napoli è stata una delle città italiane più martoriate dai bombardamenti anglo americani, principalmente perché è stata a lungo il porto principale verso la “quarta sponda” e lo snodo di tutte le rotte marittime verso la Libia. Tuttavia, i bombardamenti continuarono massicci anche dopo la sconfitta definitiva delle forze italo tedesche in Africa settentrionale e si protrassero ininterrottamente sino all’8 settembre del 1943, poco prima che venisse annunziato l’“armistizio”.

I primi aerei nemici che apparvero furono ricognitori inglesi che, non incutendo alcun timore, furono soprannominati dai napoletani “e fotografe”. La difesa della città venne affidata soprattutto ai cannoni delle navi da guerra che si alternavano nel porto, ai quali si affiancava l’azione della contraerea. Gli agenti dell’U.N.P.A. (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) ed i “capi palazzo” erano gli addetti al soccorso dei civili ed allo spegnimento degli incendi in abitazioni e rifugi, oltre a curare il rispetto da parte della popolazione delle misure relative all’oscuramento. Le autovetture circolavano con parafanghi bianchi e fanali azzurri. Nelle ore serali, con l’inizio dell’oscuramento, era ovviamente vietato accendere le luci.

Le prime bombe caddero il primo novembre del 1940 alle 4,20. Iniziarono così i bombardamenti notturni degli inglesi cui si affiancarono successivamente gli intensi e sempre diurni bombardamenti americani.

La cessazione delle trasmissioni radiofoniche era propedeutica al suono delle sirene che annunciavano il pericolo. Allora i rifugi si riempivano e la città si spopolava. Ma la vita proseguiva regolarmente ed in assenza del pericolo aereo si continuava a lavorare, funzionavano i ristoranti con quello che potevano offrire a causa del razionamento, i cinema erano aperti e si cercava di mantenere un’apparenza di normalità, anche per esorcizzare la paura.

Dal 1940 al 1942 i bombardamenti colpirono la città pesantemente, ma con una certa discontinuità.

Il 4 dicembre del 1942 fu il giorno della prima incursione aerea americana, violentissima ed improvvisa perché l’attacco non fu intercettato, se non tardivamente, dalla contraerea, forse perché i bombardieri americani raggiunsero Napoli accodandosi ad alcuni caccia tedeschi di ritorno alla base.

L’ultimo attacco del ’42 fu quello del 15 dicembre che distrusse, tra l’altro, l’ospedale Loreto, il Gasometro, i bacini della Navalmeccanica e l’incrociatore ausiliario Arborea.

Ma fu il 1943 l’anno peggiore per Napoli, perché sulla città già stremata furono effettuate un numero incredibile di incursioni aeree che portarono a ben 181 il numero dei bombardamenti subiti dall’inizio della guerra fino a quel fatidico 8 settembre, il giorno dell’armistizio.

Gli attacchi divennero, nel corso di quell’anno tragico, sempre più intensi e frequenti, fino alla terribile giornata del 4 di agosto, con la più massiccia incursione aerea subita dai napoletani: un evento dalle conseguenze davvero devastanti. Il ricordo di quel giorno è stato a lungo impresso nella memoria della popolazione e poi, con la progressiva scomparsa dei testimoni diretti, è stato sempre più affidato alla memorialistica, alla saggistica, all’indagine storica: ma non è la stessa cosa, perché nulla può farci comprendere l’orrore e la violenza terrificante di un bombardamento aereo sulle case, le strade, i quartieri di una città, quanto il racconto e la memoria di chi è stato testimone diretto degli eventi.

Quel giorno di agosto più di quattrocento “fortezze volanti “americane del Mediterranean Bomber Command sganciarono su Napoli un quantitativo enorme di bombe incendiarie, accanendosi volutamente anche contro il centro della città e devastandolo. La chiesa di Santa Chiara fu rasa al suolo insieme a tutto il quartiere circostante: un atto barbarico che anticipò quella che mesi dopo sarebbe stata la sorte dell’Abbazia di Montecassino. Le reti idriche e fognarie saltarono completamente, il sistema dei trasporti cittadino collassò, la rete di allarme antiaereo fu distrutta. I caccia di scorta ai bombardieri scesero poi a bassa quota, mitragliando la popolazione ed in particolare gli operai che scappavano dagli stabilimenti industriali presi di mira dalle bombe, per correre in cerca di un rifugio.

E le incursioni continuarono sistematicamente anche nei giorni successivi, sino all’ultimo bombardamento americano del giorno 8 di settembre, addirittura poco prima che alla radio fosse annunciato l’armistizio, già da tempo segretamente concordato.

Perché allora tanto accanimento ad accordi già conclusi tra il governo Badoglio e gli Alleati? La questione è ancora oggetto di discussioni e di interpretazioni controverse, ma l’ipotesi più probabile è che si decise volutamente di terrorizzare la popolazione sino alle ultime ore precedenti l’armistizio perché la paura e l’esasperazione furono cinicamente considerate l’arma migliore sulla quale far leva per sottolineare il peso e la forza dei vincitori e l’impossibilità, per l’Italia, anche di ipotizzare soltanto una qualunque forma di ritorno al passato.

Ottant’anni dopo, il 4 agosto di quest’anno, proprio nella bellissima basilica di Santa Chiara in Napoli, magnificamente ricostruita e riaperta al culto già dieci anni dopo la fine della guerra, è stato commemorato con un bellissimo concerto il terribile bombardamento del 1943.

La musica come strumento dello spirito, la musica per non dimenticare le sofferenze subite, la musica per far sì che la Memoria sia sempre la nostra arma migliore.

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali.

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