Immaginiamo per un attimo di essere stati assunti da una grandissima multinazionale, e che per iniziare un lavoro importante siamo stati affidati a due grandi manager che, più che istruirci e spiegarci come fare cosa, discorrono tra loro di noi senza mai darci del tu, parlando in terza persona, dicendo tutto quel che di sbagliato facciamo, portandoci da una parte all’altra senza mai fornirci uno straccio di programma, e che s’infuriano colpevolizzandosi a vicenda se non ci comportiamo in modo per loro adeguato. Spesso, per quanto sono impegnati, non ci guardano neanche negli occhi, ma rovistano per ore nei loro telefonini. Che terribile occupazione!
E se al posto del lavoro ci fosse la nostra vita? Se i due manager fossero i nostri genitori e il lavoratore principiante un bimbo di 3 o 4 anni che inizia a svolgere le sue prime attività e a testare le proprie competenze?

Succede non di rado che i bambini soffrano di depersonalizzazione.
Alcuni genitori, forse senza accorgersene, criticano i figli anche in loro presenza e davanti a fratellini e amichetti. È facile che tra di loro, alle prese con mille impegni quotidiani, si dicano: Allora, porta Pietro dalla nonna, fallo stare con i cuginetti, poi alle 17:00 lo vado a prendere e lo porto al calcetto…
Ma Pietro è lì, e spesso non gli viene nemmeno chiesto se ha voglia di seguire il programma, né può intervenire in quella perfetta organizzazione temporale che hanno preformato mamma e papà. Spesso l’unico modo che ha di far valere il proprio volere è far capricci e opporsi. D’altronde i capricci sono l’unico momento nel quale i suoi genitori si rivolgono a lui chiamandolo per nome, guardandolo negli occhi e… rimproverandolo! Solo in quel modo Pietro riesce ad avere il ruolo da protagonista di quell’organizzazione familiare.
La situazione descritta è certamente amplificata, ma i neogenitori, che fino all’anno e mezzo di vita del figlio hanno come unico compito accudire un neonato, a un certo punto si ritrovano a dover interloquire con un soggetto dialogante, rendendolo partecipe della giornata per capire anche la sua predisposizione interna. I bambini iniziano a formare i loro rapporti sociali basandosi su quelli genitoriali, e l’abbandono e il loro mancato riconoscimento come persone può portarli ad avere un comportamento insicuro e a non sentirsi capaci di sperimentare. Ecco perché, fin dai primi mesi di vita, vanno guardati negli occhi, dandogli sempre del tu, e spiegando loro a priori i progetti e gli impegni quotidiani. I bambini hanno veramente un gran senso di adattabilità, e riescono a modulare bene i cambiamenti della propria routine. Basta che li comprendano, e che questi non siano repentinamente sconvolti.

Raffaela Cerisoli, Psicologa e dottore di ricerca in Scienze della mente, A.O. dei Colli, Ospedale Monaldi