Alexandre Dumas a Napoli
Napoli, la città dell’allegria e de’ canti giocondi, in cui i volti sorridono come l’azzurro del firmamento così Alexandre Dumas padre ricorda la città partenopea nella sua Storia dei Borboni di Napoli, città nella quale, dopo una permanenza turistica di una quindicina di giorni nel 1835, trascorrerà alcuni anni della sua vita dal 1860 al 1864.
Dumas è stato senz’altro una forza della natura, un personaggio imponente (anche fisicamente) che ha attraversato il XIX secolo, che non si è limitato solo a creare famosi romanzi come I tre Moschettieri e Il Conte di Montecristo e circa altre 300 opere, ma è stato anche viaggiatore, scrittore di teatro, gastronomo.
In tale ultima veste è stato autore del Grande dizionario di cucina in cui ha raccolto circa tremila ricette internazionali e francesi (come l’oca ripiena alla D’Artagnan), nel quale sono indicate poche ricette di pasta italiana, tutte da fare al ragù con una grattata di formaggio di Lodi, un formaggio grana e propone pure una versione della zeppola senza crema e amarena.
Fra le sue ricette c’è quella della Torta di carote, che sarebbe stata creata da Rossini (il Maestro diceva di se stesso: sono un pianista di terza classe, ma il primo gastronomo dell’universo) e che invece Dumas fa apparire come una sua invenzione. Una torta fatta con purea di carote, crema pasticcera, canditi d’arancio o cannella, zucchero vanigliato, rossi d’uova e bianchi montati a neve.
Nel suo delizioso libro Il corricolo (un tipo di calessino sul quale ha girato per Napoli) è il primo scrittore a parlare della pizza, il cibo dei Lazzaroni: ...è una specie di stiacciata come se ne fanno a Saint Denis, è di forma rotonda e si lavora come il pane. Varia nel diametro secondo il prezzo… A prima vista la pizza sembra un cibo semplice: sottoposta a esame, apparirà come un cibo complicato. La pizza è all’olio, al lardo, alla sugna, al formaggio, al pomodoro, ai pesciolini.”

Se è così tanto popolare come creatore di romanzi storici, poco conosciuta è, invece, la sua attività di scrittore di racconti come l’adattamento della famosa fiaba del tedesco Hoffmann: Lo Schiaccianoci e il Principe dei topi. L’opera di questo autore è molto cruenta ed allora Dumas la trasforma, rendendola più leggera, quasi una favola, che pubblica in una raccolta Storia di uno Schiaccianoci, ed è questa la versione che il teatro di San Pietroburgo assegna a Tchaikovsky per musicare il celebre balletto.
È stato un viaggiatore instancabile e ha scritto delle sue impressioni in Svizzera, in Russia fino al Caucaso, in Spagna, nel Sinai e in Italia, dove è arrivato, per la prima volta nel 1835 in compagnia di un’attrice che diventerà sua moglie, di un pittore e di un cane. La fama di Dumas in Italia era stata preceduta dalla nomea di sovversivo, di rivoluzionario, per cui le Polizie erano in allarme.
Quando arrivò a Genova, un funzionario lo invitò ad andare via ed allora prima si recò in Toscana e poi a Roma (moltissimi avvenimenti del Conte di Montecristo si svolgono nella Città Eterna). Qui chiese al rappresentante del Regno delle Due Sicilie il lasciapassare per entrare nel Regno, ma gli venne negato: allora si procurò un passaporto falso e viaggiò sotto un altro nome, Guichard, e arrivò a Napoli, da dove scrisse una lettera, quasi di sfida, a quel diplomatico che gli aveva negato il visto.
Resosi conto dell’errore e avendo incontrato per la via anche un tale che lo conosceva e che certamente lo avrebbe denunziato all’Autorità, pensò di lasciare subito Napoli per raggiungere la Sicilia, noleggiando un peschereccio. Il personaggio è molto singolare e nelle sue Memorie dice di aver portato messaggi dei carbonari francesi ai confratelli siciliani e che questi gli avrebbero dato un piano per l’insurrezione per il fratello di Re Ferdinando II, che però non se la sentì di detronizzarlo. Non si sa mai quando Dumas dica la verità e moltissime descrizioni di ciò che ha visto sono ammantate dalla forza della sua fantasia e dalla esagerazione dei fatti.
Il Regno dei Borbone era mal visto da Dumas, anche per ragioni personali legate alle sofferenze di suo padre, il Generale Thomas Alexandre Davy de la Pailletterie (figlio di uno scapestrato Marchese e di una schiava nera di Haiti), che cambiò il suo cognome, a seguito di contrasti con il padre, assumendo quello della madre, detta genericamente femme du-mas ovvero la donna della masseria. Il Generale, un colosso mulatto alto quasi due metri, molto somigliante al personaggio di Porthos de I tre Moschettieri, aveva partecipato alla spedizione in Egitto di Napoleone, ma durante la Campagna litigò con lui e lasciò l’Egitto con alcuni compagni fra i quali il celebre geologo Dolomieu (scopritore del minerale che ha dato nome alle Dolomiti) su una nave che una tempesta spinse verso Taranto.

Pensava che la città fosse in mano ai Rivoluzionari che in quell’anno, il 1799, avevano costretto il Re a fuggire in Sicilia, ma purtroppo per lui, nel frattempo, Taranto era stata riconquistata dalle forze fedeli a Ferdinando IV, per cui fu catturato insieme ai compagni e messo in prigione nel castello in condizioni disumane e tale immagine avrebbe ispirato a Dumas la fortezza in cui fu rinchiuso Edmond Dantes, il Conte di Montecristo: il castello di If. Rimase due anni in prigione fra Taranto e Brindisi, lo torturarono e vi furono anche tentativi per avvelenarlo e quando fu rilasciato era molto malato: ne uscì storpio, sordo, mezzo cieco, malato dallo stomaco e morì quando il figlio Alexandre non aveva compiuto ancora 4 anni.
Dumas nel 1835, come detto prima, era fuggito da Napoli per andare in Sicilia, ma più tardi vi ritorna e va alloggiare all’Albergo Vittoria, di proprietà del signor Martino Zir, nell’omonima Piazza in un appartamento dal quale aprendo le finestre vede la Riviera di Chiaia, Capri, Posillipo, Santa Lucia.
Martino Zir era sì un albergatore, ma soprattutto amava le cose belle: possedeva quadri, collezionava cineserie, antichità varie ed era un uomo colto. Dumas, temendo di poter essere fermato dalla polizia da un momento all’altro, vuole visitare Napoli al più presto e chiede a Zir un mezzo comodo per girarla. L’albergatore gli suggerisce il Corricolo, un calessino con il quale potrà intrufolarsi per le strette vie della città. Lo scrittore gli chiede anche se gli può dare un libro da leggere su Napoli e Zir gli propone Napoli senza sole (scritto da un Gesuita ignorante), cioè come camminare per la città rimanendo di giorno sempre all’ombra, passeggiando in ogni momento e in qualsiasi ora senza essere toccati mai da un raggio di sole. Peccato, però, che questo libro non esista, è un fantasma: se ne parla però nessuno lo ha mai visto, ma Dumas con la solita vanteria dice di averlo avuto tra le mani.
Il Corricolo è un libro molto divertente dal quale fra falsi storici, aneddoti, lazzaroni, iettatori, Santi, emerge un quadro di analisi superficiale della città, ma molto gradevole per il lettore. Dumas visiterà anche i dintorni come i Campi Flegrei, Ercolano, Pompei e proprio riferendosi a Pompei racconta del lazzarone che accompagnò un inglese agli scavi, sottolineandone la vivacità dell’ingegno rispetto all’ingenuità del ricco britannico.
L’inglese parlava male del Re Borbone e il lazzarone lo avvisò che era pericoloso durante la visita offendere il Re, perché la guida li avrebbe denunciati e allora gli propose una guida sorda, che però costava: l’inglese pagò molto. Proseguendo il turista voleva fare dei disegni di ciò che vedeva: il lazzarone gli disse che era proibito, ma l’altro insisteva e allora il lazzarone replicò che bisognava licenziare la guida sorda e prenderne una cieca, che però costava ancora di più.
L’inglese pagò, pur di disegnare. Continuando il giro si trovarono in un locale pieno di reperti archeologici e l’inglese ne voleva prendere uno, ma non era possibile perché era un furto: il britannico insistette e il lazzarone gli propose di liquidare il cieco e di assumere una guida invalida con due gambe di legno, però costava tantissimo: per l’inglese non c’erano problemi e pagò il lazzarone che intascava i soldi.
Mentre l’inglese prendeva una statuina dalle mensole, il lazzarone stese, ad una certa altezza, una corda dinanzi alla porta della stanza: l’invalido si accorse del furto e cercò di inseguire i due che fuggivano con la statuina, ma non riuscì ad alzare le due gambe di legno per scavalcare la corda e quando superò l’ostacolo i due ormai erano sulla strada per Napoli.

Il libro sarà pubblicato nel 1842 e si ritiene che tante delle storie raccontate siano frutto di un suo collaboratore napoletano che viveva in Francia e che ben conosceva i fattarielli della città: Pier Angelo Fiorentino, uno di quelli che lavoravano per Dumas e che venivano chiamati les negres, i negri e che avrebbe anche preparato il Conte di Montecristo.
Les negres erano quelli che, per suo conto, scavavano nelle biblioteche per trovare storie attorno alle quali si potevano costruire romanzi: loro davano la traccia e poi Dumas con la sua incredibile fantasia la sviluppava e la perfezionava con il tocco della sua geniale abilità.
Lo scrittore sapeva di essere accusato di utilizzare il lavoro dei collaboratori e ne rideva pure. Un giorno incontrò un amico che lo rimproverò di ricorrere a les negres e Dumas rispose: Il romanzo dell’anno scorso lo ha scritto il mio cameriere, che per scriverne un altro chiedeva più soldi ed allora sono stato costretto a scriverlo io.
Dopo una quindicina di giorni dal suo arrivo a Napoli la polizia lo fermò: grazie all’intervento dell’Ambasciata francese non fu arrestato, ma espulso dal Regno e si diresse verso Roma dicendo, Sì mi ero preso di tenerezza, di simpatia e di pietà per questa terra straniera che Dio, nella sua gelosa predilezione ha colmato dei suoi benefici e delle sue ricchezze; per questa oziosa e indolente favorita la cui intera vita è una festa, la cui sola preoccupazione è la felicità, per questa ingrata e voluttuosa sirena che si addormenta al mormorio delle onde e si sveglia ai canti dell’usignuolo…
Non fu un addio, infatti nel 1860 vi tornò con i Mille di Garibaldi.

Aveva conosciuto l’Eroe dei Due Mondi a gennaio di quell’anno e in lui vide uno di quei personaggi dei suoi libri, un uomo coraggioso e avventuroso, che esprimeva idee repubblicane, per cui volle appoggiarne la causa, procurando armi per l’impresa garibaldina, assistendo anche alla battaglia di Calatafimi.
A Milazzo Garibaldi gli propose di fondare un giornale L’Indipendente che uscirà a Napoli l’11 ottobre 1860. Dumas finanzierà a spese sue il quotidiano, che, riflettendo il carattere sanguigno del suo direttore, denuncerà i mali del Meridione rendendosi inviso a tutte le parti politiche. Venduto a prezzo basso, L’Indipendente sottraeva lettori agli altri giornali, che mal sopportavano la presenza di uno straniero, che fra l’altro era stato nominato da Garibaldi anche Direttore onorario del Museo nazionale e degli scavi di Pompei. La sede del giornale si trovava a via Chiatamone nel Boschetto reale, che è stato abbattuto quando ad inizio del XX secolo si sono costruiti i palazzi sul Lungomare. Dumas abitava anche lui nella palazzina e quella stradina che scende dal Chiatamone a via Partenope oggi ha il suo nome.
A Napoli scrisse sul giornale la Storia dei Borboni di Napoli e quella di Luisa Sanfelice; scrisse sulla Camorra, sul Brigantaggio e pubblicò anche una guida su Napoli e i suoi Contorni. Lo accusarono di sfruttare i propri collaboratori, molti francesi, e lui che scriveva in francese aveva bisogno di traduttori, fra i quali si distinse il giornalista napoletano Eugenio Torelli Violler, che gli divenne molto amico. Dumas lasciò la direzione del giornale nel 1864 ed Eugenio Torelli Violler lo seguì a Parigi per poi andare a Milano dove nel 1876 fonderà Il Corriere della Sera!

Sergio Giaquinto, Giurista, già Dirigente Amministrativo dell’A.O. dei Colli, cultore di Storia e Archeologia