Allegria di naufragi: la Conoscenza al tempo del coronavirus.

E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare
di Giuseppe Ungaretti

Quando la scienza era nelle aule dell’Accademia non necessariamente era vera scienza; oggi che le informazioni sono in rete, il caos è emerso come in una cosmogonia greca, e necessita di metodi per essere compreso e dominato, perché in internet ci sono tante verità celate e disperse in un mare sterminato di fake. La caduta del muro accademico porta libertà ed incertezze in un campo pieno di insidie. La conoscenza e la dialettica al tempo del web richiedono una fitness robusta; ma oggi chi detiene la cassetta degli attrezzi e le armi per fare scienza nell’era dei social media? A quali fari dobbiamo fare affidamento perché i naufragi della scienza non diventino la tomba dei naufraghi?

La realtà è complessa; infinitamente complessa. Gli organismi viventi, per sopravvivere ed evolversi, hanno bisogno di strumenti utili ed affidabili per affrontare questa complessità del “reale”.

Qualsiasi cosa sia la “realtà”, essa è intuitivamente equiparata alla “verità” con cui diviene per molti  coestensiva.

Ecco allora che – nella storia del pensiero e della cultura umana -, sono nati, si sono selezionati e sono cresciuti strumenti per indagare la realtà e la verità; giungere alla comprensione della realtà e della verità equivaleva a possedere conoscenza.

Nel corso dei millenni – grazie alle capacità razionali, intellettive ed intuitive dell’uomo – si è selezionata una metodologia affidabile per conoscere, prevedere ed agire sulla realtà e sulle verità del mondo: il metodo scientifico.

Già grazie ai grandi filosofi greci antichi, erano state poste le basi fondamentali della logica e della dialettica (intese come forme di ragionamento “valide”, in cui la verità o probabilità delle conclusioni scaturisce ‘matematicamente’ dalle caratteristiche delle premesse e dalla applicazione di principi logici inferenziali ‘universali’); ma fu poi grazie a Galileo Galilei che la scienza moderna prese una direzione fortificata, ed infatti lo scienziato rinascimentale pisano aggiunse alla ricetta della validità del metodo di conoscenza un ingrediente indispensabile: la sperimentazione. Nacque così il metodo scientifico o metodo sperimentale, che richiedeva – in aggiunta al ragionamento condotto secondo le regole precise della logica e/o della dialettica ed in aggiunta all’osservazione curiosa dei fenomeni naturali -, anche la verifica empirica della teoria e la riproducibilità dei risultati di una teoria attraverso la replicazione di un fenomeno oggetto di ricerca e conoscenza. Secondo il metodo galileiano, le osservazioni empiriche fanno supporre una ipotesi, e se tali ipotesi sono dimostrabili attraverso un esperimento che le verifichi, allora e solo allora avremo una conoscenza scientificamente valida.

Il 5 dicembre 1926, Albert Einstein scrisse in una lettera indirizzata al premio Nobel per la fisica quantistica Max Born: <<nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato>>.

Tale enunciato ispirò uno dei più influenti filosofi della scienza del ‘900, Karl Popper, che mise in risalto come la conoscenza umana è naturalmente congetturale ed ipotetica, e come le cosiddette scienze oggettive non abbiano in sé alcunché di ‘assoluto’; secondo Popper, anziché poggiare su un solido strato di roccia, la scienza è <<come un edificio costruito su palafitte>>.

Nella filosofia scientifica, il principio di falsificabilità di Popper prese il posto del principio di verificazione. Iniziò l’era scientifica in cui finalmente si comprese che le teorie controllabili sono solo quelle che hanno in sé una possibilità di confutazione; si comprese grazie a Popper che «l’inconfutabilità di una teoria non è (come spesso si crede) un pregio, bensì un difetto>>. Cominciava a delinearsi una strada per separare la scienza dalla metafisica; eppure, questa strada – ancora oggi spesso poco compresa anche dagli stessi scienziati –  è una via difficile da percorrere: è la via di una scienza fondata su un modello interpretativo in cui il progresso delle conoscenze valide è basato sull’errore; ora la verità della scienza è quel territorio mal definito e mutevole che prende progressivamente forma in maniera sottrattiva: man mano che si commettono errori, questi si sottraggono al corpo della verità; il progresso scientifico avviene per progressivo riconoscimento ed eliminazione degli errori e non più per accumulo di certezze.

Si dice che esistano generalmente venti anni critici necessari per analizzare più o meno compiutamente nuovi fenomeni.

La civiltà contemporanea, come ci dice John Casti, teorico di sistemi complessi e esperto di Eventi X (fenomeni rari e sorprendenti che mettono a rischio la nostra vita quotidiana e la nostra civiltà), poggia su pilastri precari come un fragile castello di carte; abbiamo un assoluto bisogno di rendere gestibile la complessità di sistemi potenzialmente catastrofici a cui l’uomo ha consentito l’accesso nella storia del mondo.

Fanno parte di questi sistemi, ad esempio, sia la rete internet con la nuova concezione di conoscenza che si porta dietro nel mare sterminato di informazioni disponibili, sia l’ingegneria genetica e i nuovi virus, che si portano dietro sia rischi pandemici che nuove armi terapeutiche.

Cosa dire, allora, di un fenomeno che come un sovrasistema, interessa entrambi questi summenzionati sistemi?

Cosa dire, cioè, della pandemia da nuovo coronavirus al tempo dei social media?

Da un lato la possibilità di sviluppare in tempi record uno o più vaccini – unica potenziale barriera alla diffusione di un virus che ha di fatto stravolto tutte le comunità umane – immessi nell’uso terapeutico senza rispettare i tempi di sperimentazione a cui eravamo abituati; dall’altro una democratica e sterminata presa di posizione social di credenze (per lo più non supportate da valide argomentazioni logiche né dialettiche né sperimentali) da parte di chiunque abbia avuto voglia di esternare il proprio pensiero anche senza alcuna competenza in merito (perché, come ci dice David Weinberger, entrare in una stanza colma di intelligenza, quale può essere la rete web, non significa diventare automaticamente intelligenti né competenti).

Da un lato una comunità scientifica che fuori dal protetto muro accademico ha spesso smarrito il timone e la rotta, dall’altro la necessità di trovare un nuovo vascello e una nuova rotta che come una rinnovata arca ci tenga insieme tutti e ci conduca nel mare dell’incertezza con una visione sicura che rinnovi la propria fede in una scienza nuova e antica e che sappia guardare al mare della complessità e dei big data con l’occhio esperto di chi vede un faro di luce in small data ancora sconosciuti ai più.

Beniamino Casale, responsabile IPAS Terapie Molecolari e Immunologiche in Oncologia – AO dei Colli – Ospedale Monaldi.

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