Ancora violenza…

Perché? Questa è la domanda che ancora, ieri sera, mi son fatta mentre assistevo inerme all’ennesima violenza su una donna. Ferma nel traffico della mia città, nell’auto che mi precedeva si stava consumando un brutale atto di violenza contro una donna. I colpi e gli scossoni erano così forti da far muovere l’auto da ferma, come fosse un terremoto.

Perché? Perché non apre lo sportello, perché non scappa?

Ho provato sgomento, paura, rabbia, tristezza. La mente non è riuscita a consolarmi, consapevole che oggi come ieri, e come ancora domani, la strada da percorrere contro la violenza alle donne è lunga e di difficile risoluzione.

Le violenze di coppia si consumano in privato, non lasciano segni evidenti sul corpo, ma feriscono profondamente l’anima, la personalità e la dignità, rendendo la vita impossibile. Iniziano appena chiuso l’uscio di casa, in auto, in ascensore, quando meno è pensabile che possano accadere. L’inferno si scatena laddove ognuno dovrebbe godere di maggior sicurezza.

Nella mente di una donna che subisce violenza, l’inferno non ha inizio né fine. Ogni gesto, ogni parola, si accompagnano a paura, solitudine, incomprensione e a un’unica certezza: nessuno può capire, nessuno può far nulla.

Le storie che raccontano di donne che hanno subito violenza fino alla morte si ripetono ormai da anni, da secoli, e tutte c’impongono una domanda: perché?

Cosa induce una donna a convivere con la violenza, cosa porta gli uomini a non ribellarsi a una cultura che li riscopre branco, che li vede fallodipendenti?

Intanto molte donne si allenano come in palestra, fanno pratica di esercizi di resistenza al dolore.

Altre domande s’impongono. A cosa servono le donne? Sono davvero convinte delle battaglie e della forza esibita in pubblico? Perché molte figlie di quelle donne che si sono battute per la pari dignità, quelle dei cortei dell’8 marzo, che proclamano il diritto alla libertà d’espressione, ancora subiscono in silenzio violenze e maltrattamenti?

Le vecchie indagini psicosociali parlavano di motivazioni legate all’indipendenza economica, alla rigida osservanza di dogmi ideologico-religiosi, ma numerosi studi attuali hanno evidenziato che il 96% delle violenze è taciuto. Questi dati confermano un fatto forse poco noto: le donne stanno imparando a convivere con una mentalità violenta sempre più dilagante, quasi come fosse il prezzo da pagare per la libertà acquisita, il costo per aver conquistato gli studi, per essere diventate poliziotte, capi area, direttori, scienziate, astronaute.

Oggi le donne sembrerebbero aver ottenuto tutto: lavoro, autonomia, indipendenza economica, capacità di giudizio, preparazione e cultura, eppure uno schiaffo è normale, non fa nulla.

Solo negli anni Ottanta veniva abolito il delitto d’onore quale legittimazione di un’offesa da lavare con il sangue, ma è davvero scomparso anche dalla psicologia del maschile e del femminile?

La violenza è rivalsa, vendetta, assenza di strumenti culturali e psicologici in grado di supportare la mentalità del rispetto per l’altro. Come se gli ormoni incitassero al possesso fisico e psicologico, unico modo per risultare vincenti. Chi riceve un rifiuto da una donna invece è solo un perdente. Quel 96% di donne che nasconde, che subisce in silenzio, ha una grande colpa: aver detto di no. Sono donne che denunciano, che mandano in galera, ma che poi tornano sui loro passi …tanto gli uomini sono tutti uguali, è la loro natura. Intanto quelle stesse donne accompagnano le figlie alle selezioni per diventare Veline, regalano loro il denaro per rifarsi il seno a diciott’anni e vanno a votare portando il cognome del marito sui documenti, perché …tanto è normale, è sempre stato così in ogni parte del mondo, e questo cosa vuol dire?

Giuseppina Savorra, psicologa-psicoterapeuta APSIS, trainer P.S.P – Pronto Soccorso Psicologico Croce Rossa Italiana 

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