Anno nuovo: tra calendari e pensieri

Anche oggi, di buon mattino, come a ogni primo dell’anno, ho adempiuto a una sorta di rito quasi scaramantico, senz’altro ripetitivo e puntuale sin dagli anni dell’infanzia: la sostituzione dei vecchi calendari esposti in casa con quelli dell’anno appena entrato.

Ma questa volta la mano è stata un po’ incerta, e una sorta di pensierosa perplessità si è fatta strada nel mio cuore: come sarà davvero quest’anno, dopo quello che abbiamo appena lasciato alle nostre spalle? Chi può azzardare delle previsioni?

Dai meandri della mente sono affiorate le parole dell’incipit di un memorabile passo tratto dalle bellissime Operette Morali del grande Giacomo Leopardi, Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, laddove per passeggere s’intenda viandante, passante, uno di noi insomma.

Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?

Passeggere: Almanacchi per l’anno nuovo?

Venditore: Sì, signore.

Passeggere: Credete che sarà felice quest’anno nuovo?

Venditore: Oh illustrissimo, sì, certo.

A qualche studioso di chiara fama questo brevissimo dialogo, di un paio di pagine soltanto, è parso il meglio ispirato tra quelli leopardiani, focalizzato sulla possibile ma assolutamente incerta felicità del domani. Un passante si sofferma a parlare con un uomo intento a vendere per strada i calendari per l’anno nuovo. Il passante è un uomo colto e pensoso, esperto delle miserie e delle vicende della vita, che nel dialogo si accosta ai ragionamenti e alla mentalità del venditore e con lui discorre piacevolmente dell’anno nuovo e del desiderio che ognuno di noi ha (o potrebbe avere) di tornare indietro con gli anni, a patto però di poter trascorrere in tutto o in parte una nuova esistenza e non ripercorrere per intero quella già vissuta.

Il pensiero del Leopardi è dunque anche qui quello doloroso e pessimistico che lo caratterizza. Se nessuno vuole replicare totalmente i propri anni passati, è segno che la somma dei mali è stata per tutti, nella parte di vita trascorsa, superiore a quella delle cose e dei momenti belli. Se il futuro ci appare ancora desiderabile è solo per una vana illusione, che la ragione può dissolvere facilmente.

Diversissimi sono il tono e lo stile di questo dialogo. Il viandante accenna con estrema discrezione ai motivi dolorosi, li lascia piuttosto indovinare, preannunciando ogni suo detto con accenno bonario, con quell’ironia blanda e ovattata propria di chi conosce, di chi sa come stanno le cose, ma non vuole dissipare l’illusione né spegnere quel senso vitale, quell’attesa che ci spinge ad andare avanti negli anni e che racchiude il senso stesso della vita. Lo stile del dialogo cerca l’armonia con lo spirito del testo, pur nella diversità di fondo, ed è senz’altro tra i più lievi di tutta l’opera poetica e filosofica di Leopardi. Le pagine del componimento sembrano essere tutte parte di uno spartito musicale, dove si alternano ritmi che vanno dal vivace al prestissimo con qualche venatura di lento e di grave. Da qui la semplicità e l’intonazione popolare e piacevole del testo.

Insomma, il pessimismo leopardiano indulge nel velo delle illusioni, che sopravvive nell’ironia e nell’arrendevolezza delle nostre speranze, senza le quali effettivamente non avrebbe più senso vivere.

Dice il viandante: Coll’anno nuovo il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri e si principierà la vita felice. Non è vero?

Anche il venditore a un certo punto comprende, e pian piano l’ombra del dubbio s’insinua in lui, mitigando l’iniziale entusiasmo nei confronti dell’anno che è alle porte. Al passeggere risponde con un semplice Speriamo, e pare quasi di sentirgli pronunciare quelle parole a mezza voce, con diminuita convinzione, e senza aggiungere altro.

E allora, cari amici, che dire dopo questo breve excursus tra le pagine del nostro grande Poeta?

Io certezze non sento di averne, nei confronti di questo anno nuovo che è entrato più o meno sommesso, ereditando un patrimonio infelice. Per carattere ed equazione personale mi sentirei di dire anch’io Speriamo! ma con un tono più marcato di quello del povero venditore di almanacchi. Vi comunico quindi che, superando gli iniziali attimi di perplessità, ho proceduto ad affiggere i nuovi calendari in casa. In fondo, spes ultima dea, e ricordiamo sempre che più buio che a mezzanotte non viene!

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali

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