“Hic manebimus optime”
(Qui resteremo benissimo)
Tito Livio racconta che, dopo la distruzione di Roma ad opera dei Galli (390 a.C. circa), il Senato discuteva sull’opportunità di ricostruire la città sulle macerie o di trasferirsi a Veio: la decisione definitiva fu presa in seguito ad una curiosa coincidenza che i senatori accolsero come un presagio. Improvvisamente, infatti, si sentì un centurione ordinare : “Signifer, statue signum : hic manebimus optime!” (“ vessillifero, pianta l’insegna! Qui rimarremo benissimo!”).
Questa frase è ora assurta agli onori della notorietà ed è comunemente usata ad indicare la fermezza nella decisione di non spostarsi , di mantenere la posizione : la sua fama è in parte dovuta al fatto che fu ripresa da Quintino Sella a proposito di Roma capitale del Regno d’Italia, ma soprattutto all’utilizzo che ne fece Gabriele D’Annunzio nel corso dell’impresa fiumana e delle notissime vicende che fecero della città di Fiume , nei tredici mesi in cui durò la sua riconquistata libertà ad opera dei volontari italiani guidati dal Poeta Soldato, un interessantissimo grande laboratorio di sperimentazione ed innovazione politica, economica e sociale al quale guardarono con interesse e partecipazione tutte le avanguardie “rivoluzionarie” europee di quel tormentato, convulso periodo storico.
Di D’Annunzio a capo della Reggenza Fiumana è appunto la traduzione “Qui molto bene resteremo” e la frase si trova sia su un francobollo disegnato dal Marussig con l’effige del poeta, sia su una medaglia coniata appunto a commemorazione dell’impresa di Fiume.
Con lo stesso significato è poi talora citata la frase “J’y suis et j’y reste” con cui nel 1855, durante la guerra di Crimea, il generale francese Patrice Mac-Mahon avrebbe risposto ad un ufficiale inglese che l’avvertiva che i Russi si apprestavano a far saltare la torre Malachov, da lui occupata.
Ma venendo a noi, a questo nostro terribile e caotico momento attuale, caratterizzato dalla presenza del virus pandemico declinato in tutte le sue possibili manifestazioni da un insieme di tragiche luttuose realtà che si mescolano a narrazioni molteplici, spesso surreali , sicuramente logoranti …… a noi cittadini, dunque, che cosa resta possibile fare per “mantenere la posizione” e non rischiare di essere travolti ? Che cosa possiamo fare per reggere situazioni più forti di noi che rischiano di travolgerci e di creare danni irreparabili e permanenti all’interno di noi stessi e del disgregato tessuto sociale in cui viviamo? Beh… l’unica cosa forse è sforzarci di esser estremamente realistici, di un realismo magico e disincantato insieme, che ci aiuti ad essere davvero resilienti come il giunco che si piega ma non si spezza . Dobbiamo cercare di fare appello alla nostra responsabilità ed ai nostri diritti di cittadini che piantano l’insegna, per affermare che vogliamo esserci, vogliamo essere ascoltati, vogliamo vivere e non sopravvivere fatalisticamente. Dobbiamo sforzarci di mettere in campo tutte le nostre risorse interiori e tutta la nostra dignità per guardare il pericolo in faccia, sia esso un virus sconosciuto e subdolo, sia esso uno storytelling calatoci dall’alto ed altrettanto subdolo perché ipocritamente persuasivo , e piantare quell’insegna come fece lo sconosciuto legionario, il cui gesto semplice ci è stato tramandato da Livio. Quell’insegna è la nostra etica di Cives, di Cittadini e, come la spada nella roccia della leggenda, essa si piega…. ma non si spezza perchè “hic manebimus optime” ora vale anche per noi tutti ed oggi è questo il nostro perimetro di coraggio.

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali