Il dolore si differenzia molto chiaramente dagli altri sistemi sensoriali poiché nell’elaborazione di una percezione identificata come dolorosa, la sensazione, l’emozione e la cognizione sono strettamente legate (Le Bars e Willer 2004).
Capita spesso che quando si prova dolore, ancora di più in caso di dolore persistente, si abbia un umore depresso e un senso di nervosismo. Questo è un punto fondamentale perché pone l’attenzione su quanto la percezione del dolore sia influenzata dalla nostra interpretazione e valutazione della realtà.
I sintomi psicologici maggiormente associati al dolore sono l’ansia, la depressione e la rabbia. Emozioni che possono trovarsi anche concomitanti nei pazienti che soffrono di dolore cronico, come è noto da decenni in letteratura (Okifuji e colleghi, 1999). L’ansia che anticipa la paura del dolore porta la persona a vivere uno stato di allerta costante spesso non funzionale allo stesso e alla vita quotidiana.L’ansia patologica può esacerbare il dolore e la persona che soffre di dolore cronico tende ad evitare situazioni e luoghi. Questo comportamento può portarlo ad estraniarsi dalle relazioni fino a vivere un ritiro sociale.
La depressione è il sintomo maggiormente espresso dalle persone che vivono una condizione di dolore cronico, è associata al rimuginio di pensieri per la fragilità del corpo, il fallimento delle cure, la sensazione di inutilità e la morte. Questi pensieri possono diventare persistenti e compulsivi, assorbono la persona per la maggior parte della giornata, tendono a demotivarlo fino a immobilizzarlo. Un’altra emozione presente nelle situazioni dolorose è la rabbia che viene espressa nei confronti della vita e dei cari o verso sé stessi perché è un’emozione socialmente indesiderabile.
Dopo aver fatto un’analisi differenziale del quesito diagnostico, fondamentale è capire come la persona sofferente si approccia alla sua situazione; la psicoterapia è fondamentale per lavorare sulla percezione del dolore, poiché esistono costrutti cognitivi e affettivi patologici che vanno estinti quando sono associati alla situazione dolorosa in maniera disfunzionale come la tendenza a catastrofizzare di cui hanno parlato Vlaeyen e Linton nel 2000. Secondo molti autori, questa tendenza si alimenta con la paura del dolore che crea un vero è proprio circolo vizioso, anticipando il vero sintomo doloroso, estremizzandolo e mantenendo costante pensieri depressi e i vissuti disfunzionali catastrofici.

Il dolore è anche l’esperienza soggettiva più ineffabile per l’essere umano. Per quanto questo può essere espresso non sempre è elaborato, il dolore irrisolto è alla base delle psicopatologie più frequenti. L’evitamento del dolore, il mancato riconoscimento, il rimuginio delle situazioni dolorose con il mancato superamento delle situazioni può portare una persona a vivere l’intera vita o a scappare dal dolore o a viverlo anche quando questo non è reale. Lo psicoterapeuta potrebbe essere visto come il tramite tra l’ammalato di dolore cronico e il clinico per migliorare la qualità di vita del paziente e l’aderenza alle cure.

Raffaela Cerisoli, Psicologa e dottore di ricerca in Scienze della mente, A.O. dei Colli, Ospedale Monaldi.