L’utilizzo della cannabis terapeutica è sempre più in voga per il trattamento del dolore cronico. Abbiamo chiesto a Livio Luongo, professore associato di farmacologia all’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, Responsabile Scientifico della sessione sui fitocannabinoidi, lo stato dell’arte, vantaggi e criticità.
Lei si occupa di cannabis terapeutica da diversi anni. Come si presenta oggi il mondo della cannabis terapeutica?
La situazione è abbastanza complessa; io sono un farmacologo e non un medico, e questo fa capire la multidisciplinarietà della materia. Abbiamo fatto molta strada nel corso del tempo, e siamo tornati sulla cannabis. Non parliamo di farmaci classici, come il paracetamolo, ma di galenico, di piante, di come sono efficaci nel trattamento di alcune forme del dolore; non abbiamo dosaggi ma parliamo di titolazioni. Non bisogna considerare questa pianta una panacea, errore che spesso viene fatto, ha un ruolo ben preciso, alcune molecole sono state licenziate per specifiche patologie.
Per la sua esperienza quali sono le patologie in cui la cannabis è efficace e usata?
Le forme di dolore neuropatico refrattarie ad altri farmaci, nel dolore da spasticità, come ad esempio la sclerosi multipla, in patologie come la fibromialgia, AIDS, malattie intestinali, e ancora al coma farmaco-resistente; è un farmaco che produce appetito, per cui può essere usato per pazienti anoressici; in soggetti immunodepressi, in cachessia, chemioterapia, è un ottimo antiemetico coadiuvante nella malattia oncologica; è anche utilizzato in quei movimenti involontari incontrollati, nel Parkinson, e poi una molecola, il cannabidiolo, è specificamente licenziata per l’epilessia
Quanto incide il dosaggio nella giusta terapia per il paziente?
E’ fondamentale, si ritorna alla vecchia figura del medico. Si parte con un dosaggio basso e poi si modula, fino a trovare la giusta quantità di galenico che genera nel paziente il beneficio del dolore.
In Italia, a parte i regolamenti nazionali, abbiamo anche quelli regionali. Più volte i media hanno denunciato difficoltà di accesso alla cannabis in diverse regioni. Cosa ci dice in merito, per la sua esperienza?
Il sistema italiano è ancora macchinoso. La legge nazionale va implementata; esistono diverse leggi regionali per le patologie di cui abbiamo parlato; il problema in realtà è l’approvvigionamento. Abbiamo diverse varietà di cannabis che importiamo dal Canada e dall’Olanda, e altre varietà prodotte dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, che è l’unico che può produrre cannabis a scopo terapeutico. Tuttavia, le diverse forme, e qui intendo le diverse varietà di cannabis, contengono diverse quantità di principi attivi; generalmente la titolazione viene fatta solo per il THC e il CBD, per cui ci sono varietà che contengono un’alta percentuale di THC e una bassa di CBD, tipo 23% e 1%, che vengono utilizzate per finalità sedative, per il dolore; ce ne sono altre che hanno una simile percentuale di THC e CBD, che si possono usare per trattare quelle comorbidità associate al dolore, quali l’ansia, e altre forme infine che contengono scarse quantità di THC e maggiori di CBD che sono usate come miorilassanti per il trattamento di epilessia, anche se per questa patologia abbiamo un vero e proprio farmaco licenziato dalla FDA e dall’EMA, a dimostrazione che per alcune malattie la cannabis è un prodotto efficace e di riferimento.
Per quel che riguarda il problema dei quantitativi disponibili, lei cosa si aspetta in futuro, la coltiveremo e produrremo senza importarla?
E’ un futuro auspicabile. Io auspico che ci sia una standardizzazione della cannabis. Da farmacologo, sapendo che nella pianta ci sono 146 circa tipi diversi, mi auguro che ci sia una mappa di ogni qualità di cannabis da utilizzare al meglio per ogni specifica patologia.
Nel trattamento della fibromialgia, come funziona la cannabis?
Gli studi clinici dicono che la fibromialgia è un po’ il paradosso della medicina; e lo dico anche io da farmacologo, perché ho lavorato su modelli animali; è una patologia un po’ complessa, con una grossa componente psicologica. Perché funziona? Perché il cannabinoide distanzia il paziente dall’attesa del dolore, per cui non agisce molto sulle vie antalgiche come fanno gli oppioidi, siamo su due pianeti diversi, sebbene l’espressione dei recettori stimolati sia molto simile. Distanziando il dolore, per i pazienti con dolore cronico, neuropatico, l’attesa del momento del dolore in particolari momenti della giornata, li porta in una fase di depressione, agisce sull’umore, per cui la cannabis sembra essere il trattamento ottimale per le caratteristiche descritte prima.
C.N.