Carnevale poco grasso. Mascherine tante, ancora tante. Qualcuno è vestito da paziente qualcuno da operatore sanitario.
A questo giro la mia compagna di stanza è Valentina, figlia romana di madre tedesca. Abbiamo già un argomento di cui parlare. Ma il nostro alfabeto ha preso le mosse dal qui ed ora italiani.
Tu perché sei qui?.
Abbiamo 26 lettere a disposizione da usare e quando sei in ospedale le articoli sempre nella stessa maniera. Le domande sono sempre le solite e le lettere come le pazienti si ritrovano nelle stesse stanze ad amalgamarsi in parole, in storie e vite inattese da raccontarsi nelle ore di attesa…
Valentina stavolta è mia coetanea. Abbiamo tante cose da raccontarci mentre condividiamo intimità e parole come ohi, ahi, ah.
Ma poi si scherza anche. Alla nostra età, fragili siamo noi non le bambole e giocare e prendersi in giro è importante come da bambini. Persino di più se sei costretta al letto e il gioco è un Risiko su cartelle.
Mi sono ricordata che le degenze sono una gran rottura di palle.
Anche gli interventi.
Anche i pre-interventi.
E pure i post-intervento.
Un’altra tappa da aggiungere al percorso. Matematiche semplici fatte di addizioni di periodi relativamente piccoli che però sommati diventano numeri grandi e sottraggono tanto in un anno e in una vita. Ma a questa stessa vita aggiungono qualcosa che è incommensurabile: salute e speranze. E quindi zitto e mosca.
Ed io e Valentina questa cosa la sappiamo e parliamo questo linguaggio comune fatto anche di silenzi. A volte non serve nemmeno usarle quelle 26 lettere d’alfabeto.
L’attesa della data, l’attesa dell’anestesia, l’attesa dell’intervento, dell’esito. L’attesa e la voglia di casa o quella brutta e strana voglia di niente. Ad una certa come direbbe Valentina, cominci ad essere stanca e il riscontrarti esperta di procedure e protocolli ospedalieri ti fa sentire comunque tremendamente impreparata.
Piccoli corti circuiti che però, quando durano non ore e non solo giorni, rischiano il black-out. Ops, il correttore automatico, mi scrive black outfit. Evidentemente nel mio archivio di parole conservo ancora fresco quel piglio di vanità che va oltre la sopravvivenza alla degenza. E – calze autoreggenti bruttissime e scomodissime in dotazione a parte – io la mise me la sono creata con un bel paio di pantofole di velluto glitterate d’oro, pigiama a cuori bianchi su sfondo nero. Perché i cuori e il nero stanno bene su tutto e in tutte le occasioni.

Valentina ha delle pattine da stanza e con tutti, quando passeggiamo nel corridoio, ne parliamo e sorridiamo. È bello sorridere nei corridoi. Lorella però non si può alzare dal letto e lei non lo sa. Dalla sua camera si lamenta smaniosa. Con lei la chemio è stata più severa. Non ha capelli e non ha pazienza. Non glia ffó, non glia ffó continua a dire. Le parole di conforto sono importanti ma non sempre sufficienti. Nemmeno le carezze sul viso forse. Però ad un certo punto il suo sguardo si è distratto sul nostro. Forse le carezze servono.
A volte si desidera essere colti da una sindrome da annichilimento salvifico… Ma la mente sveglia… suona allarmi.
Ed a proposito di orari: sono già le 18! Il carrello della cena è pronto ad elargire piatti inodori e insapori. Da non credere, ho l’acquolina. Vi giuro che anche queste pause sono momenti belli… quando non mangi da due giorni. È un Carnevale diversamente grasso. Chiacchiere e sanguinaccio.
Io, Minny, che adoro aperitivi e cene iperglicemici e otturacoronarie, sono felice di scoprire il menù plastico al letto servito alle 18.
Le nostre lasagne qui sono preparate di strati di fede e fiducia, che si alternano a una volontà di stordimento, a una gratinata di torpore da cui risvegliarsi…con un viso rassicurante sotto una mascherina che ti dica che ok è carnevale ma non era uno scherzo… ma che abbiamo finito, l’Intervento è riuscito.
Finito… Beh. È un parolone. Il pacchetto soggiorno – coniglio liofilizzato in crema di semolino compresi – prevede collaborazione e sveglie notturne di tante dolci cenerentole travestite da pazienti e infermieri che a mezzanotte, con magie chimiche ti riportano in ballo…
In verità tu -ancora intorpidito (rincoglionito) d’anestesia e dolori ti chiedi ma dove sono?
E cerchi una zuccacarrozza per fuggire via. Te lo ricordano le luci accese del corridoio dove sei e…in chi sei stato trasformato. Ti ricordi tutto. L’anestesia non fa dimenticare. E ti viene subito in mente pure il coniglio liofilizzato che hai divorato famelico, come un predatore… E in quel momento realizzi che infatti tutto sommato sei stato bravo e devi dirtelo e così sputi un guizzo di fierezza e ti senti stranamente un leone. In carne e ossa. E paura. E stanchezza. Ma comunque un leone che vuole ruggire parolacce e spaventare la paura.
Anche questa è andata. Sta andando. Lavori in corso nella jungla.
Dovrei gioire perché un altro passo inutile per l’umanità ma grande per questa donna è stato fatto. E quindi sì, appena smetto di sbuffare inizio a gioire…
Valentina. l’altro giorno mi ha chiesto se io racconto sui social le mie cose. Sì, le ho detto. Racconto non proprio tutto, ma comunque bello e brutto. Quando ci facciamo i selfie, quando fotografiamo luoghi, familiari, piatti, traguardi, paesaggi ci raccontiamo. E quindi perché nasconderci quando combattiamo? E anzi io il selfie me lo faccio lo stesso!
Anche se sbuffo.

Erminia Casale, avvocato e docente di diritto