Ma c’è un universo solo
Che unisce il cielo e il mare
E stanotte io voglio solo respirare
Con l’acqua fino al collo
E gli occhi dritti al cielo
Io stanotte voglio stare un po’ leggero (Il mondo si divide, di Brunori Sas)
«Esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste […] una leggerezza della frivolezza: anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca»
(Italo Calvino)
«Come sei pesante» ti dicono talvolta;
«Sei troppo leggero» ti dicono talaltra.
La coppia di contrari leggerezza:pesantezza è una delle metafore più fortunate, profonde e utilizzate per descrivere l’approccio di ciascuno di noi alla nostra vita, al giudizio di quella degli altri, e al senso dell’intera esistenza universale.
In questa vita che ci è data, i valori e gli obiettivi terreni e metafisici che ognuno di noi persegue dettano – in un’intricata danza tra genetica e ambiente -, i colori di un mood esistenziale in cui “leggerezza” e “pesantezza” contribuiscono a dipingere, facendo da sfondo, l’avventura della nostra anima, la nostra personale equazione esistenziale.
Sulla pregnanza di uno dei due termini di quella coppia, creiamo nella nostra vita un pantone singolare su cui vanno a prendere posto e figura: l’attitudine, l’inclinazione e la vocazione di ognuno di noi.
Ed è così, che ciascuno di noi sente naturale dentro di sé, il valore positivo della leggerezza piuttosto che della pesantezza, o viceversa. O no?

Quando la vita ti assale con i morsi di fiere spietate e drammatiche come la malattia, la povertà e la vecchiaia (quelle stesse che mossero il Buddha alla ricerca di una nuova via), o con quelli dell’idea di peccato e di sofferenza disperata (quelle che indussero il Dio cristiano a inviare il Gesù Cristo a mostrare la sua via e una nuova alleanza per gli uomini tra terreno e metafisico), allora il senso della pesantezza della realtà e della vita – di quella pesantezza che schiaccia -, può essere facilmente compresa dai più, che così si ritrovano a rivolgere il proprio sguardo verso più confortevoli immagini di leggerezza.
Eppure, secondo altri, solo un bagno nella dura e pesante realtà potrà far risollevare l’uomo dal proprio drammatico destino terreno, spingerlo attraverso la ricerca e il lavoro duro e indefesso a nuovi spazi e traguardi di felicità e serenità su questa terra; …ed è così che per molti le ragioni della pesantezza acquistano valore e pregnanza assolute.
«Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro.» (Italo Calvino)
Parmenide, il filosofo “inventore” dell’ontologia Occidentale, sosteneva che il cosmo si basa su coppie oppositive imprescindibili l’una dall’altra, ciascuna formata da una metà positiva e una metà negativa.
Il pensiero forte di Beethoven, con le sue ragioni titaniche del dover essere (mussen), ci mostra la via di un imperativo categorico grazie a cui non ci si può sottrarre – all’interno della nostra stessa volontà -, a qualche cosa di più forte e di più alto; concentrazione, energia, profondità e difficoltà/non volontà a venire a patti col mondo, divengono una intima e sofferta necessità a cui aderire.
Milan Kundera, nel suo romanzo “l’insostenibile leggerezza dell’essere”, rinviene nella coppia leggerezza: pesantezza, la più misteriosa di tutte le coppie oppositive. La sua interrogazione metafisica che emerge dal libro, in definitiva, si domanda: “se leggero è positivo e pesante è negativo, allora perché la leggerezza è insostenibile?”
Nel 1985 l’Università di Harvardsi preparava a ospitare, per sei letture magistrali, lo scrittore italiano Italo Calvino, che purtroppo morì il 19 settembre dello stesso anno, prima degli incontri programmati. La leggerezza era il tema del primo dei sei incontri preparati dal Nostro: «dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza.
Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d’aver più cose da dire. […] e volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite.»

Parmenide anticipa nelle coppie oppositive un ragionamento che sarà distillato da Aristotele con la sua formalizzazione della logica come strumento di analisi scientifica della realtà fisica. Le coppie oppositive sono per lo stagirita coppie contrarie, e in un modello dove vigono gli assiomi “evidenti” della “non contraddizione”, di “uguaglianza” e del “terzo escluso”, non vi è più lo spazio per accogliere un pensiero e un’affettività che hanno invece il sapore di ossimori.
In un modello di concetti oppositivi e contrari, se c’è leggerezza non può esserci pesantezza e viceversa.
Però, potremmo immaginare un modello – quello della “logica fuzzy” (logica sfocata) -, in cui i nostri due termini sono solo gli estremi di infinite possibilità in cui vigono, quando più, quando meno, pesantezza e leggerezza, in una danza il cui totale dovrà sempre fare cento/tutto, proprio come in un qualsiasi buon modello complementare.
Però, potremmo anche andare ancora oltre la logica sfumata/sfocata e immaginare un modello che Gregory Bateson avrebbe chiamato “simmetrico”, e in cui i due termini dell’opposizione (nel nostro caso leggerezza:pesantezza), anziché essere tutto o nulla (come nella logica classica) o anziché essere a infiniti valori ma a somma uno/tutto (come nella logica fuzzy), sono come un pendolo che oscilla intorno a un punto non più fisso ma continuamente mobile nel tempo e nello spazio, e a somma continuamente nuova e vicissitudinale.
Mi chiedo: il nostro intelletto riuscirebbe ad accogliere un pensiero ossimorico?

Il pensiero forte del dover essere, potrebbe riuscire ad affidarsi e abbandonarsi completamente, e nutrire la propria essenza – come a un’amante fedele, sincera e generosa -, al seno e alla fonte di un pensiero debole?
E il pensiero debole, allo stesso modo, saprebbe nutrire se stesso alla fonte del pensiero forte senza esserne schiacciato e senza vedere Narciso nella fonte della propria esistenza ossimorica?
A queste domande vorrei rispondere con tre considerazioni di ordine differente ma convergente.
Innanzitutto: il nostro sistema cerebrale affettivo non funziona secondo una logica binaria aristotelica; sa accogliere con la semplicità della naturalezza istintuale la logica fuzzy ma anche quella ossimorica; in definitiva, è quella parte raziocinante del nostro cervello (quella che noi tanto celebriamo scordandoci del primato ex aequo del cervello affettivo) che pone dei limiti alle logiche non aristoteliche, perché non abbastanza trainato o perché ancora fondamentalmente stupido….
Secondo punto: le scienze matematiche e i modelli della fisica quantistica avvalorano la possibilità di una coesistenza contemporanea di più stati delle cose reali. Nel nostro caso, pesantezza e leggerezza non sono più agli antipodi e neanche devono esserci in proporzioni variabili ma a concorrere tra loro alla somma uno/tutto; piuttosto, ciascuno dei due termini del binomio leggerezza: pesantezza può esserci – presente nel qui e ora del nostro tempo ordinario -, in tutta la propria pienezza: non più complementarietà ma una simmetria che innesca un divenire vitale.

Qui, la fisica quantistica abbraccia il pensiero di Eraclito e della sua filosofia del divenire (che non è possibile senza cambiamento), dove il potenziale di ciò che deve diventare è già esistente nell’oggetto presente («entriamo e non entriamo negli stessi fiumi» e «siamo e non siamo ») Qui, la lotta degli opposti è universale e entrambi i termini di una coppia oppositiva devono esistere contemporaneamente, sebbene in alcuni casi sotto diversi aspetti: «la strada su e giù sono la stessa cosa».
Terzo punto: abbiamo un esempio brillante e insuperato di vita vissuta nel pensiero ossimorico; parlo di Giordano Bruno, l’impenitente eretico campione del libero pensiero umano. Egli, con la propria filosofia incarnata nell’azione, trova l’unione di tutti gli opposti nell’opera di Eros, uno dei quattro rettori dell’universo, in virtù del quale tutto è stato prodotto.
Eros: la forza insita in tutte le cose (quella stessa energia/particella che la fisica quantistica considera a proprio fondamento instabile), il Grande Demone che congiunge forma e materia, principio unitario che regge e giustifica ogni movimento. Nell’universo del Nostro, tutto si muove e nello stesso tempo è legato dal vincolo di Amore. Anche la conoscenza si fonda su questo eterno principio che vede tutte le cose come spinte da un impulso interiore, da un intimo incitamento, ad esplicarsi nell’infinita vicissitudine dei contrari.
Comprendere, e ancor più identificarsi, con questa forza vincolante è la chiave necessaria per mettere in moto qualsiasi operazione che riguardi una conoscenza ontologica, naturale, metafisica o magica.
E allora, abbracciando Dioniso e Apollo, come puer aeternus, mi lascio andare, forte del mio dover essere che mi intima di non dover essere, nel flusso/flutto della leggerezza pesante e della pesantezza leggera, in una via diversa da quella delle logiche aristoteliche e non aristoteliche; definitivamente lontano dalla via della pace e della serenità – che pur rispetterò e talora seguirò anche con amore -, e definitivamente vicino a quella via del guerriero che sola potrà essere di nutrimento alla mia anima inquieta; quella via che corre insieme alla morte senza aver paura della morte e che solo così può essere insieme leggera e pesante.
“Una iscrizione murale del signore Naoshige recitava così «prendi alla leggera le cose rilevanti». Il maestro Ittei aggiunse questa postilla: «prendi seriamente le inezie»” (Yamamoto Tsunemoto, Il codice dei samurai).

Così avendo concesso spazio sia al capostipite dei daimyò di Hizen, sia allo studioso confuciano Ishida Yasubò Nobuyuri, seguo la via del guerriero che incede come un folle accanto alla morte, per portare una leggera pesantezza o una pesante leggerezza lì dove il male di vivere vorrebbe cristallizzarsi solo come leggerezza o pesantezza; ma «le grandi imprese non si realizzano da sobri» (Yamamoto Tsunemoto, Il codice dei samurai) e così, io mantengo al massimo il mio spirito vigile e seguo il precetto delle ultime parole del Buddha ai suoi discepoli: «agite con consapevolezza».
Ho visto gente andare, perdersi e tornare
e perdersi ancora
e tendere la mano a mani vuote
E con le stesse scarpe camminare
per diverse strade
o con diverse scarpe
su una strada sola
Tu non credere
se qualcuno ti dirà
che non sono più lo stesso ormai.
(Sempre e per sempre, di Francesco De Gregori)

Beniamino Casale, responsabile IPAS Terapie Molecolari e Immunologiche in Oncologia – AO dei Colli – Ospedale Monaldi.