Che ora è?
Quando passeggiamo per Napoli camminiamo con gli occhi a terra e ci guardiamo intorno, perché dobbiamo stare attenti a non inciampare in una buca o ad essere investiti da monopattini e biciclette che sfilano sui marciapiedi e ciò ci impedisce di guardare in alto per scoprire i tanti bei orologi e meridiane che sono sui palazzi e chiese della città.
Sono tanti e sono distribuiti nelle piazze. nelle strade e anche nei luoghi che ospitano i Musei, come quello Archeologico e quello di San Martino.
A Napoli molto interessante è la Meridiana che si trova all’interno del Museo Archeologico, già Sede dell’Università di Napoli prima del trasferimento a fine settecento al Cortile del Salvatore.
A seguito di questo trasferimento Ferdinando IV di Borbone, essendo gli spazi del palazzo liberi, decise che lì doveva sorgere l’Osservatorio astronomico della città: tale idea però non si dimostrò giusta, dato che il luogo non era adatto per guardare tutta la volta celeste, per cui lo si trasferì sulla collina di Capodimonte.
Intanto era stata istallata (e vi è rimasta) la Meridiana nel grande salone di Atlante al primo piano.
Attraverso un forellino scavato nel muro, un sottile raggio di luce solare, a mezzogiorno, tocca la linea in ottone tracciata sul pavimento (posta diagonalmente e lunga più di 27 metri) che, nel corso dell’anno, secondo la posizione, indica il momento dei solstizi e degli equinozi; ed il raggio colpisce anche le immagini delle costellazioni dello Zodiaco che sono tracciate lì in terra così da far capire in quale mese ci si trovi.
L’altra Meridiana, bellissima, precedente di circa 50 anni rispetto a quella del Museo Archeologico, si trova nel Quarto del Priore della Certosa di San Martino, abitazione del Superiore della comunità certosina, dove la luce tocca i segni zodiacali e le costellazioni, disposti sul pavimento in cotto maiolicato e rappresentati con colori splendenti, che hanno una funzione astronomica e calendariale.
Un’altra Meridiana i frati certosini l’avevano fatta costruire in un edificio di un’altra loro proprietà sulla collina dei Camaldoli, in località Orsolone, di 214 moggi circa che poi fu comprata da privati quando nel decennio francese, agli inizi dell’800, entrò in vigore la legge sulla soppressione dei Monasteri.
Nel 1936 il fabbricato fu abbattuto ed il terreno fu comprato dall’INFPS (Istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale) avendo per destinazione la costruzione di un sanatorio contro la lotta alla tubercolosi (che negli anni venti faceva 60.000 morti all’anno), chiamato, in omaggio agli eredi di Casa Savoia, Principi di Piemonte, oggi Ospedale Monaldi.

Per facilitare i collegamenti con la città l’INFPS costruì una nuova strada che partiva in linea retta dal Sanatorio fino a Cappella dei Cangiani, oggi via Leonardo Bianchi, evitando la tortuosità della vecchia strada che passando davanti all’attuale Ospedale Cotugno portava verso l’Eremo dei Camaldoli.
La strada che partiva dall’Arenella per andare verso i Camaldoli, quando non c’era via Pietro Castellino, era l’attuale via Montedonzelli, all’inizio della quale in via Mariano D’Amelio 38, (prima a destra salendo via Castellino) si trova su Palazzo Cantore un orologio solare del XIX secolo, inciso in marmo, che si affaccia su un giardino pensile.
Sempre all’Arenella c’è la Chiesa di Santa Maria del Soccorso, proprio sopra la piazza, sulla cui facciata si possono vedere due orologi: quello di destra in maioliche del ‘700 è originale, mentre l’altro è stato rifatto ed ha una sfera finta. La chiesa, costruita nel’600, era funzionale a quella zona rurale piena di terreni da coltivare perché evitava ai contadini di allontanarsi troppo dalle loro case per seguire la Messa in luoghi più lontani.
Nel villaggio dell’Arenella è nato il pittore Salvator Rosa.
Al Vomero troviamo un orologio solare sulla Villa Floridiana, lato che guarda il mare: la Floridiana prende il nome dalla seconda moglie di Ferdinando IV, Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia.
Scendendo dal Vomero con la funicolare di Montesanto troviamo subito, a sinistra uscendo, Santa Maria delle Grazie, chiesa più comunemente conosciuta come Chiesa di Montesanto (dove è sepolto il grande compositore Alessandro Scarlatti), che ha due piccoli campanili. A sinistra quello con l’orologio solare, a destra quello con l’orologio meccanico in maiolica, che segna sul quadrante, come tanti altri orologi solo sei ore.

Questo tipo di orario è detto Ora italica oppure Ora romana perché istituita dallo Stato Pontificio: il giorno andava dall’Ave Maria della sera (circa mezz’ora dopo il tramonto) a quello successivo ed era distribuito in 6 ore ripetute quattro volte. Una cosa complicata, ma meno male che poi è venuto Napoleone che ha instaurato il sistema che abbiamo oggi.
Certo è che il vero problema dell’antichità è sempre stato quello collegato alla luce: se durante il giorno si potevano svolgere tutte le attività all’aperto e camminare liberamente ciò non si poteva dire quando calava la sera: per le strade non c’era illuminazione e mentre i ricchi e i Nobili potevano girare per le vie accompagnati da servitori con le fiaccole, per il resto della popolazione muoversi al buio era un rischio anche per la sicurezza personale, data la presenza di numerosi ladri.
A Napoli i delinquenti usavano il sistema della fune e in genere erano in tre: due si acquattavano a terra al buio in un vicolo con una corda in mano che tenevano per i capi e quando un malcapitato si trovava a passare la alzavano in modo che vi inciampasse e cadesse a terra, così che il terzo ladro gli saltasse addosso e lo derubasse.
Napoli era una grande città ed illuminarla con candele o lampade ad olio non era possibile per i costi enormi, e lì dove c’erano un po’ di luminarie i ladri le spegnevano.
Ma Padre Rocco ebbe un’idea.
Padre Rocco era un Domenicano molto stimato e con l’autorizzazione del Re Borbone cominciò a distribuire al popolo immaginette della Madonna e del Crocifisso da attaccare al muro dei vicoli e delle vie, davanti alle quali si doveva accendere un lumino.
Piano piano i lumini aumentarono e furono create dal popolo devoto anche degli altarini dedicati ai Santi e quindi le luci illuminarono i vicoli bui e le vie.
I ladri non osarono più spegnere le luci destinate ai Santi, temendo di compiere sacrilegio e le vie diventarono più sicure.
Napoli, con i Borbone, nell’ottocento è stata la prima città italiana ad avere l’illuminazione a gas, terza in Europa.
Proseguendo si arriva in quello che era chiamato Largo Mercatello, oggi Piazza Dante (per distinguerlo dal Mercato più grande che era a Piazza Mercato), che è stato anche Lazzaretto durante la peste del 1656, come immortalato in un impressionante quadro di Micco Spadaro.
L’attuale emiciclo, costruito dal Vanvitelli in onore di Carlo III, conserva ancora 26 statue sul terrazzo che rappresentano le virtù del Re.
Al centro sopra l’ingresso del Convitto Nazionale si trova un orologio meccanico sotto al quale c’è un meccanismo più piccolo del 1853 che rappresenta un unicum in Europa, che riporta la scritta: Equazione del tempo.
Non tutti i giorni solari hanno la stessa durata, per cui il meccanismo segna la correzione da apportare all’ora del tempo medio convenzionale, indicata dall’orologio superiore, per avere quella ora Vera, considerando la posizione del sole in tempo reale.
Ed ecco che l’Equazione del tempo determina la vera ora solare astronomica rispetto alla convenzionale ora media cui facciamo normalmente riferimento.
Sono molti gli orologi solari in Città come quello della facciata della Chiesa di Santa Maria alla Sanità, quella dei Girolamini o quello del Conservatorio dello Spirito Santo all’interno del cortile al quale si accede da via Toledo oppure quello che si affaccia sul chiostro di Santa Maria la Nova ed ancora il palazzo di via Santa Teresa a Chiaia 10, il palazzo Sant’Arpino a via Chiaia 138 sul lato verso piazza dei Martiri e tanti altri.
Particolarmente interessanti sono le Meridiane, forse settecentesche, nel Cortile delle Statue nell’Università di via Mezzocannone: sono 4 e i loro quadranti indicano rispettivamente le ore italiche, le ore astronomiche, le ore babilonesi e le ore stagionali.
La più antica chiesa gotica di Napoli si affaccia su piazza Mercato e fu costruita dagli Angioini, la Chiesa di Sant’Eligio.

La chiesa è unita ad un altro edificio dall’Arco dell’orologio, in cui sono incastrate due teste: una maschile ed una femminile.
Secondo una leggenda il nobile Antonello Caracciolo s’invaghì non corrisposto di una sua vassalla. Non riuscendo a conquistarla fece accusare falsamente il padre di lei di omicidio: se la fanciulla avesse voluto salvarlo doveva cedergli.
Il padre ricorse alla Regina Isabella d’Aragona, la quale ascoltò inorridita il racconto e comandò alle sue guardie di arrestare il Caracciolo.
Isabella costrinse il giovane a sposare la fanciulla in un matrimonio pubblico celebrato in Piazza Mercato e dopo la cerimonia lo fece decapitare così che la sposa ereditò tutti i beni del defunto: giustizia era fatta.
A ricordo di quest’episodio, come monito, sarebbero state scolpite le teste dell’uomo barbuto e della dolce fanciulla sull’arco dell’orologio.
E adesso, se volete, potete cominciare ad alzare lo sguardo in su e a scoprire i tanti orologi disseminati per Napoli, ma attenzione alle buche e ai monopattini!

Sergio Giaquinto, Giurista, già Dirigente Amministrativo dell’A.O. dei Colli, cultore di Storia e Archeologia