Nella vita di Sara tutto cambiò nel momento in cui il medico le mormorò con compassione che sua madre aveva un tumore, e che sarebbe morta in poco tempo. La cosa le sembrava impossibile. Sara perse la percezione del tempo, che le sembrò d’improvviso interminabile, in quello studio. Non ascoltava nemmeno più le parole del luminare, che giungevano ovattate come in un’eco lontana.
La coscienza uscì dal suo corpo e cominciò a vagare intorno, per liberarsi del peso che sentiva su di sé in quel frangente tanto doloroso. L’anima vagava fluttuando nello studio, soffermandosi su ogni particolare: la grande scrivania di legno massello scuro, con sopra, a contrasto, una lampada di vetro verde, un portaoggetti trasparente, una stilografica blu.

Quella lampada di vetro verde attirò l’attenzione dell’anima di Sara, perché la lampadina era difettosa, forse quasi fulminata. Faceva uno scricchiolio sinistro e alternava luce forte e fioca per un calo di tensione.
Click clack, forte e fioca, click clack, come un interruttore che si accende e si spegne.
L’anima di Sara si fermò a giocare con quel rumore e quella luce: click clack, non voglio uscire da qui. E vagava, vagava fissando il pavimento di marmo striato rosa e amaranto, e fissava le scarpe lucide del professore, e il suo camice bianco, e il viso sconcertato perché capiva che a Sara non interessava cosa stesse dicendo.
Click clack, basta Sara, non capisci? Non serve fuggire, ormai tutto è cambiato, bisogna darsi da fare e ricominciare da capo. Bisogna farlo per lei.
La mamma ha bisogno di te, Sarina! le diceva la coscienza.
Click clack, la mamma la chiamava Sarina.
Cazzo, avrebbe dovuto chiamarla ancora così!
L’anima di Sara ebbe un sussulto e tornò nel corpo attonito della ragazza, che si congedò in fretta dal professore farfugliando scuse confuse. Poi si precipitò fuori dall’ospedale e cominciò a correre, a correre, a correre, attraversando quattro isolati, un ponte e dieci semafori, schivando le auto che le si paravano davanti e scivolando di continuo. Ma corse fino alla stazione. Avrebbe dovuto entrarci a giorni, in quella stazione, felice perché in partenza per Parigi con gli amici del corso di restauro. Invece era lì, ansimante, tremante, a cercare un orario dei treni da sfogliare.

Ecco, il primo treno per Milano l’indomani alle 7:30. Per le 10:00 sarebbero arrivate in città, verso le 12:00 avrebbero raggiunto la clinica di Veronesi. Lui è il migliore, l’avrebbe salvata, le avrebbe dato una speranza. Tutto sta cambiando, e Sara ha lasciato il suo mondo infantile. Ha imparato a lottare lì, in quello studio, grazie a una lampada, dove la sua coscienza l’aveva costretta ad abbandonare il rifugio e a diventare adulta. A 19 anni, con un click clack.

Paola Somma, vicequestore Polizia di Stato, scrittrice