Era un anno come un altro, il 1984. E come ogni anno, per
quello che la nostra memoria registra ancora come dato saliente,
la prima domenica di settembre – o l’ ultima di agosto ? – era
quella destinata al Campionato del Mondo di ciclismo, la
prova massima beninteso, quella in linea dei professionisti.
Di guardia in Ospedale, quella domenica. E chissà se anche in
quella circostanza la mia scelta non sia stata di parte: e già in
Ospedale di turno, ero più al sicuro, più protetto da quelle
noiose velleità familiari di andare al mare
– ‘al mare vacci tu…’ –
o di pranzi sui prati con abituali compagnie.
Almeno, il Campionato del Mondo di ciclismo non era scontato,
deja vu, aveva in serbo quantomeno una emozione.
1984, domenica di guardia, il morbido cabotaggio di certi turni festivi.
Ed in più, ospite speciale, non di onore certo, in fondo al corridoio del Reparto,
una stanza a tre letti tutta per lui, l’ ultima, don Mimì. Ricoverato privilegiato.
Era agli arresti domiciliari perfetti, don Mimì, un camorrista napoletano
di robusto lignaggio e di valori in qualche modo prossimi ad un senso remoto
dell’ onore.
‘Ma è giusto che mia figlia non sia entrata a Medicina, alla Cattolica,
solo perchè è figlia a me, dottò ?’.
Inutile negarlo, don Mimì sontuoso e rispettato – dall’ alto e dal basso, per virtù
ed affiliazioni trasversali riconosciute – come un sultano, era una simpatica persona.
Il passato suo, così grave, una storia di cavalli e scommesse alle Capannelle,
un tessuto ordito di interessi – ‘ma la droga, no’ – nell’ hinterland partenopeo,
scivolava da settimane, in quel suo stabile ruolo di ricoverato eccellente,
imposto da un intoccabile politico democristiano di allora.
Mai un rimbrotto, la vestaglia di seta, la passione per un’ acqua minerale
non gassata, un anello al dito, non la fede, i capelli ragliati corti, don Mimì.
Inutile negarlo, e la storia personale e penale ormai è trascorsa in giudicato,
ed il peggio doveva ancora arrivare, per lui e per noi, don Mimì aveva
l’ umiltà del rispetto. Per sè e per gli altri. Non gli sarebbe stato simpatico
Saviano, né Gomorra. Meglio il ciclismo, gli uomini di strada.
E già, perchè don Mimì, di Casoria, aveva avuto per prima passione mite il ciclismo.
Ed un tempo sponsorizzava, così raccontava, anche una squadra di ciclismo
dilettantistico, ‘Fratelli Paolucci’, o giù di lì. ‘Bello, il ciclismo, dottore,
mi arrecreo quando lo vedo’.
E così, quel Mondiale del 1984, il Montjuich, a Barcellona, ce lo saremmo
visti insieme. Un gran bel televisore, in una stanza dedicata, in quel Reparto.
Rare le urgenze, a quell’ epoca. Migliori forse i medici di base, più pazienti e
consapevoli i pazienti, chissà. Ignota la malasanità, e senza enfasi anche quella buona,
che di pubblicità non ha bisogno. Aspettava, don Mimì, che spuntasse Moser, in fondo. O Saronni.
Ma quel Mondiale fu una corsa strana, nel caldo di Barcellona e di Napoli,
come una domenica vissuta al modo di un giorno feriale. Fu un Mondiale di straordinari comprimari
assurti a primattori. Uno per tutti, uno meglio di tutti, appunto.
Claude Criquielion, il corridore – Campione – belga appena scomparso.
Si era involato solo, all’ ultimo giro, da un nugolo di attaccanti, Seiz Bauer
Bourreau Echave Masciarelli Corti Zoetemelk. Ed andava via, con una sorta
di circospezione meravigliata, verso un successo per lui incredibile. Da dietro, come
una scheggia, però, era spuntato un inseguitore, inatteso come lui. Claudio come lui.
Claudio Corti. Ciclista come lui, vero. Di rughe e spigoli. Non edulcorato.
Quel ciclista bruno, la maglia del Belgio, che scappava da un ciclista
bruno, la maglia dell’ Italia. Pochi secondi, a dividerli.
Un testa a testa spasmodico.
E risento ancora come fosse ora, l’ esclamazione stentorea di don Mimì, a qualche
chilometro dall’ arrivo, ‘e buttateci ‘ddoie puntine, sull’ asfalto, a chistu belga…’.
E già. Una bella foratura, a qualche chilometro dall’ arrivo, come facevano al
suo paese, nelle corse dei dilettanti, per far vincere gli atleti di casa..
Una gran bella foratura, ottima per Corti…Ricordo che lo guardai perplesso.
E che lui mi guardò di contro. Con un tono di intimidazione e di sfida, che si ammansiva piano piano.
‘Vabbuò, avite ragione voi, Cricchelio, ma comme se
scrive ?, se l’è meritata o’ veramente ‘sta vittoria’. Il trionfo della giustizia
sancito da un camorrista.
Don Mimì, qualche mese dopo essere stato dimesso dall’ Ospedale, sarebbe
stato ucciso in un agguato. Forse, per sancire senza dialoghi una nuova gerarchia
di piazza, dai suoi stessi gregari, si disse. Non appassionati di ciclismo.
Claude Criquielion è morto la settimana scorsa. Ha donato i suoi organi.
E non sappiamo se, lassù dove sono oggi, avranno possibilità di incontrarsi.
Noi li ringraziamo ancora, da quaggiù, per la umanità modestamente infinita
di quella domenica 2 settembre 1984 vissuta insieme.
Gian Paolo PORRECA (da ’70 Soffi al Cuore’, ed. Guida, 2020)

Gian Paolo Porreca Chirurgo vascolare, professore di cardiochirurgia, scrittore, giornalista e amante del ciclismo