Dalle terapie al counselling
di Mascolo Francesca,
Molti secoli fa Galileo disse ‘dietro ogni problema, c’è un’opportunità‘.
E’ veramente così, se ci si apre a nuove prospettive, a nuovi punti di vista, non solo per soluzioni tecniche o quotidiane, ma anche nelle situazioni più difficili della vita.
Quelle situazioni che non vorresti mai vivere, quelle che prima che accadessero credevi insormontabili, quelle che pensi che capitino agli altri. Quegli eventi della vita che ti portano all’essenziale, che non ti cambiano davvero, ma fanno uscir fuori appunto, la tua vera essenza, quando nello stesso momento nel tuo cielo brillano, paure, ansie, incertezze, sofferenze, fragilità, ma anche forza, volontà, tenacia, aspettative, sogni.
Il giorno in cui per me è arrivata la certezza di avere un tumore, gli alberi di natale erano già addobbati e il clima di festa e di buoni propositi si respirava dappertutto. La mescolanza dell’aria natalizia e quella di incertezza su ciò che mi aspettava, mi dava il capogiro.
Per rimanere lucida mi osservavo come da un occhio esterno, come guardando un film al cinema (bei tempi), in cui vuoi capire in anticipo le azioni del protagonista. Per non far prevalere l’istinto, mi chiedevo qual era la scelta più giusta, ma questa volta il protagonista ero io.
Ancora prima di iniziare le cure, sentivo che la mia scelta giusta sarebbe stata continuare, nei limiti del possibile, la vita di sempre senza modificare impegni e routine, famiglia, lavoro, amici. Il motivo non era dettato né da superficialità nell’affrontare la battaglia per sconfiggere il tumore, né voler dimostrare a me stessa o agli altri di essere speciale.

Il vero motivo nasceva dalla certezza, che in quella situazione maturi in pochi istanti, che la vita e mi riferisco alla vita quotidiana, è fatta di routine, il più delle volte considerata noiosa; ma la stessa reiterata routine diventa meravigliosa, perché è l’esercizio quotidiano per le passioni, impegni, gioia, doveri, perché più niente è scontato.
I momenti critici e di soddisfazione al lavoro, i sorrisi, gli abbracci, la responsabilità, la stanchezza. E tutto il resto. Tutto assume senso, significato e il suo giusto valore, perfino una riunione interminabile, anche la fila alla posta. Perché respiri, sei vivo, comunichi, puoi condividere, amare sorridere e litigare. Potrà sembrare il solito discorso banale, può darsi, ma ha senso quando diventa così evidente l’incertezza del tempo e del futuro.
Riguardo al tumore, ho voluto sapere, leggere e approfondire, volevo conoscere cosa si era formato e annidato nel mio corpo solo apparentemente sano. Infatti ho chiesto, interrogato, seccato e scomodato, medici e personale sanitario che ho incontrato, fino al limite della petulanza.
Sono riuscita a tirar fuori una forza che non credevo di avere. Quando mi mancava il fiato e non riuscivo a tenere il passo dei colleghi, ma non rinunciavo al caffè dopo pranzo. Quando mi truccavo senza dover uscire, perché il mio bambino di tre anni già notava che ero pallida e stanca.
Mi ha aiutata il non chiudermi a riccio, il non aver vergogna di condividere la stessa esperienza, l’ascoltare le storie di chi stava affrontando lo stesso percorso. Dei compagni di viaggio osservavo i volti, le espressioni, anche di coloro che rimanevano in silenzio, non avendone la voglia o la forza. Ho ammirato tanto il coraggio di chi raccontava con gli occhi lucidi e la voce tremante, e anche chi con ironia, esprimeva smarrimento e forza, paura e speranza, sofferenza e accettazione della battaglia che stava affrontando.
Le difficoltà da affrontare non erano soltanto fisiche, ma anche psicologiche. Quanto più si amplificavano le mie paure, tanto più le scacciavo concentrandomi su ciò che mi rendeva felice, sognando tutto quello che avrei voluto ancora fare, vivere, sbagliare e poi realizzare.
Dopo alcune terapie, la stanchezza fisica dovuta alle cure minava giorno dopo giorno anche la forza psicologica. Il fisico andava alla velocità di una lumaca, mentre la mente continuava a viaggiare veloce, lo stesso per sensazioni ed emozioni.
Questo disequilibrio mi ha fatto crollare, mi ha ricordato di essere una persona umana fatta di corpo, mente e spirito. Se questi non procedono con lo stesso passo, è necessario fermarsi e farsi aiutare.

Senza pregiudizio, né vergogna (come ancora troppo spesso accade) ho sentito la necessità di un supporto psicologico. Rivolgermi a un terapeuta ha significato compiere i primi passi per rimettermi in piedi in mezzo alla burrasca, nel fisico che non riconoscevo più allo specchio, e nell’animo in tumulto, tra paure e speranze. Il supporto psicologico mi ha permesso di esprimere quello che vivevo, pensavo, sentivo. Senza filtri e senza corazza, senza dover dare io forza alle persone a me vicine.
Potevo esternare ed accettare di essere fragile, preoccupata, senza lo sguardo di facce tristi, imbarazzate, o per amore forzatamente felici. Da subito, mi ha aiutata a sentirmi più leggera, concretamente sentivo meno fatigue e un pesointeriore più sopportabile.
La volontà di mettermi a nudo e ripartire da quello che stavo vivendo, mi ha permesso di lavorare sulle risorse e i punti deboli, riuscendo ad affrontare anche le cure secondo le sfaccettature della mia personalità (alcune morbide, altre molto spigolose), aprendomi a nuove prospettive e nuova consapevolezza.
La curiosità e la spinta di conoscenza per l’ambito psicologico che avevo già da anni, e, in particolare, la nuova prospettiva di una visione integrale della persona, ovvero l’armonia tra corpo, mente e spirito, durante e dopo il percorso di supporto psicologico mi hanno conquistata.
Ho partecipato ad alcuni seminari di approfondimento in tale ambito. Mettendo in gioco prima me stessa, desideravo capire e comprendere la meraviglia e la complessità che si cela in ogni persona. Quanto la propria personalità, la storia familiare, il vissuto, gli incontri, possano influenzare in un senso o nell’altro il percorso di vita di ogni individuo.
Partendo dal mio sentire, volevo approfondire quanto il corpo ci parli in mille modi, e quanto poco lo si ascolti. Il modus implicitamente imposto dalla società attuale, in genere è di usare solo la razionalità, al bando istinto ed emozioni.

Troppo spesso non si ascoltano i segnali che il corpo in vari modi manifesta, ma solo quando ci impone uno stop. Quanto il benessere fisico sia interconnesso con il benessere psicologico e viceversa. Quanto l’incontro con l’altro e le varie forme di comunicazione e relazione, siano esse sane o meno, formino, cambino, influenzino, si definiscono e ci definiscono in uno scambio continuo, creando energia e linfa vitale, o creando sintomi. Questo avviene in qualsiasi relazione: amicale, genitori/figli, sul lavoro. Tra terapeuta e paziente, e anche tra medico e paziente.
Così è nato il desiderio di specializzarmi per diventare counsellor, sebbene non fossi sicura (a conferma che il lavoro su sé stessi non termina mai) di poter essere la persona adatta a diventare un attivatore di risorse.
Mi era chiaro che, un conto è essere considerata nelle relazioni interpersonali una persona accogliente, pronta ad aiutare l’altro, una spalla sicura per gli amici, mentre cosa ben diversa è avere le caratteristiche e acquisire le competenze professionali per la relazione d’aiuto.
Partendo dalla mia esperienza di vita difficile, come lo sono tante altre e nessuna giudicabile, ho capito che desideravo specializzarmi per aiutare l’altro in modo concreto e fattivo, attivando le mille risorse spesso inaspettate, che ogni individuo possiede e che a volte non si riescono né a vedere né quindi a mettere in atto. Inoltre, mi ha conquistata anche la voglia di mettermi in discussione, lavorare su me stessa per arrivare ad una visione nuova e più consapevole, delle mie risorse, ma anche dei miei limiti.
Nel periodo della mia formazione mi è capitato di confrontarmi con una persona che doveva affrontare la stessa battaglia che avevo combattuto io. In maniera naturale e senza che me ne rendessi conto, il mio supporto non è stato raccontare quello che ho vissuto, né fornire dettagli su terapie, effetti, cambiamenti. L’intento era di non raccontare. Accoglievo e ascoltavo.
Mentre ascoltavo mi ponevo mille domande, seppur rivivendo spesso come istantanee situazioni ed emozioni identiche. Osservavo per comprendere cosa si celava e cosa si mostrava dietro le sue paure sensazioni, desideri e ostacoli.

Le restituivo la forza, il coraggio, che prendevano forma nelle sue parole, ma che lei non riusciva a notare. L’accoglievo nella fragilità e nella paura che diventavano palpabili. Le potevo quasi toccare, non solo con il cuore. Accogliendo e restituendo senza giudizio, a piccoli passi, arrivava ad accettare i suoi sentimenti come umani, veri e pieni di vita, nonostante difficili e dolorosi. Riconoscerli è già una risorsa immensa, riconoscerli significa poterli affrontare, e superare.
Questa’ esperienza nata per caso, mi ha fatto capire che la strada che avevo intrapreso per diventare counsellor era giusta. Oggi posso dire con emozione che, non soltanto ha dato un senso alla mia esperienza personale, ma ha anche fortificato la spinta e la passione per la relazione d’aiuto, in ogni suo aspetto.
Perché nessuno si salva da solo, l’essere umano è una creatura meravigliosa che ha il diritto di essere felice, di definire e ridefinire sé stesso per questo, riconoscendosi anche il diritto di farsi aiutare in situazioni difficili.

Mascolo Francesca, laurea in Economia.
Ai numeri contrappongo le parole: counselor per passione, leggo per amore, scrivo per istinto.