Dolore cronico non oncologico: caratteristiche e impatto sociale
Il dolore cronico è considerato una delle patologie a più alto impatto e costo nei paesi occidentali: Nord America, Australia ed Europa. Si stima ne sia affetto il 24% della popolazione mondiale, e nel vecchio continente il 20% della popolazione adulta ne soffre con un’intensità che varia da moderata a severa, circa 95 milioni di persone.
In Italia, il dolore cronico non oncologico affligge più di 12 milioni di cittadini nel corso della vita, 1 italiano su 5, oltre il 20% della popolazione, percentuale in linea con i risultati della ricerca condotta in 17 paesi dalla PAE (Pain Alliance Europe), nel 2017. Fra le tipologie di dolore rilevate dallo studio europeo prevale la fibromialgia (40%), seguita da osteoartrosi, artriti e reumatismi, ipermobilità genetica articolare, mal di schiena, emicrania. La fascia d’età in cui il dolore cronico è più diffuso si attesta fra i 36 e 65 anni, in maggioranza soggetti femminili. Il 34% delle persone intervistate ha definito la propria patologia severa. Gran parte del campione ha dichiarato di soffrirne da più di sette anni: il tempo della diagnosi varia da pochi mesi a circa un anno, e il professionista che imposta la terapia è il medico di base (38% dei casi), per poi passare a uno specialista e una struttura sanitaria, ospedale o clinica.
Il nostro paese si colloca al terzo posto in Europa, in quanto si stima che una persona su in Italia sia dovuta ricorrere a un trattamento farmacologico per il dolore cronico almeno una volta nella vita
Le conseguenze del dolore cronico nei pazienti hanno risvolti significativi sull’attività lavorativa, le relazioni sociali, l’economia e la depressione; secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) rappresentano un problema importante di salute pubblica e impattano sulla qualità di vita delle persone.
Ma cos’è il dolore? La IASP (Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore) nel 1979 lo definisce un’esperienza sensitiva ed emotiva spiacevole, associata a un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta come tale. Il dolore è sempre soggettivo. Ogni individuo apprende il significato di tale parola attraverso le esperienze correlate a una lesione durante i primi anni di vita. Sicuramente si accompagna a una componente somatica, ma ha anche carattere spiacevole, e perciò, a una carica emozionale.
Quindi il dolore viene sempre percepito in modo soggettivo in quanto la sofferenza è influenzata da molti aspetti individuali, che fondano sulle esperienze di ogni persona.

Il dolore cronico viene definito come il dolore che si protrae oltre i tempi normali di guarigione di una lesione o di un’infiammazione, abitualmente 3-6 mesi, e che perdura per anni. E’ ormai riconosciuto come una vera e propria patologia per le conseguenze invalidanti che hanno nei pazienti a livello fisico, psicologico e sociale, in quanto compromessi nelle attività quotidiane.
Mal di schiena, emicrania, endometriosi, vulvodinia, fibromialgia, artrosi, nevralgie, esiti da trauma, herpes zoster, sono solo alcuni nomi di malattie caratterizzate dalla presenza di dolore cronico che, se non viene diagnosticato e curato in modo adeguato, non abbandona più le persone che ne sono colpite e che devono viverne la sofferenza. Il dolore cronico interessa tutte le fasce d’età con una maggiore prevalenza nelle donne ed è stato riconosciuto come una delle cause principali di consultazione medica.
Il 15 marzo 2010 viene introdotta in Italia la Legge 38 Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla gestione del dolore che rappresenta una svolta importante per l’assistenza sanitaria dedicata a questa tipologia di pazienti, in quanto fornisce il diritto di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore per la cittadinanza e impone al sistema sanitario la creazione di strutture dedicate per perseguire tale obiettivo.
Gli aspetti fondamentali della Legge n. 38/2010 sono:
– La rilevazione del dolore all’interno della cartella clinica del paziente
– La promozione e l’integrazione di reti nazionali per le cure palliative e la terapia del dolore
– La semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore
– La formazione del personale medico e sanitario nello specifico ambito delle terapie antalgiche
Nonostante l’emanazione della legge risalga a ben 12 anni fa, molti cittadini e medici ne ignorano ancora l’esistenza, trascurando così i benefici derivanti dalla stessa nell’assistenza sanitaria al malato e alla famiglia.
Sul piano socio-economico le conseguenze della patologia incidono sull’attività professionale: i risultati della ricerca europea evidenziano che i giorni di lavoro persi sono fra 8 e 10 e, comunque, impatta sul rendimento lavorativo per tutti.
I FANS
Per il dolore cronico moderato, la terapia più diffusa (in circa il 70% dei casi) prevede l’assunzione di FANS (Farmaci Anti-infiammatori Non Steroidei): in Italia se ne consumano mediamente 44 milioni di confezioni ogni anno. Sono spesso acquistati dai pazienti senza prescrizione o consiglio medico, con incidenza degli effetti collaterali per uso prolungato.

I FANS sono disponibili in diverse forme: creme, gel, schiume, unguenti e pomate per uso topico, compresse e capsule per via orale, sistemi mediante assorbimento transdermico (i cd. cerotti medicati), iniezioni endovena e intramuscolo, supposte. Sono prescritti come antidolorifici generici, antiflogistici per diminuire l’infiammazione e antipiretici per abbassare la febbre.
Secondo gli esperti, i danni dell’uso dei FANS senza controllo medico nel nostro paese sono imputabili a due fattori: in primis, c’è la convinzione che antinfiammatorio sia sinonimo di analgesico; a cui si aggiunge il fatto che molte formulazioni possono essere acquistate in farmacia senza ricetta del medico di base.
Acido acetilsalicilico (Aspirina, Vivin C), diclofenac (Toradol, Voltaren), ibuprofene (Brufen, Moment, MomentAct, Buscofen), ketoprofene (OKI), naprossene (Momendol), benzidamina (Tantum verde), nimesulide (Aulin, Nimedex), paracetamolo (Tachipirina, Efferalgan, Tachiflu, Zerinol): queste le formulazioni più diffuse e, nelle parentesi, esempi dei marchi commerciali più noti e comuni. Tendenzialmente le persone ne eleggono una come antinfiammatorio e provvedono all’autoprescrizione in caso di dolore, che si tratti di emicrania, mal di denti o altro, senza la consulenza di un medico, un po’ come avviene per la scelta dei fermenti lattici.
Gli effetti collaterali dei FANS assunti in tempi prolungati e senza controllo medico sono di frequente ignorati dai pazienti, e dipendono dal farmaco specifico. Di norma, si preferisce assumerli a stomaco pieno, in quanto producono mal di stomaco specialmente se somministrati a digiuno, riducendo la lesività alle mucose del sistema gastrointestinale.
Non va sottovalutato il rischio di infarto, malattie renali, ulcere e sanguinamenti gastrointestinali: effetti collaterali che possono insorgere con somministrazione continuativa di questo o quel FANS senza il controllo di un clinico.

Carlo Negri, esperto di marketing farmaceutico e comunicazione in Sanità.