E chi sarà il re del gol? Qatar 2022 e il V Principio della Complessità
La nostra vita è un viaggio
in Inverno e nella Notte
noi cerchiamo il nostro passaggio
in un Cielo senza luce
Così cantava l’ufficiale svizzero Thomas Legler, al servizio di Napoleone, nella Battaglia della Beresina, uno dei peggiori disastri militari della storia contemporanea, di cui non si possono negare alcuni esiti anche favorevoli.
La possibilità o capacità di previsione è una delle maggiori spinte che energizzano i circuiti cerebrali della ricerca, della conoscenza e dell’azione.
La previsione è anche la maggiore e indiscussa protagonista della scienza di ogni tempo (ma anche delle pseudoscienze, delle divinazioni e dei riti, delle arti sciamaniche e di quelle degli antichi guaritori, Auspici e Aruspici), intesa come impresa personale e collettiva umana.
In particolare, l’uomo – così come tutti gli esseri viventi – sono da sempre fortemente impegnati in quel tipo di previsione che sia capace di fornirci risultati – in termini di fitness -, migliori rispetto all’agire casuale: quel tipo di previsione che superi, in risultati, le reazioni vitali equivalenti all’affidamento ad un semplicistico lancio di dadi dall’esito casuale.
La necessità di prevedere deriva dalla necessità vitale, in termini di fitness, di non farsi travolgere da eventi improvvisi e non attesi, ma piuttosto di esser capaci di immaginare in maniera pertinente e verosimile un futuro più o meno prossimo (che rimarrà pur sempre non definito in maniera assoluta fino al suo presentarsi attualizzato nel presente del nostro tempo), e di affrontare e tessere (attraverso le esperienze utili, acquisite nel passato personale o collettivo e sociale, e conservate grazie al dispositivo cerebrale della memoria) il presente, secondo le strategie e le logiche di Metis.
In sintesi metaforica: bisogna saper essere o poter essere come Prometeo (il cui etimo, secondo Esiodo, rimanda al saper prevedere in anticipo) e non come suo fratello Epimeteo (che secondo l’etimologia del nome è colui che è accorto in ritardo, che si rende conto dopo).
Da qui, la necessità di operare secondo quei criteri della logica umana che tengano conto del principio aristotelico delle quattro cause.
Da qui, la necessità di saper far girare – nei nostri cervelli e nei nostri computer – quella logica che si è sviluppata nel corso dei millenni fino a porsi alla base del metodo scientifico moderno e che negli ultimi anni sta anche cercando di accogliere le sfide ardue delle logiche non-standard.
Abbiamo organizzato il nostro sistema di conoscenze scientifiche – e gli algoritmi che utilizziamo per far funzionare i nostri computer – attorno ad alcuni invalicabili principi logici, di derivazione aristotelica (logica dei predicati) e stoica (logica proposizionale).
Abbiamo una profonda e giustificata fiducia nella razionalità; eppure, proprio nell’utilizzo di sistemi logici e argomentativi – deduttivi, induttivi e abduttivi -, anche i più intelligenti della nostra specie umana compiono facilmente e frequentemente, maccheronici errori di razionalità e calcolo.
L’esempio più eclatante di quanto appena affermato – fatto che peraltro, e in maniera illuminante, sembra essere protetto da un potente bias cognitivo umano che generalmente non ci fa accorgere di tale paradosso della razionalità – è il fatto che, generalmente, nel ragionamento utilizziamo delle catene logiche e argomentative che sono molto deboli e imprecise al di fuori del campo per cui sono destinate ad offrire le loro autentiche performance: parlo di tutti quei continui ragionamenti che spiegano molto bene gli eventi, e le catene di eventi, ex post facto (cioè dopo che la cosa sia accaduta), ma che invece quasi mai riescono a spiegare un evento/catena di eventi ex ante (cioè prima che la cosa accada).
Infatti, a ben pensarci, potrebbero essere a portata di mano una sterminata e varia quantità di esempi in cui l’argomentazione razionale fallisce nel prevedere l’avvenimento o il non avvenimento di un evento (basti pensare ad azioni e comportamenti singoli o di gruppo, a eventi sociali, politici e geo-politici, a eventi sanitari come una pandemia o a scoperta di un nuovo farmaco, etc).
È facile dire, ad un ammalato di cancro o di cuore, che la causa della sua malattia è stata la sigaretta! Ma è altrettanto facile prevedere per un fumatore sano, con assoluta precisione e in tempi certi, l’insorgenza di una malattia di cuore o tumorale?
Quanti di voi possono prevedere con assoluta precisione chi vincerà il campionato del Mondo di calcio, inaugurato oggi in Qatar?
E chi avrebbe potuto dire con assoluta certezza che l’Equador avrebbe vinto la partita inaugurale col Qatar per 2-0?
Certo, più facile può essere prevedere/immaginare che per la vittoria finale è favorito il Brasile, seguito dall’Argentina di Messi e poi dai campioni del mondo della Francia di Mbappé: i bookmakers – che fanno dell’arte della previsione una tecnica statistica di guadagno – hanno infatti stabilito – ad oggi giornata inaugurale di questi mondiali – queste tre quote per le tre nazionali preferite: 5 vs 6.50 vs 7.
Rivedendo questo articolo oggi, 26.11.2022, dico che i più non avrebbero potuto prevedere un pessimo esordio dell’Argentina né la sua ormai inattesa vittoria per 2-0 sul Messico.

Ed è così che – alla data di uscita di questo articolo su Il Bugiardino e poi alla data di lettura da parte tua di questo articolo, in un tempo che è futuro rispetto all’oggi che sto scrivendo- tutte queste previsioni dei bookmakers, e ancor di più le previsioni della maggior parte di noi poveri mortali, saranno molto probabilmente state smentite e spazzate via dai fatti di una realtà che si sarà attualizzata storicamente e avrà dettato inesorabile la sua impronta indelebile (almeno in questa nostra dimensione, perché dei molti mondi quantistici possiamo solo prevedere e non potremmo mai affermare con certezza assoluta storicamente verificata! Ma i molti mondi e gli infiniti mondi sono un altrove a cui noi non abbiamo accesso!)
Allo stesso modo – salvo trucchi e imbrogli, pure paventati e poi non mostratisi attualizzati – sarebbe stato facile prevedere la vittoria dell’Equador sul Qatar, ma sarebbe stato ben più difficile predire il risultato esatto di 2-0; e sarebbe stato praticamente impossibile prevedere in anticipo un primo goal annullato dal VAR ad un certo esatto minuto di gara; e così anche, sarebbe stato per noi umani impossibile prevedere tutte le sequenze esatte di azioni e microeventi che si sono poi di fatto svolti nell’arena storicamente attualizzata della partita inaugurale del Campionato mondiale del Qatar 2022, il primo della storia svoltosi in inverno!
In definitiva: nessuno di noi normali esseri umani può avere una chiaroveggenza precisa e assoluta del futuro; invece, la previsione efficace – che può essere alla nostra portata di comuni esseri umani – richiede la capacità cerebrale di complessi salti d’intuizione e la capacità di rendere utilizzabili informazioni poco sistematizzabili e quasi mai esplicite.
Un Sistema dalle leggi note, in cui interagiscano almeno tre oggetti, è considerato dai matematici e dai fisici soggetto alle leggi del Caos deterministico, e pertanto affrontabile con difficoltà talora insormontabili per i nostri mezzi computazionali oggi disponibili.
Ancor oltre, un sistema complesso in cui interagiscono più agenti, le cui leggi di azione non siano perfettamente note, costituisce un universo entropico pullulante di possibilità infinite; a meno che queste possibilità e quelle leggi d’azione non siano vincolate da precise leggi.
Il fatto che il sistema sia vincolato da precise leggi (sistema caotico deterministico) non significa che queste stesse leggi siano da noi conosciute o che le dinamiche di tali leggi siano da noi calcolabili.
Siamo nel campo dei problemi difficili non deterministici in tempo polinomiale (Problemi NP-difficili o NP-hard).
Per i fini pratici, già solo il tempo che abbiamo a disposizione per risolvere un problema – che sappiamo essere certamente risolvibile da un punto di vista teorico e matematico -, è una questione essenziale!
Per esempio, immaginiamo di voler prevedere: – che tempo farà domani? – avendo a disposizione la conoscenza di tutte le leggi che governano il movimento delle particelle atmosferiche e la loro interazione reciproca e con gli altri elementi terrestri, marini, etc. con cui quelle molecole hanno a che fare. Immaginiamo anche di disporre di una superintelligenza in grado di poter eseguire tutti i calcoli richiesti da quelle leggi che governano il nostro caso/quesito specifico. Immaginiamo insomma di avere al nostro servizio il famoso Demone di Laplace, e di essere così in una zona deterministica di massimo comfort, come nella situazione qui di seguito descritta dal marchese di Laplace – matematico, fisico e astronomo, e uno dei più valenti scienziati francesi a cavallo del ‘700/‘800 (nominato da Napoleone Ministro degli Interni nel 1799 e Conte dell’Impero nel 1806) –
Possiamo considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un intelletto che a un certo momento conoscesse tutte le forze che mettono in moto la natura e tutte le posizioni di tutti gli elementi di cui la natura è composta, e se questo intelletto fosse anche abbastanza vasto da sottoporre questi dati all’analisi, abbraccerebbe in un’unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell’universo e quelli del più piccolo atomo; per un tale intelletto nulla sarebbe incerto e il futuro proprio come il passato sarebbe presente davanti ai suoi occhi.
Orbene, anche in una situazione così ideale, potremmo trovarci di fronte al problema insormontabile e limitante, costituito dal fatto che, per compiere i calcoli relativi al mio problema meteorologico, il nostro demone computazionale impiega, per esempio, due giorni, e quindi un tempo doppio rispetto a quello utile perché il mio problema – che tempo farà domani? – non sia superato dalla storia e dai fatti già avvenuti!
Il fatto è che la scienza che abbiamo oggi a disposizione – anche la migliore Scienza! – non può fornirci tutte le risposte alle domande che avremmo in serbo per predire il nostro futuro.
A ciò si aggiunga che noi esseri umani – e i computer che noi esseri umani abbiamo progettato e realizzato – difficilmente utilizziamo la migliore scienza che abbiamo a disposizione, ma anzi tendiamo a perpetrare errori anche maccheronici nelle nostre logiche e argomentazioni razionali, e per di più, ancora non abbiamo una idea neppur vagamente chiara del funzionamento del nostro cervello intuitivo e del nostro ragionar per euristiche e pattern!
Allora, ci ritroviamo di fatto a vagare in una selva oscura, simile a quella che attraversò il sommo Poeta.
La metafora della selva subito mi riporta alla memoria, accanto a Dante, anche personaggi a lui tanto distanti (potenza del cervello destro!), quali Martin Heidegger e Vladimir Propp, oltre che a una folta schiera ora indistinta ma su cui la mente riesce a porre il fuoco non appena riaggancia i fili delle connessioni neuronali della memoria.
Le foreste di Todtnauberg, vicino alla baita di montagna di Martin Heidegger, permettono al nostro filosofo di sviluppare la metafora dei sentieri del bosco o sentieri interrotti. Per Heidegger, gli Holzwege, sono sentieri del pensiero che iniziano al limitare della foresta e si snodano nel fitto della selva in cui l’uomo fa esperienza procedendo il proprio cammino (sulla via del futuro). La metafora, che nasce dalle passeggiate che Martin faceva nelle foreste, lascia intendere come nel bosco si proceda con una possibilità di previsione limitata; si avanza sempre con l’incombere della possibilità di smarrire la via principale! Ed è perciò che il pensiero umano non può, né dovrebbe, solo fissare una meta certa e definitiva ma invece dovrebbe procedere anche con la resilienza del saper affrontare un continuo sviamento, errando e tentando percorsi talora impervi e mai battuti prima, in cui mancano i consueti e acquetanti punti di riferimento familiari del già noto.
Non a caso, in un modello di pensiero narrativo, la foresta acquisisce significati metaforicamente pregnanti e significanti.

Come passeggiate in boschi narrativi (e mi sovvengono le Sei passeggiate nei boschi narrativi di Umberto Eco) e come passeggiate nella memoria di ciascuno di noi, possiamo trovare un filo di Arianna nel labirinto della selva/foresta (che è la vita alle prese con il futuro) nelle fiabe che abbiamo ascoltato da piccoli e raccontato da adulti.
In quelle fiabe – e di ciò vi ricorderete bene se riallacciate i fili neuronali – accadeva sovente che il nostro protagonista si perdesse nel bosco (da solo o in compagnia!), proprio come accadde per il nostro Poeta e come può accadere a ciascuno di noi nella propria avventurosa vita: singola, di coppia, familiare o di specie!
Lì, nelle storie – dopo numerose peripezie e al compimento del viaggio dell’eroe – il nostro eroe riesce quasi sempre a uscire dalla selva oscura vivo e solitamente arricchito (in resilienza e in senso spirituale, ma talora anche in senso materiale!).
Il favoloso linguista e antropologo russo Vladimir Propp, nelle sue analisi sulla morfologia delle fiabe (1928) e nel saggio Le radici storiche dei racconti di fate (1946), rintraccia gli elementi costitutivi delle fiabe ed il significato metaforico del passaggio nella foresta scura. Nella sua chiave di lettura, le fiabe popolari sono l’epifania di antichi riti di iniziazione legati al transito dei giovani dall’infanzia all’età adulta, quando i giovani iniziati dovevano affrontare le avversità dell’ambiente naturale e selvaggio che li circondava; tra le prove loro predisposte c’era anche quella dell’attraversamento della selva oscura, ossia lo smarrimento del sentiero, seguito dal ritrovamento della capanna dello sciamano e dal ritorno al villaggio in sembianze di adulti, e quindi non più bambini.
La impossibilità umana di prevedere e conoscere in anticipo il proprio futuro, in fondo, rende l’uomo quell’essere fragile ed orgoglioso che difende il proprio limitato spazio di libertà e libero arbitrio.
Le possibilità offerte dal pensiero errante, dai sentieri interrotti nel bosco, dai luoghi imperscrutabili (e perciò magici!) in cui ritualmente si entra per uscirne arricchiti (e anche la scienza è un rito ben congegnato e ben efficace se ben condotta!) suggeriscono che il limite imposto dal V Principio della Complessità (indecidibilità e incompletezza), ossia l’inevitabile smarrimento nella selva oscura, rappresenti una sfida per la scienza umana che sebbene invalicabile è anche garanzia di libertà e possibilità di umanizzazione dell’esistente!
La sola via che possa allontanarci da quel pensiero funesto, non mediterraneo e non apollineo (così mi immagino che si sarebbe espresso Albert Camus), che Louis-Ferdinand Céline esprime in questo triste e cinico passaggio de il Viaggio al termine della notte (1932) : [Pensandoci adesso, a tutti i matti che ho conosciuto dal vecchio Baryton], non posso fare a meno di dubitare che esistano altre autentiche realizzazioni del nostro io più profondo, che non siano la guerra e la malattia, questi due infiniti dell’incubo.
Invece, noi crediamo ancora che la nostra vita è come un viaggio / di un viandante nella notte / ognuno ha nel suo cammino / qualcosa che gli dà pena e che anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo, e che come incitava Camus, bisogna immaginare Sisifo felice.
E allora: le scommesse sono aperte: chi sarà il Re del goal del Qatar 2022?, oggi che stiamo per dare l’addio calcistico anche alla generazione Eighty? Oggi che, per i bookmakers, Ronaldo e Messi hanno già deposto lo scettro dei re del goal, a favore di Kane (quotato 7,50) e Mbappè (quotato 9,00)?
In tanti giocheremo, e scommetto che in pochi vinceranno.
E se tra i vincitori troverete i bookmakers, non meravigliatevi: potenza e magia della scienza, quella vera!
Finisce sempre così,
con la morte;
prima, però, c’è stata la vita nascosta sotto i bla bla bla;
è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il dolore,
il silenzio e il sentimento,
l’emozione e la paura;
gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza
e poi lo squallore disgraziato
e l’uomo miserabile;
tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo di stare al mondo
… bla, bla, bla, bla;
altrove c’è l’altrove, io non mi occupo dell’altrove;
dunque, che questo romanzo abbia inizio;
in fondo è solo un trucco,
sì … è solo un trucco.
Monologo di Jep Gambardella
da La grande bellezza
(film pluripremiato del 2013, di Paolo Sorrentino e Umberto Contarello)

Beniamino Casale, responsabile IPAS Terapie Molecolari e Immunologiche in Oncologia – AO dei Colli – Ospedale Monaldi.