E se anche il lockdown diventasse abitudine?
E se anche il lockdown diventasse abitudine?
Non provate anche voi la sensazione che questo secondo stop forzato non sia per nulla emotivamente paragonabile al primo?
L’uomo è abitudine, l’uomo è adattamento, l’uomo è quello che gli dai.
Pensate che senza la TV le persone non sapessero cosa fare?
Pensate che senza lo sport gli uomini non sapessero come dar sfogo alle proprie attitudini fisiche?
Pensate che senza il WiFi non si riuscisse a passare il tempo?

Il primo lockdown aveva qualcosa di magico, portava con sé ansie e paure, mentre questa seconda chiusura porta con sé un’unica ansia: uscirne prima di Natale, per inseguire un cenone o per azzuffarsi su un cartellone della tombola.
Ma perché, pur vedendo che questa seconda ondata è addirittura più feroce e aggressiva della prima, siamo tutti meno in lockdown?
Perché le nostre menti non sono andate in pausa come a marzo, restando invece ostinatamente accese sulla quotidianità?
A marzo mi domandavo della mia esistenza, m’interrogavo sui miei bambini e la loro crescita, guardavo indietro pensando a cosa fosse stata la mia vita fino a quei giorni.
Oggi no. Oggi ho paura ma non troppa, oggi i miei figli hanno perfettamente assorbito il colpo e fanno la DAD come io sbuccio un mandarino, oggi non guardo a ieri ma penso a domani.
Una risposta certa non la posseggo, ma un’idea me la sto facendo: l’uomo non è altro che quello che ha attorno, è sempre stato così e sempre lo sarà.
Se stare chiusi diventasse una condizione definitiva, troveremmo il modo per essere felici ugualmente, come dice un vecchio adagio nel raccontare la proverbiale resistenza del napoletano, che se fa sicc ma nun mor, e forse sarebbe l’intera umanità a farsi secca senza morire.

Francesco Capone, Biologo specializzato in Informazione Scientifica del Farmaco, calciatore modesto, padre innamorato, commerciale di pacemaker midollari