Effervescenza collettiva in tempo di isolamento fisico e social media

L’uomo è un animale sociale, proteso alla convivenza e alla convivialità, pur essendo spesso protagonista  di conflitti e ostilità che la vita in società, in quanto tale, comporta.

Emile Durkheim, sociologo francese vissuto tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, utilizzò il concetto di “effervescenza collettiva” per rappresentare l’eccitazione emotiva condivisa che le persone provano durante le cerimonie religiose; lo stesso concetto può essere rapportato alle emozioni vissute in sintonia con gli altri durante un evento sportivo o anche un concerto o una manifestazione importante, vale a dire in tutte quelle occasioni in cui ci si rende conto di far parte di qualcosa di più grande rispetto alla propria individualità e di sperimentare sentimenti spirituali a forte impronta collettiva.

La musica alle Tuileries, Manet

E’ il momento, straordinario, in cui l’io diventa noi e l’individualità cede il posto a un forte senso di appartenenza.

L’isolamento cui l’epidemia Covid-19 ci ha costretto nella prima parte dell’anno ha fatto emergere, con prepotenza, quanto, nell’uomo, sia profonda l’esigenza di sentirsi parte di un gruppo e di condividere la quotidianità con i propri simili, anche se tale quotidianità è spesso animata da litigi, antipatie e recriminazioni di vario genere.

Soprattutto nelle prime fasi del lockdown (isolamento) stabilito dal Governo, l’azione è stata percepita quasi come una condanna e una minaccia alla propria libertà personale piuttosto che come un atto di conservazione della propria salute, tanto che non sono mancate, soprattutto nelle fasce più giovani, reazioni riconducibili ad atti di ribellione (“il Governo non può costringermi a casa, io esco per l’aperitivo”) che hanno prodotto l’effetto di restrizioni via via più severe.

Anche le poche possibilità di incontro con gli altri, legate a necessità improrogabili, hanno risentito delle limitazioni cui attenersi: le file per entrare al supermercato o in farmacia sono state regolate da una distanza di sicurezza piuttosto ampia; la comunicazione verbale, già complicata dalla distanza fisica, è stata resa ancora più impacciata dall’utilizzo di mascherine protettive; l’utilizzo dei mezzi pubblici, per chi aveva assoluta necessità di servirsene, ha visto pochi viaggiatori in vagoni e bus puliti, certo, ma anche vuoti e troppo silenziosi; le strade cittadine, prive di quel traffico veicolare tante volte disprezzato, sono improvvisamente apparse malinconiche e tristi.

L’uomo ha, allora, capito che doveva trovare un rimedio al suo isolamento, pur restando in casa…

I social sono stati di grande aiuto: Facebook ha visto la nascita di medici, statistici, sociologi, psicologi, esperti di comunicazione e di ogni altra figura professionale che potesse avere voce per dare il proprio contributo scientifico all’argomento Covid-19;  i dibattiti si sono susseguiti numerosi, soprattutto dopo la lettura del bollettino della Protezione Civile alle 18 di ogni pomeriggio: cittadini di ogni città e latitudine si sono confrontati sullo stesso argomento, utilizzando, senza troppi convenevoli, linguaggi talvolta dai toni accesi e aspri.

Spesso, le notizie vere vengono superate, per numero e dovizia di particolari dalle ben note fake news, notizie false che penetrano nei social media con la stessa facilità “di un coltello rovente nel burro”: la semplicità di condivisone dei post le rende in pochissimo tempo fruibili ai milioni di iscritti a Facebook, creando confusione e relative discussioni sulla presunta o meno veridicità delle stesse; anche in questo caso, i dibattiti aperti riescono a limitare le distanze e a creare animati salotti virtuali.

Su WhatsApp sono aumentate le chat di gruppo o, almeno, hanno preso a funzionare con maggiore frequenza quelle esistenti: è nato ‘l’aperitivo virtuale’, un modo per vedersi con gli amici, ognuno con il suo bicchiere tra le mani, parlando come se si stesse seduti al tavolino del bar in piazza.

Si è scoperto che si può lavorare da casa e seguire corsi e lezioni senza allontanarsi dal soggiorno, colloquiando con professori, datori di lavoro, clienti, studenti…

La televisione ci ha portato, giorno dopo giorno, nelle varie realtà italiane: abbiamo visto ospedali allo stremo, medici e operatori sanitari nascosti o quasi sotto tute protettive e mascherine, abbiamo ascoltato il pianto di persone sconosciute, che nelle tragedie diventano i vicini di casa di tutti.

E poi sono arrivati i flashmob: canti dai balconi, l’aspetto più innovativo ed emozionante di questa ritrovata socialità “individuale”. Gruppi di abitanti di uno stesso quartiere, ognuno alla finestra o al balcone della propria abitazione, hanno dato voce alle paure e alla solitudine cantando e suonando: come un’onda musicale, da un quartiere all’altro, da una città all’altra, canzoni e brani che hanno raggiunto e sostenuto l’intera Italia.

Paradossalmente, dunque, non mi sembra azzardato affermare che l’isolamento sociale, pur nella sua rigida chiusura, ha prodotto coesione e senso di appartenenza: il Papa, nella speciale benedizione urbi et orbi del 29 marzo, solo in una piazza San Pietro spaventosamente vuota, ha raccolto ed unito in un abbraccio virtuale il mondo intero, senza confini geografici, sociali, religiosi.

E mai abbraccio è stato più caloroso e accogliente.

E allora, pur nel rispetto di chi, nel frangente, stava purtroppo male, ringraziamo l’effervescenza collettiva procurata dai canti sui balconi e dagli aperitivi virtuali e cerchiamo di conservarne gli effetti positivi: non ci avranno resi immuni al Covid-19, ma, sicuramente, ci hanno aiutato a tenere più alto il morale e a farci sentire parte integrante di un meraviglioso tutto e, ancor di più dopo questa esperienza, di una mai scontata quotidianità.

Rosa Maria Bevilacqua, Sociologa, Delegata Regionale Sanità A.S.I. (Associazione Sociologi Italiani)

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