Le emozioni di una figlia raccontate in un breve diario sulla malattia della madre
Carola Pulvirenti ha intervistato Alessandra Scarabello, dermatologa presso l’Istituto Nazionale Malattie Infettive L. Spallanzani di Roma, che ha la mamma ricoverata per Covid19 in Emilia.

Il dipinto, scelto da lei stessa, è L’abbraccio di Klimt: proprio quello che manca in questo periodo, soprattutto a chi ha un familiare ricoverato in ospedale
21 Aprile 2020. Sono in attesa della consueta telefonata in cui mi comunicano le condizioni della mamma. In genere mi chiamano verso le ore 14, sono le 17 e la telefonata non arriva.
Ascoltando la Dottoressa in più occasioni, la sensazione percepita è quella di un’emozione costantemente sospesa, che ti fa prendere il fiato, ma ti impedisce di mandarlo via completamente. Forse questa sensazione accompagna molte persone che hanno i familiari ricoverati in isolamento per Covid. –
Prima del Covid19 la mamma viveva da sola in Emilia, a cinquecento chilometri di distanza da me, una vedova autonoma, molto dinamica e intraprendente.
Primi sintomi. Lunedì 15 marzo al telefono la mamma mi ha riferito di avere tosse e febbre, così l’ho invitata a fare il tampone per Covid. Martedì, ha avuto forti dolori muscolari. Mercoledì mattina mi ha detto che era caduta dal letto e non riusciva ad alzarsi. Mia sorella, abita vicino, ma aveva febbre ed astenia. Ho chiesto al nipote di andare a casa della nonna per aiutarla ad alzarsi e così ha fatto.
Tre giorni nel vuoto.
Ho perso il contatto con la mamma fino a domenica mattina, quando finalmente ha risposto al telefono: diceva di star bene, ma sentivo la voce affannata.
L’arrivo dei soccorsi
Lunedì 23 marzo mattina non si sentiva bene, le ho detto di chiamare il 118. La saturazione era all’85%, un pessimo valore. Nel pomeriggio è arrivata l’ambulanza che l’ha portata in ospedale. La comunicazione è stata subito difficile: mamma rispondeva al telefono, ma parlava poco a causa della mascherina per l’ossigeno ed era affannata. Dopo pochi giorni il telefono si è spento ed ho perso nuovamente i contatti con Lei.
Il silenzio della mamma per 19 giorni.
Nell’ospedale dove è ricoverata la mamma, c’è un medico deputato a contattare quotidianamente i familiari, informandoli sulla base delle consegne ricevute dai colleghi del reparto: dati clinici. Come medico, quei dati non mi bastano, vorrei avere un quadro più completo; come figlia invece, vorrei sapere davvero come la mamma si sente, al di là di quei numeri. Ma il medico che dà le informazioni non può rispondermi perché non ha mai visto la mamma.
Finalmente la voce
Il 16 aprile è arrivata una telefonata, per il consenso alla somministrazione di Tocilizumab. Il collega è vicino alla mamma e mi permette di scambiare due parole con lei. Ho il cuore in gola, ma la gioia dura poco, la mamma non riesce ad articolare le parole, è confusa, stremata e affannata. Per la prima volta apprendo come sta: decisamente male. Ne approfitto comunque per rincuorarla e incoraggiarla.
La notizia più attesa
Il 18 aprile il bollettino telefonico quotidiano riferisce che la mamma si mostra più reattiva, chiacchiera e presenta alcune sue esigenze. Sarà l’effetto del farmaco o delle poche parole scambiate con me?
Conclusione
In questo periodo le notizie buone e meno buone si alternano come le emozioni, se sabato la situazione sembrava in miglioramento, adesso siamo in attesa di una telefonata che tarda ad arrivare: perché?
Il respiro, ciclo vitale di inspirazione ed espirazione appare incompleto per entrambe: la figlia, sempre col cuore sospeso, sembra arrestarsi nell’inspirazione. La mamma, colpita dal coronavirus, inspira con difficoltà ed il corpo esausto sembra adagiarsi sfinito in un prolungato atto espiratorio.

Carola Pulvirenti, Infermiera Dermatologia I.N.M.I. Spallanzani, Roma, Vicepresidente A.N.P.P.I. (Associazione Nazionale Pemfigo Pemfigoide Italy)