Empatia ed ascolto empatico: una speciale alchimia tra medico e paziente.

L’incontro con la malattia impone sempre una rivisitazione dell’equilibrio emotivo dell’individuo; la fase di adattamento alla nuova situazione di uomo-malato è ancora più complicata quando si tratta di malattia cronica, sebbene ogni tipo di malattia, con modalità differenti, imponga un ri-assestamento del vissuto quotidiano del paziente.

In questo particolare contesto, dove l’individuo sano assume il ruolo di individuo malato (e il passaggio è stato chiaramente descritto dal sociologo Edward Suchman), diviene rilevante e fondamentale un nuovo rapporto, quello che si instaura tra paziente e medico che è, essenzialmente, una relazione basata sull’empatia, ossia sulla capacità dell’uno di immedesimarsi nello stato d’animo dell’altro (in questo caso del medico nei confronti del paziente) senza esserne sopraffatto.

La filosofa tedesca Edith Stein ha elaborato una definizione più complessa del termine, affermando che l’empatia non è un processo di immedesimazione quanto piuttosto di comprensione.

Essere empatico significa entrare in contatto con i sentimenti di una persona, senza pregiudizi e preconcetti; essere medico empatico significa comprendere e sostenere il paziente ed aiutarlo, anche grazie a questa comprensione, a riappropriarsi ed essere protagonista del suo vissuto quotidiano.

Talcott Parsons, sociologo statunitense, esponente di spicco della sociologia della salute e della malattia, considerava la patologia come una devianza istituzionalizzata rispetto al funzionamento della società ed attribuiva al medico l’arduo compito di valutare, controllare, sostenere il paziente, reintegrandolo nel suo ruolo sociale.

Nella relazione tra curante e paziente si crea una sorta di confidenza particolare, sia fisica che emotiva, ma scevra di coinvolgimenti sentimentali e personali.

Il paziente, quando sceglie il suo medico, è consapevole di affidargli la propria salute, la propria intimità, il proprio corpo, a volte la propria vita e, al contempo, le proprie paure, speranze, aspettative.

Un medico, per essere empatico, deve possedere alcune caratteristiche: deve saper comprendere i sentimenti del paziente, ossia capirne lo stato d’animo, senza però essere remissivo e compiacente; deve riuscire a costruire un rapporto di fiducia con il paziente, ma anche con le persone a lui più prossime; deve saper ascoltare il paziente, rendendolo partecipe del suo percorso di cura; deve utilizzare un linguaggio semplice, diretto e chiaro, per evitare fraintendimenti ed equivoci.

Il medico dovrebbe essere sacerdote e magistrato e oratore e milite nel suo ministero:

pietà, sapienza, coraggio, eloquenza

 (Nicolò Tommaseo)

Strettamente correlato alla relazione empatica, è l’ascolto empatico, fatto di attenzione, interesse, partecipazione, coinvolgimento, perché ascoltando, non solo sentendo il proprio assistito, il professionista sanitario diventa artefice, nei confronti del paziente, del sublime passaggio dal to cure al to care: dal curare al prendersi cura e delle svariate sfumature che caratterizzano il processo.

In sanità, il tempo dedicato all’ascolto è tempo di cura e nulla, di quanto il paziente comunica, deve andare perso: egli deve poter contare su un professionista capace di raccoglieree accogliere la sua voce, così da infondergli coraggio e fiducia, dando significato alle procedure, alle terapie, ai controlli cui, fragile ed impaurito, dovrà sottoporsi.

E ancora, e forse soprattutto, il medico, nel significato più ippocratico della professione, qualunque patologia si trovi a diagnosticare, non deve mai togliere la speranzaal paziente, perché un paziente al quale è stata tolta la speranza, è un paziente che ha perso la sua battaglia con la malattia ancor prima di cominciarla.

Rosa Maria Bevilacqua Sociologa A.O.R.N. “San Giuseppe Moscati” Avellino Docente Corsi di Laurea Professioni Sanitarie Università della Campania Luigi Vanvitelli Master in Medical Humanities perfezionamento in Malattie Rare e in Bioetica.

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