Enigmi, giochi di parole, indovinelli, doppi sensi, acrobazie linguistiche presenti nel carattere napoletano, frutto, storicamente, di diversità etniche: Greci, Romani, Orientali, Svevi, Francesi, Spagnoli, che hanno lasciato le loro tracce in questa città che è insieme triste e allegra, avendo ereditato dai popoli che l’hanno attraversata nei millenni tutto e il contrario di tutto.
Terra misteriosa, magmatica e magnetica che affonda le sue radici…enigmistiche a Cuma, dove si incontrano i miti di Dedalo e della Sibilla.
Dedalo è il creatore del Labirinto, una costruzione con una pianta così piena di meandri e così complicata che era impossibile uscirne e che proprio per la sua tortuosità, nel linguaggio comune, viene considerato un vero e proprio enigma. Egli, dopo essere fuggito dal Labirinto in cui era stato imprigionato da Minosse insieme al figlio Icaro, grazie alle ali che si era costruito, arrivò volando, sano e salvo, sulla rocca di Cuma. Per ringraziare Apollo che l’aveva protetto, innalzò, come racconta Virgilio nel VI canto dell’Eneide, in quel luogo un tempio dedicato al Dio e per devozione, come un ex voto, lasciò le sue ali nel tempio scolpendo anche le sue porte d’oro con le scene della sua vita a Creta, fra le quali quelle dell’intricatissimo Labirinto.
E non è una specie di Labirinto anche il centro antico greco di Napoli disegnato secondo il modello disegnato da Ippodamo da Mileto nel V secolo a.c. in cui si intersecano quelli che comunemente sono chiamati Decumani e Cardi in un gomitolo inestricabile di vicoli e vicoletti in cui quasi ci si perde?
L’altra figura è la Sibilla, famosa per i suoi messaggi criptici affidati alle foglie su cui scriveva frasi da interpretare come il celebre “ibis redibis non morieris in bello”in cui se si spostava la foglia del”non” il senso cambiava ed il soldato che prima andava e ritornava non morendo in guerra, sarebbe andato ma non sarebbe tornato dalla guerra.
Spostandoci da Cuma a Pompei, poi, incontriamo il misterioso Quadrato magico, trovato nel corso degli scavi:
SATOR
AREPO
TENET
OPERA
ROTAS
Un vero rompicapo che si può leggere, ugualmente, da sinistra a destra e da destra a sinistra, da sopra a sotto e da sotto a sopra e che significherebbe letteralmente :Il Seminatore, con il suo carro, tiene con cura le ruote. Ma che vuol dire? Poiché il Quadrato è stato successivamente trovato in vari luoghi dell’Impero romano e in Chiese e conventi se ne è voluta dare un’interpretazione religiosa per testimoniare la diffusione del Cristianesimo.
Partendo dalla lettura della parola “TENET” del Quadrato pompeiano si può notare che questa parola letta in verticale incrociata con il braccio orizzontale dell’altro TENET assume il disegno di una croce, nella quale già la lettera “T” è una croce!
Nel 1926 un pastore evangelico, convinto del significato cristiano del Quadrato (che doveva essere nascosto in un’epoca di persecuzione da parte degli imperatori), abilmente scompose e riordinò le 25 lettere ed ottenne un risultato sorprendente:
A
__
P
A
T
E
R
A | P A T E R N O S T E R | O
O
S
T
E
R
__
O
cioè una croce con il Pater Noster e le due A e le due O come alfa e omega, l’inizio e la fine! Forse è una spiegazione forzata, ma ciò non toglie che sia geniale.
Passarono i secoli bui e un napoletano d’adozione, Giovanni Boccaccio, si divertì a giocare con le parole nel suo romanzo scritto a Napoli nel 1336: il Filocolo, una storia d’amore, in cui appaiono quattro “allegre” fanciulle partenopee che si chiamano Alleiram, Airam, Asenga e Annavoi che nascondono i nomi di Mariella, Maria, Agnesa e Iovanna scritti al contrario.
Nel ‘600 il grande favolista giuglianese, Giovan Battista Basile, autore di quel meraviglioso libro di fiabe che è Lo Cunto de li Cunti, da cui hanno pescato a piene mani Perrault e Grimm, scrisse un volumetto nel quale ha anagrammato 71 nomi di dame napoletane e 35 di Nobili come ad esempio Giovanna D’Achiro=chi già non v’adora? oppure in occasione della morte della Duchessa di Mantova -Lionora Medici=dimora in ciel. Firmò il volumetto con lo pseudonimo Gian Alesio Abbattutis anagramma del suo nome e cognome.
In una visita ad una chiesa fuori Napoli ho letto, su una lapide collocata vicino alla reliquia della mano di San Tommaso D’Aquino, un pensiero in cui il secondo rigo è l’anagramma del primo:
Sanctus Thomas E Aquino
Hic sto manu qua sonat es
che fa riferimento proprio alla reliquia della mano lì conservata.
Una curiosità enigmistica è legata al Vesuvio, infatti dopo la terribile eruzione del 1631 un religioso, Pietro Grimaldi, scrisse un componimento in latino di 58 parole, che iniziava con la v oppure con la u (la grafia dell’epoca attribuiva alla V anche il valore di una U) in cui immaginava che il Vulcano parlasse in prima persona ricordando la potenza del Creatore e che cominciava così: “Viator veni vide varias vicissitudines volubiles vitae vanitates…”cioè “O passeggero vieni, vedi le varie vicende e le volubili vanità della vita…”e proseguiva con altre cinquantadue V!
Sempre nell’ambito religioso possiamo trovare uno strano gioco di parole “Nolani Nolae nolas nolare nolunt” ovvero i Nolani non vogliono(portare) le campane della torre campanaria di Nola (nolas sono le campane ad uso religioso, che secondo la tradizione sarebbero state inventate da San Paolino da Nola).
Questi giochi appartengono ad un mondo culturale in cui si sono mosse, nei secoli, le maggiori intelligenze come Leonardo che si dilettava di rebus o Galilei che componeva anagrammi, un mondo in cui esisteva un tal Tommaso Billon, anagrammista presso la Corte di Luigi XIII, che veniva stipendiato per questa attività.
Ma accanto a questa enigmistica colta c’era anche quella popolare a Napoli, fatta da deformazioni di parole, da indovinelli semplici legati alla vita quotidiana, che si caratterizzano per uno spirito volgare, ma non osceno, anche se il senso apparente di alcuni indovinelli è molto “osè”.
Sono diversi gli esempi divertenti di deformazione delle parole come: “ ‘A capa ‘e zì Vicienzo”, che non vuol dire la testa di zio Vincenzo, ma bensì “caput sine censo”, cioè una persona senza reddito e quindi esente dalle tasse.
Un’altra espressione è fare “zitabona”, che non si riferisce ad una bella fanciulla, ma che significa invece “cedere i beni”. Nel’500 per indicare un soggetto che aveva fatto fallimento lo si portava dinanzi al palazzo del Tribunale (oggi nel giardinetto davanti Porta Capuana è indicato il luogo dove avveniva la cerimonia pubblica) e qui il debitore, messo su una colonna, cedeva i suoi beni per saldare i debiti e quindi zita (corruzione del verbo latino cedere) e bona che erano le proprietà.
Sempre in materia di tasse, (la vera ossessione del cittadino), un’altra espressione popolare era “Passa ‘a vacca, che non è un passaggio di mucche, ma è legato al Dazio:una volta, quando si entrava in città, i gabellieri riscuotevano una tassa sulle merci che contadini e mercanti introducevano in città, ma se il soggetto non portava nulla per cui dovesse pagare un’imposta, il gabelliere diceva “Passat vacuus” cioè “Passa esente”.
Piazza Ottocalli, vicino piazza Carlo III si chiama così perché bisognava pagare un pedaggio:callo era la contrazione di cavallo che era inciso su monete di modesto valore.
Gli indovinelli popolari si distinguono da quelli colti, perché sono espressione di un mondo legato alla campagna, al lavoro, al sesso, a quel mondo conosciuto da persone semplici. E’ soprattutto nell’Ottocento che si sviluppa questo filone e gli indovinelli sono divertenti perché vengono dall’animo ingenuo di chi li ha pensati come ad esempio “Dimme tre minerali ca cominciano per A” “Boh” “ Songo l’attone, ‘a ramma e abbrunzo”(l’ottone, il rame che in dialetto è preceduto dall’articolo ‘a e il bronzo). “e allora dimme ‘nu metallo trasparente” “nun’o saccio”- “ ‘O canciello ‘e fierro ” “e ‘nu metallo ancora cchiù trasparente? “ ‘nu canciello ‘e fierro…apierto”!.
Facciamo qualche altro esempio di indovinello dall’apparenza “sexy”: “Panza e panza, pietto e pietto chell’e miezo fa l’effetto”- soluzione : la chitarra
oppure “Uh che gusto, uh che gusto quanno Madama se sponta ‘o busto! Quann’arriva a metà vi’ che gusto ca te dà”- soluzione : la sfogliatella riccia
ed infine l’apparentemente scandaloso “papà ‘o ‘ ntosta e mammà l’ammoscia” -soluzione : il sacco di farina.
Ce ne sono anche altri più piccanti e questo testimonia il rapporto scanzonato che la cultura popolare aveva nei confronti del sesso in un secolo in cui, nascondendosi dietro l’anonimato, famosi scrittori come Di Giacomo, Ferdinando Russo e D’Annunzio scrivevano versi erotici ai limiti della pornografia:una raccolta che è stata chiamata l’Inferno della poesia napoletana. Fra questi c’era anche il Marchese di Caccavone (comune del Molise oggi chiamato Poggio Sannita) che oltre che a scrivere poesie erotiche si divertiva anche con l’enigmistica come si può leggere in questo indovinello anti-francese: “Quando sarà che il salvator progresso/farà che i Galli saran giusti e buoni?/Quando la Senna muterà di sesso”, Il gioco si basa sul cambio finale di vocale della parola Senna e cioè quando i Galli acquisteranno il Senno.
Nel 1877 fu pubblicata la prima rivista napoletana di Enigmistica classica, (che si distingue da quella popolare, perché la prima è fatta da giochi in versi e crittografie, la seconda da parole crociate e quiz) “La Sfinge” con la collaborazione di Francesco Mastriani, un famoso autore di romanzi dell’epoca come “La cieca di Sorrento”, cui seguirono altre riviste fino ad arrivare all’ultima, “La Sibilla”, con sede a Bagnoli fondata nel 1975 da Guido Iazzetta, che continua ancora oggi dopo 47 anni ad interessare i suoi abbonati, che aguzzano l’ingegno per risolvere i giochi pubblicati.
Proprio sulla “Sibilla” un grande enigmista campano il dottor Giovanni Caso, che si firma con lo pseudonimo di Cleos, pubblicò un suo Enigma in napoletano:
‘O ‘nduvinello d’a sposa
Scenneva chiano cu’nu velo janche
e nu’merletto tutto arricamato
cu’stelle e cu’ farfalle aggraziate
e ‘a mantellina fresca ‘ncoppa ‘e cianche.
‘O cielo era ‘na festa’e sciuri e voli
e tutt’attuorno ‘e petale carevano;
guagliune e guagliuncelle mo’currevano
pe’assapurà ‘e confiette ‘e sta figliola
ca pareva ‘nu fiocco, accussì bella,
tutto’nu riso ‘mmiezo a stu candore
ca faceva tremmà perfino’a pelle.
E, quanno fu ‘o rinfresco, essa redeva
mmiezo’e cristalli chiari e ‘nu splendore:
e, dint’o sole, ’e llacreme scioglieva.
(soluzione: La neve)
Moltissimi giochi di parole sono presenti nelle farse, nelle commedie, nelle canzoni, nel cinema (come non ricordare Totò sceicco, quando dice “Vide Omar quant’è bello, spira tanto sentimento), ma anche al mercato, quando il fruttivendolo grida un indovinello: “Magnate, vevite e ve lavate ‘a faccia”, alludendo al cocomero rosso oppure per la strada quando leggete insegne di negozi come“Int’o street” oppure Capa-Toast.
Gli scugnizzi, anche, si divertivano a fare scherzi giocando sul doppio senso. Una volta individuata una coppia di sposi novelli andavano sotto al palazzo e premevano la suoneria dell’appartamento: lo sposo rispondeva e loro con la scusa di cercare un condomino gridavano “C’è Caputo?” e scappavano ridendo inseguiti dalle parolacce del fresco sposo.
La deformazione delle parole straniere poi è diventata di linguaggio comune: dopo la seconda guerra mondiale, infatti nacque la parola Sciuscià dall’inglese shoe-shine e soprattutto i venditori di sigarette di contrabbando storpiavano gridando dai loro banchetti i nomi delle marche esposte: Player’s, (su cui c’era un marinaio barbuto) Chesterfield, Lucky Strike, Pall Mall, che diventavano in bocca a loro una frase: “ ’O viecchio ca’ barba ‘ncoppa ‘o cesso ‘e fierro allucca e strilla …e l’ultima ve la lascio immaginare. Napoli gran teatro:è capitato che gli operai dell’ENEL si sono presentati in un basso per tagliare la corrente ad una signora che non pagava la bolletta da tempo: “Signò’ nui avimmo STACCA’ ” e la signora “Pur’io sto CCA’, v’o pigliate’nu cafè ?”.

Sergio Giaquinto, Giurista, già Dirigente Amministrativo dell’A.O. dei Colli, cultore di Storia e Archeologia