Si è da poco conclusa la 72° edizione del Festival di Sanremo, il Festival della Canzone Italiana.
La maratona musicale si tiene, senza alcuna interruzione, dal 1951, anno in cui nacque con lo scopo di aumentare il turismo invernale a Sanremo, ridente cittadina ligure conosciuta, prima degli anni ’50, soprattutto per le numerose coltivazioni di fiori che le hanno regalato l’appellativo di Città dei fiori.
Dal 1955 la kermesse viene trasmessa dalla rete ammiraglia della RAI.
La storia del Festival di Sanremo è strettamente legata alla storia della nostra Penisola: il Festival è soprattutto musica, ma anche qualcosa di più.
Sul palco, insieme a conduttori, cantanti e musicisti, si sono succeduti e si succedono vicende e decenni della storia italiana: negli anni ’60, in linea con quanto accadeva in Italia, iniziarono ad essere presentate le prime canzoni che affrontavano problematiche sociali, ribellioni e contestazioni; negli anni ’70 la manifestazione ha vissuto un periodo di declino, recuperato poi in parte nei decenni successivi. Attualmente il Festival di Sanremo sta vivendo una fase di rinascita e di nuovo entusiasmo, anche se talvolta il successo è legato ad esibizioni che sembrano promuovere, o almeno non condannare palesemente, comportamenti oggettivamente diseducativi e poco adatti ad un pubblico giovane e disincantato incline all’imitazione e all’emulazione.
L’edizione 2023 è stata la prima, dopo gli anni del Covid, vissuta senza tamponi, restrizioni e mascherine in sala.
Il sociologo francese Emile Durkheim affermava che la musica contribuisce a plasmare una identità cognitiva: la musica crea coesione, rafforza il gruppo, trasmette messaggi educativi (e, nella società attuale, talvolta diseducativi), crea senso di appartenenza.
Sanremo: un’istituzione nazionale che segna un raccordo tra diverse generazioni, capace di cambiare pelle come è cambiata la nostra società, garantendone una sorta di continuità, in particolare tra le generazioni più giovani. In più, la kermesse ha contribuito a costruire la memoria, la fisionomia culturale di questo Paese.
(Ercole Parini – Sociologo).
Il Festival di Sanremo ha sottolineato, e a volte anticipato, gli usi, i costumi, i comportamenti di un Paese in costante evoluzione: nei primi anni, la kermesse la si ascoltava per radio, durava una sola serata, i cantanti erano pochi e ognuno di loro interpretava più canzoni… poi la manifestazione è arrivata in televisione, regalando inizialmente al pubblico immagini sfocate e senza colori guardate insieme agli amici nei pochi circoli e balere che disponevano di TV… via via sono aumentate le serate dedicate all’esibizione dei cantanti e anche le ore di programmazione delle singole puntate si sono allungate… Oggi la manifestazione si segue in TV, su Facebook, Instagram, se ne discute attraverso WhatsApp e Messenger, si condividono video e canzoni su Tik Tok e tiene compagnia al pubblico per cinque lunghe serate.
Anche se con modalità diverse, da sempre le serate sanremesi dedicate alle canzoni e alla musica vengono vissute come un vero e proprio rituale condiviso, la cui espressione più alta è la capacità di creare coesione e condivisione non solo tra persone di una stessa generazione, ma anche di generazioni diverse; uomini e donne di tutte le età si ritrovano a vivere una sorta di cerimonia pubblica, nella quale vengono superate le diversità quotidiane (lavoro, interessi, istruzione…), ritrovandosi parte integrante di un gruppo omogeneo.
Il Festival della Canzone Italiana si può amare, aspettare, criticare, disapprovare, ma qualunque siano le emozioni e le sensazioni che produce, ad esso va il grande merito di riuscire a regalare qualche giorno di sana leggerezza facendo sorridere anche chi, nella vita di tutti i giorni, ha pochi motivi per farlo… e a sipario chiuso, fermandosi ad ascoltare le note guidate dal cuore, sarebbe bello sentire ancora il profumo di quei fiori che nel 1951 diedero il titolo alla canzone vincitrice, Grazie dei fiori, piuttosto che vedere gli stessi fiori distrutti sul palco nell’edizione di quest’anno, dall’istinto violento di chi, di quel citato rituale condiviso, non merita di far parte.

Rosa Maria Bevilacqua, Sociologa, A.O.R.N. “San Giuseppe Moscati”- Avellino, Delegata alla Sanità ASI (Associazione Sociologi Italiani)