Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta

Così comincia il nostro Inno nazionale, che presenta alcune singolarità: il vero titolo, infatti, non è Fratelli d’Italia come comunemente si pensa, ma bensì Il Canto degli Italiani, conosciuto soprattutto con il nome L’inno di Mameli, autore dei versi, mentre si dovrebbe ricordare anche chi ha composto la musica, il genovese Michele Novaro: noi diciamo giustamente che l’Aida è di Giuseppe Verdi e non di Antonio Ghislanzoni che ha scritto il libretto, ma si vede che la retorica patriottica delle parole e la morte del poeta avvenuta a 21 anni mentre difendeva la Repubblica romana nel 1849 commuove più della musica.

Anche se può sembrare incredibile il Canto degli Italiani è ufficialmente diventato nostro Inno nazionale solo con la legge del 4 dicembre 2017!

Da repubblicano di fede mazziniana, Mameli scrisse i suoi versi nel 1847, in un’epoca risorgimentale che voleva l’Unità dell’Italia: divennero popolarissimi durante le guerre d’Indipendenza, cantati dai Patrioti e dai soldati e anche nelle guerre successive, però il Canto non diventò ufficialmente Inno dell’Italia unita perché quando Vittorio Emanuele II fu proclamato Re, non potette accettarne uno di ispirazione repubblicana, per cui Inno nazionale diventò la Marcia Reale, che era l’inno dei Savoia, e che rimarrà tale fino alla caduta della Monarchia.

Nel corso degli ultimi Mondiali di calcio in Qatar la Nazionale di calcio polacca ha cantato l’Inno nazionale che si chiama Canto delle legioni polacche in Italia, detto anche la Mazurka di Dabrowski, scritto a Reggio Emilia nel 1797 da un tenente dell’Armata polacca, nel cui ritornello è detto in marcia Dabrowski, dalla terra italiana alla Polonia, stranamente nel Canto degli Italiani c’è un verso nella quinta strofa che cita la Polonia: già il sangue d’Italia e il sangue polacco bevè col Cosacco, ma il cor le bruciò. La doppia citazione Italia – Polonia nei rispettivi inni costituisce un unicum al mondo.

Una delle prime registrazioni sonore del Canto degli Italiani, che consentì ai nostri connazionali di conoscerlo bene, si ebbe nel 1915 grazie ad un tenore napoletano che incise il disco per la Phonotype, casa musicale partenopea.

Un simpatico episodio avvenne in occasione delle Olimpiadi del 1920 tenutesi ad Anversa: in occasione della premiazione dell’atleta italiano Ugo Frigerio medaglia d’oro nella gara di Marcia, la Banda musicale si accorse di non avere lo spartito per suonare, guarda un po’ che combinazione, la Marcia… Reale, l’Inno nazionale italiano.

Si vissero momenti di imbarazzo, ma ecco l’idea: in sostituzione, la Banda improvvisò come Inno ‘O sole mio, conosciuto da tutti i musicanti, per cui il tricolore salì sul pennone accompagnato dalla musica di che bella cosa è ‘na jurnata ‘e sole!

Dopo l’armistizio del 1943 fu considerato Inno provvisorio nazionale La Canzone del Piave: Il Piave mormorava…, ma immediatamente dopo, nel 1947, il Canto degli Italiani lo sostituì come Inno nazionale provvisorio e solo dopo un lungo iter, quando si era indecisi se preferirlo a La canzone del Piave o al Va’ pensiero di Verdi si è arrivati nel 2017 a rendere definitiva la scelta.

Le storie più strane riguardano i due inni nazionali forse più famosi al mondo: God save the King (o Queen, dipende dal momento) e la Marsigliese entrambe, per quanto possa apparire straordinario, sarebbero state composte da due musicisti italiani!

Il primo, l’inno inglese, è un adattamento di Grand Dieu sauve le roi del fiorentino Giovan Battista Lulli (o Lully per dirla alla francese), musicista di corte di Luigi XIV, il Re Sole, che lo compose in occasione di una malattia che tormentava il Sovrano: una fistola anale. Le sofferenze erano grandi e mentre la Corte si scioglieva in preghiere per la salute del Re, i chirurghi cercavano di trovare un metodo per rimuovere il bubbone, (quando trovarono il ferro giusto per operarlo lo avevano provato prima su altre 75 persone, in genere detenuti nelle prigioni reali cui fu promessa una riduzione della pena se avessero accettato di fare da cavie). La seconda moglie di Luigi, Madame de Maintenon chiese a Lulli una composizione che distraesse il marito. Nacque così questa musica che divenne famosa e fu ascoltata, dicono, da Haendel, che la adattò per Re Giorgio II di Hannover diventato Re della Gran Bretagna, il quale essendo pure Principe elettore di Hannover lo estese come inno nazionale anche a quel territorio tedesco che ancora dipendeva da lui.

Quando nel 1871 il Kaiser Guglielmo I creò l’Impero germanico l’inno di Hannover fu adattato con altro titolo ed altre parole, e divenne Inno imperiale. Curiosamente quando Gran Bretagna e Germania si affrontarono nella Prima Guerra mondiale avevano entrambe un inno con la stessa musica.

Il testo francese inizia così: Gran Dieu sauve le roi, long jours a notre roi, vive le roi… e quello inglese: God save the gracious King, long live our noble King, God save the King... le parole sono eguali e continua con la traduzione degli stessi versi e con la musica simile.

Ma il caso più clamoroso riguarda la Marsigliese, di cui si conosce l’autore dei versi, Rouget de Lisle, ma non l’autore della musica. Questo celebre inno è chiamato così perché cantato dai volontari di Marsiglia che raggiunsero Parigi nel 1792 quando fu dichiarata guerra all’Austria.

Secondo alcuni studiosi la musica sarebbe stata composta dal vercellese Giovan Battista Viotti (che era musicista alla Corte del Re Luigi XVI), nel 1781 cioè più di 10 anni prima della Marsigliese con il nome di Tema e variazioni in do maggiore per violino e orchestra. Se si può avere qualche dubbio basta ascoltarla su YouTube e verificare che il tema musicale è quello della Marsigliese, solo che Rouget de Lisle lo ha adattato dandogli un tono militare, che richiama la marcia e il furore in contrasto con una musica da salotto, ricca di violini, come quella di Viotti.

Viotti, amico di Maria Antonietta, all’alba della Rivoluzione, capì i rischi che correva rimanendo in Francia e se ne fuggì a Londra, mentre la Marsigliese con l’arrivo di Napoleone, con la restaurazione monarchica e con Napoleone III, non fu più suonata per circa un secolo, sempre perché era un canto repubblicano di carattere rivoluzionario che non poteva essere gradito ai Sovrani. Solo dal 1879, con l’avvento della Terza Repubblica, è Inno nazionale francese.

All’epoca dei grandi musicisti le note giravano fra i salotti delle Corti europee, a volte senza che si conoscesse l’autore delle musiche, e magari, anche involontariamente, un autore era portato a far proprio un pezzo adattando la musica di un altro maestro: si sentiva uno spartito, piaceva e lo si rimaneggiava creando un nuovo tema: non c’era da scandalizzarsi, non esisteva ancora la S.I.A.E.!

Nell’Ottocento, quando il Bel Canto era soprattutto quello italiano e le compagnie teatrali portavano all’estero in tournée le opere di Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, molti cantanti e musicisti italiani si esibivano nei grandi teatri del Sud America (quello di Valparaíso in Cile aveva oltre 1000 posti), in quelle giovani Repubbliche come la Colombia, la Bolivia, il Perù, il Venezuela che si erano rese indipendenti dal Regno di Spagna dopo la Rivoluzione di Simón Bolívar.

Erano Nazioni costituite da poco ed avevano bisogno di darsi un’identità attraverso un proprio Inno in cui si riconoscesse tutto il giovane Paese.

Uno dei protagonisti di queste storie fu Leopoldo Benedetti Vincenti, nato a Roma nel 1815, il quale dopo aver studiato musica a Parigi partecipò ad una spedizione della Marina francese in Cile, paese in cui entrò a far parte della Banda musicale dell’esercito, attività che gli permise in più occasioni di suonare l’Inno nazionale di quel Paese, composto da Ramon Carnicer nel 1828.

Nel 1844 il Presidente della Bolivia affidò al musicista italiano l’incarico di Direttore Generale delle Bande boliviane e lo invitò a comporre un inno in occasione delle celebrazioni del quarto anno di una grande vittoria militare. Ispirandosi all’Inno nazionale cileno, sconosciuto in Bolivia, e che conosceva invece lui a memoria, compose una musica molto simile a quella (lo accusarono di plagio), che ancora oggi, dal 1851, è l’Inno nazionale della Bolivia Bolivianos, el hado propicio: Boliviani un destino favorevole.

Un altro protagonista di queste storie è stato il cantante italiano, tenore e musicista, Oreste Sindici, nato nel 1828 a Ceccano in provincia di Frosinone, al tempo dello Stato Pontificio. Studiò musica e partecipò accanto a Garibaldi e Mazzini alla difesa della Repubblica Romana. Nel 1860 Sindici partì per il Sud America con una compagnia lirica che si esibiva nei teatri sudamericani: dopo una tournée di tre anni, in cui aveva avuto grande successo per la sua voce da tenore, nel 1863 arrivato a Bogotà decise di rimanervi, dedicandosi all’attività di compositore ed ottenne anche la cittadinanza colombiana. E’ considerato il padre della musica colombiana, paese per il quale ha composto Oh, gloria inmarcesible che dal 1920 è l’Inno Nazionale della Colombia.

E infine, anche se noi spesso dimentichiamo che la Repubblica di San Marino è uno Stato Sovrano estero, un altro italiano, l’anconetano Federico Consolo compose nel 1894 l’Inno Nazionale della Repubblica del Titano, il cui nome è semplicemente Inno Nazionale: non ha parole anche se esistono i versi composti da Giosuè Carducci, che però la Repubblica non ha mai ufficialmente adottato.

Sergio Giaquinto, Giurista, già Dirigente Amministrativo della A.O. dei Colli, cultore di Storia e Archeologia.

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