Gli Effetti Collaterali di una vita da porporini: la Sindrome di Moschcowitz

L’ingegnere barone Wernher von Braun e Massimo Chiaramonte, protagonista di questa nostra piccola cronaca di effetti collaterali, in comune avranno forse avuto molte piccole cose, ma tra le tante di sicuro c’è il convincimento che la parola impossibile andasse usata sempre con gran cautela.

Avrà difatti pensato al probabile, Massimo, quando un venerdì pomeriggio del 2008, mentre era in ufficio a ricarburare dopo la pausa pranzo, ha accusato uno strano e intenso dolore all’altezza del petto, accompagnato da una fiacchezza insolita mai avvertita prima. Per quanto il probabile fosse assai più rassicurante, quei sintomi perturbanti lo hanno indotto a rientrare anzitempo da lavoro, a rinchiudersi in casa per assecondare il bisogno di riposo, infine a convocare un cardiologo per un controllo, ché un ECG rientrava tra gli esami attinenti al contemplato. Ma quando pretendiamo di tradurre i sintomi con una lingua diversa da quella con cui il corpo ci parla, la comunicazione con la patologia diventa incomprensibile: anamnesi oscura, e il suggerimento del curante di approfondire anziché soggiacere alla tentazione di attribuire tutto a cause contingenti o all’onnipotente stress.

Così per Massimo il confine tra probabile e impossibile diventa via via più labile, confuso e concreto: una notte intera trascorsa in compagnia di un solerte infermiere per gli esami di controllo, un trasferimento d’urgenza in un reparto dedicato, un’equipe medica con equilibrio di genere e di titoli, professori e specializzande a discutere di quei sintomi misteriosi apparentemente tanto simili al resto dei normali affanni del corpo.  

Come talvolta accade nella vita, le risposte alle domande inevase arrivano proprio da chi non ci aspettiamo, e Massimo non fa eccezione: le parole esatte, l’agognata diagnosi, vengono pronunciate dalla giovane voce sicura e ostinata di una specializzanda. Poche parole, l’inizio di ogni cosa: Sindrome di Moschcowitz. Per arrivarci è stato indispensabile ascoltare davvero il malato, credere alle sue parole anche quando sconfessate dagli esami (strumentali e obiettivi) preliminari, tradurre i sintomi nella giusta lingua. Non da ultimo, confrontare i dati: graduale calo di piastrine, anemia, trombocitopenia e sintomi neurologici (indizi della pentade clinica per la TTP di oltre il 50%). Massimo deve a quella specializzanda fedele al Giuramento la sua prima seduta di plasmaferesi, una diagnosi corretta, e ogni istante di vita dopo quell’accenno di impossibile.

Impossibile, come scoprire di essere affetto proprio dalla Sindrome di Moschcowitz, o Porpora Trombotica Trombocitopenica (PPT), rara malattia autoimmune nella quale il sistema immunitario  crea anticorpi che distruggono un enzima indispensabile alla corretta coagulazione, alimentando la formazione di piccoli trombi (coaguli di sangue) che possono bloccare l’afflusso sanguigno anche a organi vitali. Altra caratteristica è la presenza di puntini color porpora sull’epidermide.  

Essere un malato raro sfianca: si brancola per tempi indefiniti tra incredulità generale, corsie d’ospedale e sale d’attesa, si staziona nell’inospitale tunnel di potrebbe essere e sembra quel che non è, si subiscono sintomi variabili, subdoli, quasi mai delatori, se non quando la malattia progredisce, e nel caso della Moschcowitz una risposta intempestiva è fatale nel 90% dei casi.

Un effetto collaterale, ancor meno governabile, riguarda le emozioni: rabbia, paura, angoscia, disperazione, impotenza, senso di vuoto e d’afflizione. Massimo racconta bene quanto una malattia sconvolga la vita nelle piccole come nelle grandi occorrenze quotidiane, ma soprattutto evidenzia con commovente naturalezza il peso specifico di quanto sottragga, e di quanto invece sia in grado di restituire, sottoforma di umanità, priorità ridiscusse, legami rinsaldati e necessario opportunamente depurato dal superfluo. I porporini convivono con la consapevolezza di ospitare una malattia che può ripresentarsi in qualsiasi momento, sicché affrontano la vita cercando di sfruttarne appieno tutti gli aspetti nei limiti del possibile a loro consentito. Affrontare brevi fasi di svogliatezza e alternare giornate di benessere ad altre in cui lo sconforto prende il sopravvento è quasi fisiologico, ma non bisogna disdegnare finanche un supporto psicologico specializzato, quando il senso di vulnerabilità prende il sopravvento.

Abbiamo chiesto a Massimo quali siano stati i suoi personali effetti collaterali, e lui ci ha risposto senza esitazione di essersi ripreso il senso della vita, il valore di tutto quel che aveva rinviato nel tempo, risolvendo questioni e riscoprendo passioni e hobby sopiti. Purtroppo l’urgente non lascia mai spazio all’importanza ci ha detto con il sorriso di chi si è ripreso il suo essenziale.

Una presenza che la malattia ha valorizzato sono gli affetti, quelli che nel gergo ormai divenuto comune vengono definiti caregiver, che oltre ad apportare un fondamentale contributo in conforto e resilienza, vincendo il dolore di veder soffrire un proprio caro amplificato dall’impotenza, aiutano a normalizzare le quotidiane attività soprattutto in quei casi in cui la malattia colpisce in maniera particolarmente severa. Massimo però non si è fermato al primo passo del cammino, e neppure al secondo: ha studiato, approfondito, è diventato paziente esperto EUPATI, ed è impegnato senza sosta nelle trasferte in Italia e all’estero per rappresentare l’Associazione Nazionale Porpora Trombotica Trombocitopenica, voluta da pazienti e familiari, che oggi è il soggetto nazionale di riferimento per azioni di tutela, assistenza, cura e sostegno della ricerca scientifica della TTP e di altre Microangiopatie Trombotiche.

L’effetto collaterale è palese: l’urgente non lascia spazio all’importante, ma l’importante è tale quando a un certo punto della vita diventa anche urgente.

E l’urgenza del porporino Massimo è di vivere la vita appieno, senza rinviare alcunché, pronto ad affrontare tutti i suoi effetti collaterali.   

Celeste Napolitano, lavora a diverse intensità negli ambiti dell’Editoria e della Comunicazione, vive di parole, e in lei alberga una zebra congenita che le ruggisce dentro

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