Il Mondo si è fatto più piccolo grazie alla facilità e velocità di trasferimento di persone, cose e informazioni; ma anche la diffusione di virus e batteri è ora più facile e veloce.
Il viaggio che nel 1492 condusse Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo, inaugurò uno scambio di vasta e complessa portata che determinò una rivoluzione ecologica globale; tale rivoluzione rappresenta uno dei più importanti eventi della storia umana e del nostro pianeta, ed è oggi conosciuta col nome di “Scambio Colombiano” (The Columbian Exchange, Alfred W Crosby, 1972).
Mentre è stato ben presto chiaro l’innesco di eventi di ampia portata in ambito ecologico, culturale ed ‘agricolturale’, solo in tempi più recenti si è cominciato a comprendere che l’arrivo dei primi esploratori, conquistatori e colonizzatori europei delle Americhe fu l’innesco della prima “guerra biologica” di portata planetaria.
Senza saperlo e senza volerlo, gli europei introdussero nel Nuovo Mondo una serie di agenti biologici – germi di vario genere e virus – che a ben vedere furono le vere armi che portarono alla vittoria greve e definitiva dei conquistatori europei.
Fu un vero e proprio evento X: per la prima volta nella loro storia, i popoli indigeni delle Americhe vennero a contatto con malattie infettive introdotte dagli europei e che perlopiù originavano dall’Asia.

A quell’epoca, in Europa si moriva con tante malattie (vaiolo, epatite, morbillo, etc.) per cui oggi esistono vaccini e farmaci. Benché talora ancora mortali, le patologie indotte da questi agenti biologici avevano già operato una lunga selezione naturale risparmiando solo gli individui resistenti, e così, una buona parte della popolazione europea era ormai già immunizzata naturalmente contro queste malattie, che quindi, all’epoca, causavano solo raramente pandemie ad alta mortalità. Queste stesse malattie erano però assenti e sconosciute in America e pertanto le popolazioni indigene, da millenni segregate in un ecosistema differente, non avevano sviluppato nessuna immunità naturale o di ordine culturale/rituale (che a ben vedere erano i rudimenti delle attuali raccomandazioni ed indicazioni igienico/sanitarie) verso le stesse.
E fu così che, a cominciare dallo sbarco di Colombo alla fine del ‘400, nell’arco di un secolo e mezzo, tra il 50 e il 90% delle popolazioni americane pre-colombiane furono sterminate da malattie come vaiolo, malaria, epatite, morbillo.
All’epoca, in Europa, una malattia grave come il vaiolo in fase epidemica poteva uccidere il 10% della popolazione; lo stesso vaiolo arrivò a sterminare il 90% degli indigeni americani che contraevano la malattia.
Non era vero – come invece si pensava allora -, che le comunità cosiddette primitive avessero una sorta di verginità e protezione epidemiologica: in pochi anni milioni di persone furono sterminate in America.
Il bellicoso Impero degli Atzechi – come ci racconta anche Francisco Lòpez de Gòmara, cappellano e biografo del Conquistatore Cortés -, scomparve anche per mezzo del vaiolo che si diffondeva facilmente grazie alle abitudini degli indiani d’America, quali quelle di mangiare e dormire insieme in aggregati numerosi e di lavarsi con un bagno per curare malattie; proprio in tale contesto sociale e culturale e nella mancanza di barriere immunitarie, la malattia poteva diffondersi più facilmente; e dopo che morirono tante donne che avevano come occupazione quella di macinare e cuocere il mais, arrivò inesorabile anche la carestia (per mancanza di farina), che aggiunse tante morti per fame e che riempì le strade di cadaveri che più nessuno poteva seppellire.

Lo spopolamento delle Americhe causò anche il duro fenomeno dello schiavismo, con la importazione forzata e disumana di manodopera dall’Africa all’America. Ciò comportò a sua volta la “africanizzazione” dell’America, e secondo alcuni, anche la slavery hypertension hypotesis che spiegherebbe la maggiore predisposizione dei soggetti neri nel Nuovo mondo alla ipertensione arteriosa come al retaggio di una brutale selezione naturale di soggetti africani resistenti a stremanti viaggi oceanici in condizioni quasi proibitive.
Nel frattempo, l’Europa assistette ad una crescita demografica dovuta anche all’importazione di colture agrarie (quali quelle del mais, patate, pomodori); talune colture furono esportate anche in Africa e nel sudest asiatico (quali maniocae arachidi), che consentirono popolamento e sviluppo anche su terreni che altrimenti non avrebbero potuto sostenere valide coltivazioni ed insediamenti antropici.
Infatti, trattandosi di uno scambio tra agenti di ecosistemi differenti, i passaggi di organismi tra i due mondi non furono a senso unico. E fu così che alcune varietà biologiche fecero una conquista in senso inverso: basti pensare al mais, la specie vegetale domesticata dai nativi americani, che ha conquistato non solo il Vecchio Mondo.
E che dire della patata, del tabacco, del cacao, del pomodoro, delle zucche e zucchini, del tacchino e delle cavie?
E che dire della peronospora della patata, che a distanza di tre secoli fece stragi di umani nell’Irlanda, a causa della grande carestia di patate dell’Ottocento?
E che dire della fillossera della vite (un microscopico insetto di origine Nordamericana) che a partire dai vigneti francesi di Pujaut della Linguadoca, nel 1863 iniziò il suo viaggio di distruzione della vitis vinifera di tutta Europa, e che rischiò di far scomparire per sempre dalla faccia della terra il vino?
E che dire della sifilide che dalle Americhe arrivò in Europa ed Asia, e che tra il 1493 ed il 1525, nel giro di una generazione, ebbe una diffusione pandemica?
Il 6 luglio 1495 si scontrarono, a Fornoro sul Taro, le truppe della Lega degli Stati Italiani contro le truppe francesi che si erano ritirate a Napoli; fu allora che si ebbero le prime descrizioni mediche di un morbo più repellente e temibile della lebbra; i napoletani lo chiamarono il “morbo gallico” o “mal francese” mentre i francesi lo chiamarono “mal napoletano”. Si trattava della sifilide, malattia proveniente dal Nuovo Mondo ed introdotta in Spagna già nel 1493, e che in Europa fu notata e descritta per la prima volta in Italia. La malattia si diffondeva rapidamente, trasmessa soprattutto attraverso soldati, prostitute e marinai; in quindici anni si diffuse in ogni angolo d’Europa; nel 1498 i marinai portoghesi la portarono in India, e da qui, in altri quindici anni raggiunse il porto cinese di Canton e il Giappone.
Fu veloce e diretto il tragitto con cui il temibile treponema della sifilide giunse in Europa, direttamente trasportato dai marinai di Colombo che, ritornati da Hispaniola ed una volta in patria – attraverso rapporti sessuali con prostitute -, diffusero rapidamente un morbo che nel Vecchio Mondo fu mortale oltre che deturpante, e che invece nelle isole caraibiche aveva ormai solo un decorso benigno.

Il danno dei vigneti di Pujaut nel 1863 è il primo caso noto della devastazione di vigneti, che dalla Francia si estese a tutt’Europa, così come il “mal francese” del 1495 è la prima descrizione nota della devastazione umana da sifilide.
A risolvere la crisi del vino in Europa e a consentire la diffusione della vite vinifera in tutto il mondo, fu la scoperta/intuizione di innestare le pregiate viti europee superstiti sulle radici della vite americana, non adatta a far vino ma resistente alla fillossera. Il rimedio venne dallo stesso luogo da dove proveniva il danno!
Le prime descrizioni della sifilide europea la caratterizzano molto più letale di quanto non lo facciano quelle del XVIII e XIX secolo, forse perché anche in Europa si stabilì una selezione naturale con sopravvivenza solo dei soggetti capaci di sviluppare una immunizzazione naturale.
Nel tempo furono proposti vari trattamenti per la sifilide ma solo quelli a base di mercurio diedero qualche risultato, ma al prezzo di gravi intossicazioni provocate dal rimedio stesso. Solo con l’avvento della penicillina il male si potette finalmente curare e guarire. Così, se furono soprattutto militari e marinai a diffondere per il mondo l’epidemia da sifilide, è pur vero che fu un ufficiale medico del Corpo Sanitario della Marina Militare italiana il primo ricercatore moderno a cui si deve la scoperta degli antibiotici. Infatti, nel 1895, Vincenzo Tiberio descrisse trent’anni prima di Alexander Fleming il potere battericida di alcune muffe da cui poi saranno tratte le penicilline ed altri antibiotici che hanno cambiato il corso della evoluzione umana e del Pianeta.
250.000 anni fa le forze geologiche hanno smembrato Pangea e i continenti si divisero. Alla fine del 1400 dc Cristoforo Colombo ha compiuto un viaggio di esplorazione e scoperta che ha nuovamente riunito Americhe ed Eurasia, questa volta in un modo funzionale piuttosto che geologico. Tale contatto tra due continenti segregati per millenni è ritenuto da alcuni come la svolta più importante per la vita della Terra dopo l’estinzione dei dinosauri.
Oggi abbiamo reso la nostra Terra un Villaggio Globale con pochi gradi di separazione tra due qualunque punti del pianeta o tra due qualunque esseri del pianeta.
La pandemia da nuovo coronavirus può essere vista come la prima descrizione della diffusione globale e rapida di un agente infettivo che ha sconvolto ogni aspetto della vita sulla Terra, e che ha messo in evidenza tutte le pericolose fragilità di una rete “piccolo mondo” quale è oggi il nostro Pianeta.

Ma la stessa pandemia ha anche messo in moto forze nuove volte a ricercare soluzioni robuste per affrontare la crisi sanitaria innescata dal covid-19, ed a cascata le crisi che son venute, di ordine sociale, economico, geopolitico; per ultima la più importante crisi, che ancora non è stata a sufficienza focalizzata: la crisi scientifica, che si spera sfoci in una capacità di accettare, affrontare e risolvere le sfide della complessità e dell’etica, ed anche la sfida dell’incontro-scontro con lacostellazione dei social media.
Fino a ieri le guerre sono sempre state un colpo di dadi in cui la variabile costituita dalle sempre potenti armi biologiche era fortuitamente distribuita tra amici e nemici. Oggi i progressi nelle biotecnologie rendono queste potenti armi biologiche sempre più simili a nano-droni indirizzabili verso obiettivi specifici e nemici ben individuabili.
È questo il mondo che vogliamo creare, figlio di un mercurio che intossica mortalmente mentre lenisce?
O piuttosto vogliamo trovare rimedi lì dove è cresciuto il danno, e come per le radici della vite americana che hanno salvato quella europea, e come per la preziosa muffa che ci ha salvato dalla sifilide, vogliamo comprendere, sviluppare ed utilizzare i virus al servizio della lotta contro il cancro e contro altre patologie?
Come disse Winston Churchill: <<le peggiori crisi sono quelle che si sprecano>>.

Beniamino Casale, responsabile IPAS Terapie Molecolari e Immunologiche in Oncologia – AO dei Colli – Ospedale Monaldi.