HO GIOCATO TRE NUMERI AL LOTTO 25, 60 e 38

….li ho giocati convinto che usciranno tutti e tre: ho fatto un sogno tanto tanto bello con tanti pappagalli verdi rossi e gialli”, così cantava nel 1951 Renato Carosone dando, a modo suo, al sogno i corrispondenti numeri della Smorfia, il cui nome deriverebbe dal mitico Dio del sonno: Morfeo.

Secondo una convinzione generale il gioco del lotto sarebbe nato a Napoli, ma invece l’idea l’hanno avuta a Genova a fine ‘500, quando per eleggere 5 componenti per il Governo della Repubblica li si sorteggiava fra 120 Nobiluomini. Il popolo cominciò a scommettere sui 5 nomi che sarebbero stati estratti ed allora la Repubblica capì che poteva gestire direttamente le scommesse incamerando così grosse somme a favore delle casse dell’Erario.

L’idea piacque anche ad altri Stati ed il gioco si diffuse rapidamente in tutta Italia e fra le varie lotterie nacque quella delle “zitelle”, che aveva scopi di beneficenza, infatti parte del montepremi era destinato ad assegnare la dote a 5 fanciulle (sorteggiate su 90), tra quelle ospitate presso Orfanotrofi, Centri religiosi, Enti di assistenza, che, essendo povere, non avrebbero potuto trovare altrimenti uno sposo: questa lotteria si chiamava anche “maritaggio”.

I considerevoli introiti per le Casse statali fecero superare ogni scrupolo sull’immoralità o meno di un gioco che portava le famiglie ad indebitarsi o a rovinarsi in cerca di un colpo di fortuna che potesse cambiare la propria vita e lo stesso Stato pontificio, che in un primo momento aveva proibito il gioco, perché contrario ai princìpi religiosi, capì quanto fosse utile incamerare i soldi delle scommesse per destinarli, anche, ad opere di carità. Nel tempo aveva incassato molto denaro, ma un giorno arrivò Fra Pacifico.

Si racconta che questo monaco cappuccino, detto “er mago”, nella prima metà dell’800, regalasse i numeri da giocare al lotto al popolo che molto spesso vinceva ambi e terni, tanto da alleggerire le Casse pontificie: il Papa allora, preoccupato per le finanze, lo allontanò da Roma mandandolo in uno sperduto convento in montagna. Quando Fra Pacifico lasciò la Città, fu seguito da tantissima gente fino alla Porta del Popolo e qui il monaco esiliato, pieno di rabbia, si voltò guardando verso San Pietro e disse: “Roma SE SANTA SEI, perché crudel SE’TANTA? SE DICI che SE’SANTA allora bugiarda SEI”. Molti compresero il messaggio e giocarono la cinquina che aveva dato il monaco: 66, 70, 16, 60, 6 e sbancarono l’Erario Pontificio!

A Napoli il Lotto arrivò a fine ‘600, in epoca vicereale, ed ebbe subito un grande successo fra il popolo che pensava di risolvere i suoi problemi con una vincita, ma con l’arrivo di Carlo III di Borbone, a metà del ‘700, il gioco venne proibito. Carlo è un Sovrano illuminato e persegue un progresso sociale che mal si concilia con l’illusione del popolo che vuole migliorare le sue condizioni affidandosi alla sorte. Il Re è appoggiato in questa scelta da Padre Rocco, domenicano molto ascoltato a Corte, che vede nel Lotto la rovina per le famiglie.

La proibizione, però, dura poco, perché la gente continua a giocare sulla Ruota del vicino Stato Pontificio oppure scommettendo in un sottobosco di gioco clandestino gestito da persone non raccomandabili, portando di conseguenza a mancati incassi per lo Stato. Carlo III revoca la decisione, ma per accontentare Padre Rocco stabilisce che è vietato giocare al Lotto nel periodo delle festività natalizie per rispettare i riti legati alla religiosità del Natale.

Ma i Napoletani ne escogitarono un’altra: per aggirare il divieto inventarono la Tombola! Ed è per questo che durante le feste c’è la bella tradizione del “Panariello” da cui, dopo una buona “scutuliata”, escono i numeri da segnare sulla cartella. Dopo l’estrazione di un paio di numeri c’è sempre lo spiritoso che grida “Terno”, seguito poi da un altro che chiede “è uscito il 18?”.

Come Carlo III anche Garibaldi, nel breve periodo in cui fu Dittatore di Napoli, proibì il gioco, ma dopo meno di tre mesi il nuovo Luogotenente Generale si affrettò a ripristinarlo, perché, oltre ai soliti mancati introiti per l’Erario, avevano perduto il lavoro gli impiegati addetti al gioco, aveva nuovamente preso spazio il lotto clandestino e venivano a mancare i soldi previsti per le doti del “maritaggio”.

Il nuovo Stato, l’Italia, comprese l’utilità di potenziare le giocate del lotto ed istituì, subito, 7 Ruote sulle quali giocare.

Come in tutti i giochi vince sempre il Banco, cioè lo Stato che paga poco le vincite in rapporto al numero di probabilità che ha il giocatore di indovinare i numeri estratti: per un Ambo le probabilità di vincere sono 401, per un Terno 11.748, per una Quaterna 511.038, per una Quintina 4.399.492, ma la gente gioca per inseguire l’illusione di cambiare la propria esistenza: lo sanno che è molto difficile vincere, ma ancora più difficile è rinunciare a sognare.

La superstizione popolare ricorreva, per avere i numeri da giocare, ad un rapporto particolare con le anime del Purgatorio, che si pensava potessero esaudire le richieste dei giocatori-fedeli, in cambio di preghiere per salire al Cielo. Un analogo comportamento si aveva verso le ossa di defunti anonimi raccolte nel Cimitero delle Fontanelle, che venivano “adottate” dai fedeli, i quali le pulivano, recitavano preghiere, accendevano ceri. quasi come fosse una persona di famiglia che si sperava ricompensasse tali attenzioni con i giusti numeri per vincere al Lotto.

Le estrazioni, una volta, non erano numerose (2 o 3 l’anno oltre alle straordinarie) e divennero settimanali con un decreto del 1816. A Napoli, nella zona della Pignasecca, ancora oggi c’è un vicolo chiamato Bonafficiata vecchia, dove nel’700 avevano luogo le estrazioni: bonafficiata, equivale a Lotteria.

Molti praticanti del gioco, poi, consultavano “Il Libro magico di San Pantaleone ossia Il tesoro di Novene per ottenere grazie di sapere con i segni e le parole ciò che si desidera e l’Aiuto degli Angeli e dei Santi in tutte le necessità della vita”. Fra le varie preghiere c’erano quelle per trovare marito e anche quelle per vincere al Lotto. San Pantaleone era un medico e per il popolo possedeva la capacità di individuare le malattie vincendo la morte e quindi questo dono taumaturgico poteva essere utile anche per dare i numeri buoni!

San Pantaleone è il Patrono di Ravello, nel cui Duomo è custodita un’ampolla contenente il sangue del Santo, che ogni 27 luglio, giorno della sua festa, come quello di San Gennaro, si liquefa con una particolarità: il sangue si scioglie senza che l’ampolla sia toccata da nessuno!

Una figura molto popolare era quella de “l’Assistito”, l’uomo guidato dagli Spiriti, che gli suggeriscono i numeri: è l’essere in cui ogni notte si scontrano i Geni del bene e del male. E’ l’illuminato, colui che dà i numeri al lotto e che perciò è corteggiato, riverito, le cui parole diventano oracolo e che vengono interpretate sotto forma di numeri. Se dice che gli fa male la testa il giocatore segna 34 “ ‘a capa”; se ride segna

19 “ ’a risata”. Spesso mostra il suo corpo coperto di piaghe procurategli dalla lotta con gli Spiriti, quando invece sono le botte ricevute dai clienti cui ha dato numeri che non sono usciti: ma la colpa non è sua, è del cliente che non ha interpretato bene i segni.

A tale proposito molto divertente è la scena del film “Così parlò Bellavista”, in cui la figlia del Professore va dall’Assistito per aver i numeri per prendere un terno. L’Assistito, quasi in trance, racconta dei regali che i Santi volevano fare alla Madonna e fra questi c’è Sant’Antonio, che nella Smorfia fa 13, che, giratosi, prende sotto braccio San Pasquale, che fa 17. La ragazza gioca tre numeri fra cui il 30 cioè la somma dei numeri che corrispondono ai due Santi. Due numeri escono sulla Ruota di Napoli, ma invece del 30 esce il 48: la ragazza protesta ma l’Assistito spiega che Sant’Antonio per prendere sotto braccio San Pasquale si era girato e quindi il 13 era diventato 31 ed allora 31 più 17 fa 48!

La tradizione napoletana vuole che gli stessi numeri vengano giocati per tre estrazioni consecutive.

Nel cinema e nel teatro napoletano molto spesso si fa riferimento al Lotto, Totò soprattutto ha seguito questo filone: indipendentemente da “Totò 47 morto che parla” (il cui titolo è sbagliato perché nella Smorfia napoletana 47 indica solo il morto), lo troviamo in “Totò e Peppino divisi a Berlino”, in cui la Smorfia è un po’ il filo conduttore del film e in “Totò e i Re di Roma” (unico film in cui recita con Alberto Sordi), nel quale interpreta un impiegato statale che da morto vuole dare in sogno alla moglie i numeri per un terno. All’altro mondo scoprirà che esiste un mercato nero dei numeri che saranno estratti e Totò, prima di essere arrestato, riuscirà a darli sollevando la famiglia dall’indigenza grazie ad una grossa vincita.

La battuta più divertente, però, la troviamo nella scena finale di “Totò, Fabrizi ed i giovani d’oggi”, quando i due futuri consuoceri, dopo un’accesa litigata, vogliono impedire il matrimonio dei figli che già sono in chiesa a sposarsi. Arriveranno quando i giovani sono già sposati ed allora dice Totò: “Farò annullare questo matrimonio” e Fabrizi “anche io, lo farò annullare dalla Sacra Rota”, “quale Rota” chiede Totò e l’altro “quella di Roma” e Totò: “ed io per tutte le Ruote”!

In teatro, poi, c’è Eduardo con la Commedia “Il Sogno di una notte di mezza sbornia”, in cui Dante dà al protagonista, in sogno appunto, i numeri di una quaterna precisando però che 8 mesi dopo la vincita alle ore 13 morirà. I numeri escono e la trama si svolgerà fra il lusso dei familiari diventati ricchi, che si godono la vita ed Eduardo disperato in attesa della morte, ma un divertente colpo di scena finale non mancherà.

Ben più famoso, poi, è il classico “Non ti pago”, in cui il proprietario di un Banco Lotto (che non azzecca nemmeno un ambo) si arrampica sui tetti di casa per vedere le forme che assumono le nuvole: prima una vacca, poi una lucertola, figure che poi cerca di associare ai numeri della Smorfia per giocarli (con una parola difficile, tale stimolo istintivo del cervello che porta a trovare forme familiari ad immagini disordinate si chiama “pareidolia”. Anche alcuni numeri della Smorfia rispondono a questa parola come ad esempio 88, i caciocavalli, proprio per la forma).

Oggi il gioco è tutto automatizzato e si è perduto quel senso di umanità che esisteva quando nel Banco lotto c’era il “postiere”, l’impiegato che raccoglieva le giocate e aiutava il giocatore ad interpretare il sogno o l’avvenimento che gli si raccontava, scrivendo con un pennino intinto nell’inchiostro i relativi numeri. Ogni numero ha un significato, alcuni sono intuitivi come: 5 la mano, 12 i soldati che marciano scandendo unò, duè, 15 il ragazzo, per l’età; altri sono religiosi come 3 la Croce (Padre, Figliuolo e Spirito Santo), 25 Natale o 33 gli anni di Cristo, altri ancora hanno carattere sessuale come 6 e 29 cioè l’organo femminile il primo e quello maschile il secondo, la cui somma fa 35 che corrisponde ai figli.

L’abilità del postiere consisteva nel dare i numeri esatti alla descrizione del racconto. Se si era sognato una donna, ad esempio, bisognava specificare se era affacciata al balcone che fa 43, se era una ragazza zitella che fa 66 oppure se era vecchia che fa 89, perché per ognuna c’è un numero diverso.

Una volta un signore entrò nel Banco Lotto e chiese “Scusate ‘a femmena annura che fa?” e rispose il postiere “fa ascì ll’uocchie ‘a fora”.

Sergio Giaquinto, Giurista, già Dirigente Amministrativo dell’A.O. dei Colli, cultore di Storia e Archeologia

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