I DIVERSI ASPETTI DELLA SOLITUDINE
La solitudine è indipendenza: l’avevo desiderata e me l’ero conquistata in tanti anni.
Era fredda, questo sì, ma era anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa,
e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri.
H. Hesse, Il lupo della steppa
Il vocabolario c’insegna che la solitudine è la condizione di chi è solo, in una situazione passeggera o duratura.
La sociologia aggiunge che la solitudine può essere volontaria oppure involontaria.
Nel primo caso, l’uomo sta meglio da solo e vive con tranquillità il suo isolamento, anzi lo cerca, arrivando, seppur raramente, a scegliere la vita da eremita, decisione legata soprattutto a vissuti religiosi e spirituali.
Nel secondo caso invece, la solitudine si subisce, non la si sceglie: si vorrebbe stare con gli altri, ma si viene respinti o, ancor peggio, si teme di essere dagli altri rifiutati o non accolti.
Ho sempre pensato che la peggior cosa nella vita fosse restare soli.
Non lo è.
La peggior cosa è stare con persone che ti fanno sentire solo.
Robin Williams
A differenza delle forme d’isolamento ricercate intenzionalmente, la maggior parte delle tipologie di solitudine involontaria viene vissuta in maniera negativa e deprimente, come ad esempio è avvenuto per le recenti vicende legate all’emergenza COVID-19, che ha costretto intere Nazioni alla quarantena e alla chiusura.
La lingua inglese distingue le due forme di solitudine con due termini specifici: solitude è quella volontaria, loneliness quella involontaria.
La loneliness è molto più frequente, ed è solitamente duratura: gli effetti sono pericolosi e dannosi.
La solitudine, nelle sue numerose sfumature, è stata narrata, cantata, dipinta…
Lo scrittore colombiano Gabriel García Márquez ha dedicato a questo fenomeno la sua opera più bella: Cent’anni di solitudine. La storia, che si svolge in un arco di tempo molto lungo, è il trionfo della parabola di solitudine e sconfitta di una dinastia, e con essa di un tempo, racchiusa nel destino di Macondo, una città immaginaria fondata da uno dei numerosi personaggi che animano il libro.

A seguito della notizia della fuga da casa di una ragazza, pubblicata sul Daily Mirror nel 1967, Paul McCartney ha composto She’s Leaving Home, brano che narra di incomprensioni generazionali e solitudine. Sarà uno dei suoi grandi e indimenticabili successi.
Nelle arti figurative sono stati diversi gli artisti che hanno rappresentato la solitudine: ha dato voce all’isolamento Edward Munch nel suo celebre Urlo; traspare dalle tele dell’americano Edward Hopper,che ha raffigurato soprattutto quella sociale; si è occupato di solitudine l’italiano Giorgio De Chirico, che ha ritratto figure socialmente marginali rappresentate in contesti deserti e stranianti; ogni dipinto di Vincent Van Gogh svela, nelle pennellate intrise di colori, la solitudine dolorosa e amara dell’artista olandese.
Eppure l’uomo è un animale sociale, motivo per cui, anche in condizione di solitudine, rimane inconsciamente coinvolto in un intimo dialogo con gli altri. Può sentirsi solo, ma in realtà solo non lo è mai, e ogni sua singola azione è a prescindere legata al mondo che lo circonda e al quale, volendo o no, appartiene. Il senso di solitudine, in un simile contesto, evolve e diventa precarietà, inadeguatezza, insicurezza. Anche senza il nostro coinvolgimento, la vita va avanti prepotente.
La solitudine, se passeggera, può dare ristoro a un pensiero, un lavoro, uno studio. A volte occorre star soli per trovare la concentrazione, per concludere un impegno importante, per ritrovare la tranquillità persa.
Ma la solitudine che accompagna i giorni e le notti, che rende uguale e ripetitiva ogni azione, che priva della gioia e della soddisfazione di raccontare e raccontarsi, che fa sentire soli e isolati tra la gente, quella no, quella è deleteria, angosciante, deprimente. È capace di far male lentamente e gradualmente. È capace di rendere le ore, i giorni, i mesi, tutti uguali. È capace di annientare il futuro in un presente percepito come polveroso e inutile. È capace di scavare un abisso tra l’uomo solo e il mondo che lo circonda, e del quale diventa attore passivo. La solitudine, quando duratura, rende l’uomo apatico, disinteressato e disilluso, perdente e sconfitto, triste e infelice, ancora più solo e demotivato, annullato dall’amara consapevolezza che tanto, con lui o senza, il mondo là fuori continuerà la sua corsa, e che della sua assenza, forse, nessuno si accorgerà.

Rosa Maria Bevilacqua, Sociologa, A.O.R.N. “San Giuseppe Moscati”- Avellino, Delegata alla Sanità ASI (Associazione Sociologi Italiani)