Uomini, se in voi guardo, il mio spavento
cresce nel cuore. Io senza voce e moto
voi vedo immersi nell’eterno vento…….
( da “La Vertigine” di Giovanni Pascoli)
Saranno i giorni strani che stiamo vivendo tra mille angosce, sarà l’assenza di certezze, di ancoraggi, di riferimenti ideali verso i quali orientare il corso delle nostre vite, ma certo questi versi profondi e significativi del Poeta sono, ora più che mai, estremamente attuali, sono l’ennesima testimonianza della forza ri-evocatrice delle parole che penetra nella storia dell’Umanità come la punta di una freccia e colpisce dritto al cuore, il nostro cuore.
“La Vertigine” è attuale. E’ lo stato d’animo che fu proprio del Pascoli dinanzi al vuoto, di fronte al buio, alla morte, alle condizioni stesse dell’esistere. E’ quella sensazione che noi ben conosciamo e che è tra le più caratteristiche dell’uomo contemporaneo, dell’uomo “copernicano”, da quando nuove concezioni, nuove filosofie, nuove prospettive, hanno sottratto all’umanità tutte le certezze ontologiche dei nostri padri e la Terra è stata come scardinata dal Centro.
In effetti, sulle sensazioni del Poeta e sull’essenza della sua lirica si apre un buco nero che divora tutto ed in cui lo spazio si dilata e perde ogni ancestrale immobilità, spazzato dal soffio di un vento cosmico che porta freddo e brividi. Pascoli ebbe, infatti, la grande capacità - ma non fu certo il solo, in quegli anni – di trasferire, nella sorte comune degli uomini, quello che fu detto di alcuni spiriti ribelli dell’Ottocento, d’essere cioè sradicati, “dèracinès” – come amano dire i francesi – soldati battuti nei corpi e nello spirito. E questa condizione di base si aggravò, in Giovanni Pascoli, non solo a causa della tragedia familiare da lui vissuta, ma per la coscienza fortissima delle ingiustizie sociali dell’epoca, delle condizioni di vita dei suoi simili, del dolore familiare e delle tristissime vicende occorse ai suoi fratelli dopo l’assassinio del papà Ruggero, di cui abbiamo significativa testimonianza nei versi indimenticabili de “ La cavalla storna”. E poi, su ogni cosa, quel presentimento oscuro di una catastrofe prossima ventura, di un vortice destinato a travolgere tutto ed oramai incombente sull’umanità (vento di guerra, vortice di strage/ corre la terra e le speranze sante/nel cielo oscuro svolano randage….)
Fattori tutti che concorsero ad aggravare quel senso di sgomento cosmico per il quale l’uomo è simile ad un viandante che, nella notte, percorre una landa deserta e desolata, in contatto solo con le stelle, totalmente immerso nella solitudine dell’Universo.
“La vertigine” è dunque, per me, il componimento pascoliano che affronta nel modo più complesso il tema della poesia cosmica e poiché tratta l’argomento del vuoto, dell’uomo che è privo di appigli sulla superficie della Terra, in continuo equilibrio, incapace di sottrarsi al richiamo dell’immenso baratro in cui il mondo precipita e quindi dell’uomo che è costretto a trascorrere un’esistenza sempre più disancorata dalle proprie radici, dalle proprie identità, da princìpi, linee guida ed orientamenti ideali, ecco che appare a noi di una attualità suggestiva. Suggestiva ed anche terribilmente evocatrice della vita che conduciamo oggi, così lontana da bagliori di luce, spesso grigia, sempre meno “nostra”, sempre più eterodiretta, sempre più anonima e standardizzata. Una vita in cui non ci riconosciamo più, alla quale guardiamo spesso increduli e con occhi pieni di sgomento ed anelanti a qualcosa che, purtroppo, non c’è più: un ritmo perduto, un faro nella notte dell’anima, uno sguardo amico, una polifonia di sentimenti autentici, una missione che sappia tornare a dare senso compiuto ai nostri gesti ed alle nostre intenzioni.

Parafrasando una definizione che nel trascorso Novecento veniva attribuita ai reduci delle guerre devastanti che hanno sconvolto il mondo ed il “secolo breve”, oggi siamo un po’ tutti “soldati perduti”, di ritorno dai mille fronti della vita, in cerca della oramai dispersa ragione delle cose, affaticati dalle esperienze vissute, anime timide ed esploratori stanchi in cerca di una sosta, di un capolinea da cui ricominciare, di un ponte dalle travi solide su cui posare finalmente gli scarponi consunti…..prima di ricominciare il cammino.

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali