Ignudo

Nonno, dopo aver annaffiato la piantina di agrume selvatico nato spontaneamente in un invaso della panca in muratura addossata alla casa, tornò al pozzo e guardò il paese arroccato sulla faglia e diresse il bastone verso lo sperone dell’Aspro che nascondeva alla vista il cimitero. All’ombra della Grande Quercia nonno trascorreva le ore più calde dell’estate; una fiasca impagliata tenuta nel pozzo conservava fresco il vino rosso rubino e gli ristorava d’oblio il prossimo futuro. Invece si obliavano del passato le anime che, come un gregge ignaro, sulle sponde del Lete si accalcavano all’abbeverata; come migranti, spoglie di memorie, venivano avviate ad un ciclo nuovo di rinascita per mondarsi e poi ripetere la morte; e mai veniva loro concesso di restare, come sul basto dimesso d’un asino al pascolo, sedute, immobili e silenziose, a guardare ed a vedere il vero, come le cime dei monti alla fine del giorno sopravanzano il sole e lo celano per la notte che verrà.


Mio padre, interrogato da Fulvio, come il vulcaniano Spock così gli rispose: «alla mia età conviene credere». Invece nella mia «credenza» è rimasto solo pane raffermo con pezze toste di cacio ed olive salate rinsecchite. La prossima volta … ma perché attendere il Gran Giorno del Giudizio alla fine dei secoli? ai figli, scherzando, dico che mi cerchino in una fattoria a picco sul mare ove son di guardia le oche. Non più in una sala operatoria a riparare cuori: fui affascinato, ma non vi trovai, nei cuori, emozioni… avvertivo invece turbamenti il sabato sera, quando si acuivano le aspettative di trapianto tra i pazienti in attesa; quando sentivo che cuori adusi a palpiti giovanili avrebbero dovuto piegarsi a mal usati palpiti in petti villosi; quando dal ritorno in aereo pervenivano icone soddisfatte di espianti ben riusciti.


C’era un angelo addetto, nella tradizione ebraica, che operava il trapianto, prelevando un’anima per ogni concepimento; erano forse anime nuove di zecca o forse no, erano anime obliate e pronte alla partenza; e sull’altra sponda, come in un terminal d’aeroporto, anime appena giunte, frastornate, sospinte sin lì da un padrone della Zecca, che, durante il «giro visita» nella Terapia Intensiva, aveva indotto il suo collega «accabadora», ad approfondire l’oblio sì, ma riducendo l’ossigeno … Quando le cime dei monti avranno sopravanzato il sole, così dissi un giorno al padrone della Zecca, avremmo ritrovate quelle anime ad attenderci, non più frastornate, ma armate di bastone. Tuttavia, a ben pensarci, non si potevano ignorare le richieste pressanti di soccorso tracimanti gli alvei delle liste di attesa chirurgica; né vorrei essere nei camici di quanti governano ora i traffici delle rianimazioni, costretti a selezionare la gravità degli anni piuttosto che delle patologie.

Domenico Casale, cardiochirurgo di professione e contadino per passione, esperto di mitologia e testi sacri multiculturali, scrittore.

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