C’è una condizione di sofferenza cronica in cui le donne sono affette almeno quattro volte più degli uomini e dove a fronte di esami medici routinari perfetti si vive una vita costellata da dolore diffuso, fatica, disturbi del sonno e della memoria, malessere perdurante almeno 24 ore dopo un’attività fisica che per altri è benefica.
Stiamo parlando della Fibromialgia, ossia di quella costellazione sindromica frustrante per il paziente, per il medico e per i caregiver.
Infatti: ancora nessuna chiara causa della malattia, ancora nessun trattamento certamente efficace.
E ancora: sofferenza poco riconosciuta da chi sta intorno; utilizzo frequente ma poco efficace di farmaci standard e raccomandati, con circa il 60% dei pazienti che riferisce miglioramenti, solo circa il 2% che manifesta una risoluzione completa dei sintomi, e il 40% circa che invece conserva ambiti con insoddisfacente qualità di vita.
E che dire della difficoltà diagnostica, se non che solo il 10-30% dei pazienti affetti ricevono una diagnosi?
A seconda degli studi che vogliamo considerare, lo 0,5-8% della popolazione soffre di condizioni disabilitanti denominate fibromialgia (FM) e sindrome della fatica cronica (CFS). Le due condizioni spesso coesistono, tant’è che, secondo molti ricercatori e medici, esse appartengono come un unicum allo stesso spettro patologico.

Secondo alcuni, la diagnosi di fibromialgia è quella che gli anglosassoni definiscono un wastebasket, ossia: un cestino diagnostico ove vengono gettate tutte quelle sindromi caratterizzate da dolore cronico e stanchezza cronica, che non abbiano alla loro origine una etiopatogenesi chiara, riconosciuta e classificata.
L’uomo ha una innata capacità di riconoscere e classificare alcuni tipi di dati solo apparentemente semplici.
Per esempio: siamo in grado di riconoscere con naturalità una persona anche quando questa abbia cambiato pettinatura, colore dei capelli, barba o maquillage; o ancora: siamo in grado di leggere uno scritto a mano, anche se la scrittura di ciascuno di noi varia rispetto a quella degli altri (e folkloristicamente, questa capacità di riconoscimento si ritiene particolarmente sviluppata nei farmacisti alle prese con la lettura delle ricette mediche).
Questo genere di attività di riconoscimento e classificazione di configurazioni e forme complesse e mutevoli, viene oggi indicata in informatica come pattern recognition.
Dovremmo meravigliarci per come il nostro cervello – al pari di quello di tante altre specie viventi -, sia naturalmente capace di svolgere questo tipo di compito complesso di riconoscimento di pattern, con una naturalità tale che spesso manco ci rendiamo conto della complessità algoritmica e di neurocomputazione sottostante al processo.
I computer, tramite algoritmi avanzati di programmazione che spaziano dall’apprendimento automatico, all’intelligenza artificiale, ai sistemi esperti e fino alle reti neurali digitali, stanno provando a cimentarsi e risolvere problemi di riconoscimento sempre più complessi.
Il cervello umano ha già in dotazione tutto quell’apparato di neurocomputazione necessario e utile a svolgere con semplessità questi task complessi, e se ben addestrato attraverso varie tecniche di apprendimento e meta-apprendimento, è capace di svolgere quella mirabile forma di ragionamento abduttivo che in ambito medico si chiama diagnosi.
Nonostante non sia ancora riconosciuta una chiara etiologia della fibromialgia, e nonostante il fatto che non esistano patognomonici criteri positivi di classificazione sindromica, e nonostante il fatto che per i più si debba procedere ad una diagnosi di esclusione, i medici addestrati nella diagnosi di FM, riescono a farla in quel modo naturale e semplesso che attiene a un sistema esperto di pattern recognition.
C’è chi riesce a far diagnosi di FM e CFS già osservando con attenzione il paziente mentre accede all’ambulatorio medico.
Una corrente riduttivista ha classificato la fibromialgia tra i disordini psichiatrici; ciò nulla toglie alla complessità ma anzi aggiunge complessità alla complessità della condizione; eppure tale classificazione la riteniamo riduttivista perché rischia di far distogliere lo sguardo della medicina, della ricerca e della società nel cui seno soffrono le persone con FM, da alcuni aspetti emergenti e peculiari della FM/CFS, che cominciano ad essere sotto la lente di precisione degli studi di postgenomica.
Quando nel 1960, due medici di Philadelphia scoprirono una peculiare traslocazione genetica che ricombinava il cromosoma 9 con il 22 (perciò denominato cromosoma Philadelphia), con la formazione di una proteina anomala (BCR/ABL) causa di una forma di leucemia cronica chiamata LMC, si aprì una nuova era per l’ematologia e l’oncologia. Dopo 40 anni dalla scoperta del cromosoma Philadelphia, fu sviluppato il primo farmaco (imatinib) che aveva come bersaglio molecolare BCR/ABL, e che determinava effetti terapeutici strabilianti. Dopo imatinib, sono arrivati suoi succedanei ancora più efficaci.

Ma ormai, dopo 60 anni dalla scoperta di quell’anomalia di un singolo gene come causa di un tumore del sangue e dopo 20 anni di utilizzo di piccole molecole in grado di riconoscere specifici geni, è divenuto abbastanza chiaro ai medici, che: la stragrande maggioranza delle patologie umane non hanno come causa una singola alterazione genetica, né possono essere guarite definitivamente e in maniera semplice con l’utilizzo di piccole molecole farmacologiche dirette contro un singolo e specifico bersaglio driver.
Infatti, oggi possiamo affermare che la genetica non è tutta la storia delle malattie.
Oltre che alle mutazioni dei geni, dobbiamo iniziare a guardare ai polimorfismi dei geni stessi; oltre ai polimorfismi dobbiamo guardare alla epigenetica, alla metagenomica, e in generale a tutti quei meccanismi di ecologia del vivente attraverso cui i geni interagiscono tra loro e con l’ambiente circostante (tanto quello di livello molecolare quanto quello di livello macroscopico) per determinare i fenotipi della salute o della malattia e la fitness di un gene, di una molecola, di una cellula, di un organismo, di un ecosistema complesso.
Tornando alla fibromialgia: questa è un esempio caratteristico di complessità in azione.
Non possiamo comprendere la fibromialgia se non accettiamo alcuni hallmark della condizione, che ne definiscono la costellazione patologica e che sono rappresentati da una disfunzione o bassa fitness del sistema immunitario (un tipico Sistema Adattivo Complesso – CAS), e di quei sistemi complessi ad esso strettamente collegati, che sono il sistema del dolore e il sistema dello stress.
Tali hallmark, ad oggi, sono appannaggio della capacità diagnostica e di pattern recognition del Medico, ma in futuro potranno essere approcciati anche attraverso tecniche di postgenomica che solo recentemente si stanno affacciando al mondo della diagnostica.

Nessuno dei suddetti sistemi fisiologici legati alla fibromialgia ha una singola anomalia patognomonica che possa rendere agevole la diagnosi di FM/CFS con un test del sangue o con un esame di imaging radiologica. Eppure, attraverso studi estesi e profondi di genomica (studio contemporaneo di una moltitudine di geni noti per essere correlati alla sfera del Sistema Immunitario, del Dolore e dello Stress), di epigenetica (cioè di quei cambiamenti più o meno stabili di un fenotipo che avvengono senza alterazioni delle sequenze dei geni) e metagenomica (cioè interazioni tra genoma dell’individuo considerato e i genomi delle altre forme viventi e informazionali, quali batteri, funghi e virus, che vivono su e nell’individuo considerato), si potrà arrivare a riconoscere il volto molecolare della fibromialgia emergente dal mare della “normalità” come una forma riconoscibile a tutti, e accomunata da un profilo molecolare fatto del modo particolare con cui tanti geni polimorfi e legati al funzionamento del sistema immunitario, al funzionamento del sistema di adattamento allo stress, e al funzionamento del sistema di attivazione, mantenimento e centralizzazione del dolore, interagiscono tra loro e con l’ambiente circostante, realizzando una condizione di bassa fitness che sebbene non pericolosa per la vita, rende penosa la vita stessa.

Beniamino Casale, responsabile IPAS Terapie Molecolari e Immunologiche in Oncologia – AO dei Colli – Ospedale Monaldi.