IL GIOCO ETERNO TRA MEMORIA E OBLIO

Nella matematica esistenziale il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria, il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio.

Milan Kundera

La parola memoria deriva dal latino memor, che significa ricordo, e per definizione rappresenta la funzione psichica di riprodurre nella mente un’esperienza, una sensazione, un’immagine, una nozione.

Tra i caratteri peculiari più affascinanti dell’uomo, la memoria si distingue in:

  • Primaria: infallibile ma di breve durata, ha una capacità limitata.
  • Secondaria: a lungo termine, permette di memorizzare un’infinità d’informazioni.
  • Fotografica: definita iconica dalla parola greca icon, immagine, perché si realizza per immagini a brevissimo termine di uno stimolo visivo.
  • Ecoica: si verifica quando uno stimolo uditivo continua per pochi istanti, anche se finito.

La memoria evoca ricordi importanti, belli o difficili della propria vita, il cui elenco potrebbe essere infinito, senza per forza seguire un ordine temporale.

Il percorso della vita si costruisce anche, forse soprattutto, sui ricordi più significativi, che permettono di definire l’origine, il vissuto, l’unicità pur essendo parte di una famiglia, di un gruppo, di una comunità, dell’intera società.

La memoria non è però solo legata al passato ma anche al presente, quando diventa strumento per tenere a portata di mano tutte quelle informazioni pratiche (indirizzo, numero di telefono nostro e dei familiari, dati personali) che rendono possibile organizzare e vivere il proprio quotidiano.

Senza ricordi avremmo un carattere genetico ma non esperienziale, saremmo un involucro naturale senza il contenuto di un vissuto che ci rende unici nell’infinito umano.

Le nuove informazioni, le sensazioni che si vivono, vanno a interferire con quelle già memorizzate, e al contempo alcune di quelle preesistenti svaniscono improvvisamente.

E se ricordassimo ogni esperienza della vita con la stessa enfasi emotiva originaria?

Saremo bloccati nel passato, vittime di un eccesso di ricordi, di emozioni, di malesseri, che ci impedirebbero di vivere con spontaneità e serenità nuove esperienze e sensazioni.

Nel ginepraio mnemonico subentra l’oblio, che per definizione indica la dimenticanza intesa come fenomeno non temporaneo, non dovuto a distrazione o perdita momentanea di memoria.

Nella mitologia greca e nel Paradiso di Dante la vita mortale poteva essere obliata solo nell’Aldilà, e solo per chi avesse ricevuto il permesso di bere dalle acque del fiume Lete (oblio, appunto); accanto al Lete scorreva l’Eunoè, fiume del ricordo delle cose buone.

Obliare non può essere considerato una soluzione alla sofferenza, ai reati commessi, al dolore provocato o vissuto, perché l’unico modo per superare un trauma è viverlo e affrontarlo.

Il filosofo Max Scheler configura l’oblio come una chiave di rigenerazione morale solo e sempre dopo la piena assunzione della responsabilità dell’atto.

Forza medicatrice del tempo, l’oblio crea un equilibrio tra memoria e dimenticanza, tra i ricordi fondamentali da preservare per la propria individualità e quelli che necessita velare per poter continuare a vivere serenamente.

La memoria e l’oblio per definizione sono poli opposti, al contempo però sono intrecciati e si completano in una giusta proporzione, conferendo un senso all’esistenza individuale.

L’oblio si delinea quindi come aspetto essenziale dei fenomeni mnemonici, inserendosi nel corso dei pensieri e accogliendo quelli che cadono nel suo baratro; alcuni ricordi scompaiono totalmente, alcuni frammenti restano e altri lasciano tracce indelebili.

Come si spiegano queste differenze? Perché un’esperienza viene dimenticata, se acquisita bene?

Le spiegazioni sono molteplici, ma quelle più significative rilevano il declino del ricordo correlato alla sua intensità emotiva originaria, e al suo disuso.

La psicoanalisi associa l’oblio alla rimozione che permette di velare la memoria dei ricordi dolorosi, difficili, insostenibili emotivamente.

Sigmund Freud sottolinea che la rimozione è lo strumento che determina la dimensione o il blocco di esperienze o azioni traumatiche.

Il modo di rapportarsi allla memoria e all’ oblio non è coerente né semplice da interpretare. Si riscontra infatti sia una rassegnazione (il passato va accettato) che un’enfatizzazione (i mitici anni…),ma anche una ricerca del passato, sovente estrema, per ritrovare le proprie origini o quale sostegno emotivo per superare le crisi personali attraverso i sentieri nostalgici di un trascorso sereno.

La memoria ha una sua rilevanza anche nel percorso di vita di una comunità.

Lo storico francese Pierre Nora dichiara che la memoria collettiva è il ricordo o l’insieme dei ricordi, più o meno conosciuti, di un’esperienza vissuta o mitizzata da una collettività vivente della cui identità fa parte integrante il sentimento del passato.

L’oblio pertanto ha un determinante ruolo d’equilibrio con la memoria non solo nella vita di un individuo, bensì anche nel contesto socio-culturale di una collettività e di un periodo storico.

Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche asserisce che è impossibile vivere senza oblio, fondamentale per la salute di un individuo, di un popolo, di una cultura, laddove l’eccesso di storicismo o d’anamnesi può bloccare lo sviluppo di una società.

La memoria e l’oblio disputano quindi un gioco d’eterno equilibrio, la cui risultanza determina il passato, il presente e il futuro di un individuo, di una comunità, di un’epoca storica. Non vi è presente senza un passato che abbia permesso di costruirlo, e non ci sarà futuro senza un presente che lo determinerà.

AnnaMaria Fiscale: sociologa, specializzata in analisi qualitativa della ricerca sociale e in management dei servizi sanitari

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