Il labirinto del dolore
–Non è la vita o la morte il labirinto.
-Uhm, e allora cos’è?
–Il dolore rispose (…)
-Come si esce dal labirinto del dolore?
– Niente è male. Ma si soffre sempre, Ciccio. I compiti a casa, la malaria, avere un fidanzato lontano quando c’è un bel ragazzo disteso vicino a te. La sofferenza è universale. E’ l’unica cosa che fa paura a tutti, buddhisti, cristiani, musulmani”.
Cercando Alaska – John Green
Il dolore, che nella sua forma più intima ed emotiva diviene sofferenza, coinvolge diversi aspetti della natura umana: interessa la sfera fisica, la sfera psichica e quella sociale. L’una non è imprescindibile dalle altre, ma il più delle volte esse sono strettamente correlate e dipendenti tra loro.
La Pain Sociology, o Sociologia del Dolore, che in America è già realtà e che inizia ad emergere timidamente anche in Italia, ha dimostrato in che misura situazioni soggettive ritenute solitamente estranee e resistenti ai fattori sociali, sono invece da questi largamente influenzate.
Tra queste situazioni, si colloca il dolore: è stato, infatti, dimostrato che la percezione del dolore è influenzata da variabili culturali, sociali, di classe e di genere.
Il sociologo ed antropologo David Le Breton ha affrontato nel suo libro Antropologia del dolore (1995) la tematica del dolore analizzandola da una prospettiva sociale e culturale, mentre nella successiva opera Esperienza del dolore (2014) ha focalizzato esclusivamente l’attenzione sugli aspetti cognitivi ed emotivi.
L’americano Irving Kenneth Zola, scrittore e studioso di sociologia medica e di diritti della disabilità, con uno studio condotto nel 1961 ha dimostrato che a un medesimo evento corporeo non corrispondono le stesse reazioni in tutte le popolazioni.
Zola mise a confronto un gruppo di pazienti italiani con un gruppo di pazienti irlandesi ed osservò che, a parità di malattia da cui erano affetti, gli italiani lamentavano dolori molto più forti degli irlandesi che, addirittura, tendevano a minimizzarli. Lo studioso giunse alla conclusione che gli abitanti della Repubblica d’Irlanda, appartenenti a un ambiente socio-culturale meno attento alla sfera della salute, fossero portati a trascurare, o quanto meno a sopportare, il dolore e la sofferenza.
Uno studio simile, denominato People in pain, è stato condotto nel 1969 dall’antropologo Mark Zborowski il quale è giunto alle stesse conclusioni dello Zola; in questo caso i gruppi a confronto erano quattro (italiani, irlandesi, americani ed ebrei) e dall’analisi dei dati raccolti è emerso che gli italiani, insieme agli ebrei, tendevano a enfatizzare e a drammatizzare il proprio dolore.
Il tema del dolore ha ispirato poeti, scrittori, pittori, cantanti…
Nel 1700 un emergente Goethe ha regalato l’ immortalità a I dolori del giovane Werther; la poetessa Alda Merini ci ha reso partecipi della sua lirica Ieri ho sofferto il dolore affermando in uno dei versi più forti che il dolore è senza domani; in tempi recentiil cantautore Roberto Vecchioni ha rivelato, attraverso la sua musica, che Ho conosciuto il dolore nelle sue diverse dimensioni (Ed era il figlio malato, la ragazza persa all’orizzonte… l’indifferenza del mondo alla fame, alla povertà, alla vita… nascosto vigliacco battuto tumore…) e aggiunge che lo ha sfidato (L’ho fermato per dirgli: con me non puoi niente…) e lo ha vinto (Ma in mezzo alle stelle invisibili e spente io sono un uomo… e tu non sei niente).
Ed ancora, il dolore è magistralmente espresso nell’opera pittorica di Edvard Munch L’Urlo e nella raccolta di liriche Il doloredi Giuseppe Ungaretti.
“La felicità è benefica per il corpo, ma è il dolore che sviluppa i poteri della mente”.
Marcel Proust
La sofferenza che dura nel tempo non deve essere considerata esclusivamente dolore fisico o emotivo. L’esperienza del dolore è un insieme complesso di fattori biomedici, psicologici, sociali, spesso interdipendenti tra loro. Le aspettative, le credenze, la cultura, l’equilibrio emotivo, lo stato cognitivo spesso modificano l’espressione della sofferenza: tutti i mammiferi provano dolore, ma l’uomo è l’unico in grado di raccontarlo: narrandolo, il dolore supera la dimensione personale e diviene esperienza sociale e condivisa.
Il dolore è di chi lo prova, ma è anche di chi è coinvolto nell’esperienza di sofferenza dell’altro.
Il dolore è lesione, ferita, frattura… ma è anche sensazione, suggestione, percezione…
Nel labirinto, in quel labirinto del dolore citato da John Green, una via d’uscita, come in tutti i labirinti, deve esserci: per quanto il percorso possa essere tortuoso, difficile, ingannevole, il varco, seppur nascosto tra rovi ed insidie, aspetta di essere raggiunto.

E se è vero che il dolore esiste ogni volta che qualcuno lo esprime, è altrettanto vero che è possibile, se non annullarlo, almeno renderlo più sopportabile, tutte le volte in cui, al di là di quell’uscita, si trova qualcuno disposto ad ascoltare la voce di chi, quel dolore, con dignità e coraggio, ha deciso di raccontarlo.

Rosa Maria Bevilacqua, Sociologa, A.O.R.N. “San Giuseppe Moscati”- Avellino, Delegata alla Sanità ASI (Associazione Sociologi Italiani)