L’assistenza ai pazienti oncologici può avere ripercussioni sullo stato di salute psicofisica del caregiver. Nell’ultimo quindicennio gli studi in letteratura si sono soffermati nell’analizzare quanto la patologia oncologica investa nella sua globalità sia la sfera fisica che quella emotiva, non solo del paziente oncologico, ma anche del partner e di tutto il sistema familiare.
Gravi ripercussioni connesse a quest’evento stressante sono gli alti livelli di ansia e depressione del nucleo parentale. Un recente studio di Pannuti et all. si focalizza sul meccanismo di queste patologie che vede il rimugino come il fattore di mantenimento della depressione e che compromette la progetualità futura del caregiver anche a distanza di anni.
Il rimugino in psicologia è quel pensiero insistente e intrusivo rivolto al problema o alla rievocazione di situzioni problematiche.
Il caregiver del paziente oncologico in tutte le fasi dell’assistenza al proprio caro ha come pensiero prevalente quelli collegati alla malattia; si affollano nella propria mente gli appuntamenti delle visite mediche, i nomi dei farmaci, tutta la sintomatologia da riferire al medico e tante altre variabili che spesso compromettono le attività giornaliere. Ma c’è di più: questi pensieri non terminano anche quando si sta elaborando la perdita del proprio caro, in modo simile all’episodio post-traumatico da stress possono riemergere vissuti dolorosi e ricordi traumatici. Ma qual’è l’emozione alla base del rimugino di questi eventi? Il senso di colpa altruistico.
“A distanza di anni mi perseguita ancora il senso di colpa per aver deciso in talune situazioni cosa fare, se continuare con la chemio, iniziare una radioterapia, ascoltare quel medico piuttosto che un altro specialista “- afferma Regina, caregiver del papà perso qualche anno fa a causa di un adenocarcinoma polmonare – “questi pensieri mi bloccano nel prendere decisioni o nel dare consigli ai miei cari”.

Il senso di colpa non è strettamente collegato alle scelte terapeutiche intraprese ma il caregiver si sente in colpa per aver veicolato le decisioni che riguardano la vita del caro. Questo sentimento se non elaborato ostacola le scelte future del caregiver che non riesce a prendere decisioni per il proprio futuro intaccandone la qualità della vita e l’autodeterminazione.
Sarebbe quindi opportuno intervenire in modo precoce e tempestivo con questi soggetti con terapie cognitive comportamentali atte ad escludere il bias di percezione ad eliminare il rimugino. Anche a distanza di anni sarebbe utile costituire gruppi di automuto-aiuto per affrontare ed elaborare il lutto ovvero bisognerebbe che le linee guida prevedessero una continuità terapeutica ed emotiva tra il paziente e il nucleo familiare anche dopo l’exitus del paziente.

Raffaela Cerisoli, Psicologa e dottore di ricerca in Scienze della mente, A.O. dei Colli, Ospedale Monaldi.