Non è la prima volta che nelle mie riflessioni e narrazioni, cito una mia zia, Titina, sorella di mia madre, purtroppo colpita in giovane età da una grave patologia oculare, che la condusse fatalmente ad una irreversibile cecità. Ebbene, per suo tramite, conobbi, tanti anni fa, un anziano professore, (Salvatore L.), docente di braille, non vedente congenito, che, nonostante la mia età adolescenziale e il tempo trascorso da allora, il suo ricordo è ancora vivo in me.
Un giorno il professore (L.) fu ospite a pranzo a casa nostra. Quando, in un preciso momento della giornata, avevamo da poco terminato il pranzo, si accorse che nel soggiorno eravamo rimasti per un attimo soli lui ed io, allora sottovoce mi chiamò, mi invitò ad andargli vicino e sommessamente mi chiese tenendomi una mano:
Gianni, dimmi, di che colore è il sole?…
Il forte legame affettivo che mi legava al professore e l’emozione per quella domanda sul colore del sole, che, seppur all’apparenza poteva apparire sciocca, non l’ho mai dimenticata. Tanti anni fa, nel da studente al secondo anno di medicina, decisi di perseguire un sogno che, congiuntamente a un mio caro compagno di studi, cercammo di intraprendere, quello cioè di una ricerca scientifica, su di un avvincente, misterioso e suggestivo tema: il sogno dei ciechi congeniti.
Ricerca che solo in parte ebbe corso, perché, a causa dapprima di impegni universitari poi a seguire di studi e iter specialistici, concorsuali e lavorativi, lo studio riproposto fu interrotto e noi distolti dal proseguire.
Ma la fiamma della curiosità sull’argomento è rimasta sempre accesa, alimentando in me, negli anni, attraverso letture e ricerche, il desiderio di conoscere e ogni possibile avanzamento del sapere. Ed oggi, a distanza di tanti anni dall’inizio del sogno, desidero esternare, senza peccare di immodestia ma cercando di esprimere in sintesi, con consapevolezza e semplicità, quanto ho potuto apprendere sull’argomento in parola, non solo cercando di ricostruirne la genesi, ma soprattutto cercando delle risposte.
Pertanto, leggendo e documentandomi su vari studi effettuati presso vari centri universitari e non, su tale argomento, ho potuto notare ed accertare che, sia misurando l’attività onirica dei soggetti oggetto di studio, sia attuando, su appositi nastri, le registrazioni verbali dei sogni effettuati e sia infine attraverso attente analisi grafiche dei disegni dei sogni realizzati al risveglio da parte dei non vedenti congeniti, che i sogni compiuti, sono, in linea di massima, uguali ai nostri, arrivando a stabilire che gli stessi visualizzano le immagini proprio come noi, pur non avendone mai avuto esperienza.
In estrema sintesi, nella cosiddetta fase REM (la quinta fase del sonno, la più profonda, durante la quale si sogna) si attivano nei due emisferi cerebrali, delle aree della corteccia visiva occipitale che hanno lo scopo di decodificare il funzionamento di tutti i sistemi sensoriali (compresa la visione, seguendo la catena nervosa: retina – nervo ottico – talamo – corteccia) ad esclusione dell’olfatto.
Ma la risposta di come tutto ciò sia possibile e come immagini mai conosciute, ma in gran parte rispondenti alla realtà, possono essere visibili nei sogni dei non vedenti congeniti è oggetto ancora di studio. Le ipotesi formulate fino ad ora possono essere riassunte in tre possibili:
– si è ipotizzato che le immagini decodificate in corteccia possono derivare da una sorta di cooperazione dell’attività della corteccia con altri organi sensoriali, particolarmente sviluppati nei non vedenti (tatto, udito, olfatto e gusto);
– si è ipotizzato una sorta di banca dati di immagini innate che ogni essere umano possiede, utilizzate forse al fine di preservare la specie.
– si è ipotizzato infine una sorta di assimilazioni di immagini, derivanti da descrizioni narrative di altri.
È una ricerca affascinante e avvincente che, negli anni, grazie ad ausili strumentali, indagini individuali e studi approfonditi, ha aperto le porte a tanti interrogativi, solo alcuni in parte ancora da chiarire… Ma per un attimo vorrei ritornare alla domanda del professore (L.): Gianni – mi chiese – di che colore è il sole?
Allora ero troppo piccolo per poter rispondere ma forse oggi potrei osare a farlo, provando a darne una:
la vita è una grande avventura verso la luce e se anche i non vedenti possono percepirla, seppur nei loro sogni, allora la risposta è in noi: c’è una luce che illumina il cammino di tutti ma c’è anche un bagliore capace di oscurarlo…bisogna saper vedere il sole, anche da ciechi.

Giovanni Sarnelli medico specializzato in Anestesia e Rianimazione, già Colonnello medico del Corpo Sanitario dell’Esercito e oggi in regime di quiescenza, opera attualmente, come libero professionista, in campo medico certificativo e medico legale.