Infiammazione e invecchiamento: la strana coppia
Vivere a lungo e in salute è certamente uno dei più grandi desideri dell’uomo. Tale desiderio è ampiamente condiviso anche dal sistema sanitario dei vari Paesi che ogni anno sostiene spese notevoli per curare i pazienti affetti da malattie croniche.
La scoperta che molte patologie sono reversibili, ovvero che possono essere curate o addirittura evitate realizzando degli interventi sullo stile di vita, è il motivo per il quale negli anni sono state avviate numerose azioni per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’effetto dannoso di abitudini scorrette sulla salute. Certo è che il nostro organismo è programmato per una senescenza naturale, un invecchiamento cellulare che è fisiologico e inevitabile.
I nostri comportamenti, e in genere il nostro stile di vita possono però velocizzare i processi di invecchiamento dell’organismo. A tal proposito, negli ultimi decenni la ricerca clinica si è concentrata sullo studio di una particolare condizione, subdola e silenziosa che appare associata all’insorgenza delle malattie croniche-degenerative. L’inflammaging, parola coniata dall’unione di inflammation infiammazione e aging invecchiamento, descrive una condizione di infiammazione dell’organismo di basso grado (low grade) e persistente (cronica) che non ha sintomi visibili ed ecco perché silenziosa.
L’infiammazione cronica di basso grado è una condizione capace di accelerare i processi di invecchiamento a livello sistemico interessando l’intero organismo. Questa condizione provoca nel tempo una serie di continui insulti silenziosi che causano danni a livello cellulare, compromettendo la funzionalità degli organi fino all’esplosione della malattia.
L’infiammazione cronica di basso grado sta emergendo in tutte le malattie croniche-degenerative: sindrome metabolica, diabete di tipo 2, steatosi epatica non alcolica, malattie cardiovascolari, cancro, depressione, malattie autoimmuni, malattie neurodegenerative, immunosenescenza e tumori. Sono state identificate diverse cause di infiammazione cronica di basso grado. I fattori scatenanti più comuni includono infezioni croniche, inattività fisica (sedentarietà), obesità (soprattutto a livello viscerale), disbiosi intestinale, abitudini alimentari non corrette, isolamento sociale, stress psicologico, sonno disturbato e ritmo circadiano interrotto, esposizione a xenobiotici (ad esempio la nicotina, insetticidi, inquinanti, …).
Ma come posso valutare la presenza di infiammazione cronica di basso grado? Individuare questa condizione a livello clinico è difficile perché i sintomi sono vari, tra i quali stanchezza cronica, difficoltà nella concentrazione, sonno disturbato, malessere diffuso, gonfiore addominale e problematiche gastrointestinali varie.
L’infiammazione cronica di basso grado è correlata alla presenza di molecole che possono essere dosate nel sangue, i cosiddetti markers infiammatori (ad esempio interleuchine, proteina C reattiva – PCR). Si tratta però di molecole che richiedono dosaggi complessi e di difficile interpretazione. Generalmente il dosaggio di tali molecole è utilizzato in ambito di ricerca clinica ma non nella routine. Certamente ognuno di noi può contrastare l’infiammazione cronica di basso grado agendo su due fronti: minimizzando gli stimoli che causano l’infiammazione e aumentando la sintesi delle molecole che spengono l’infiammazione.

Tra i fattori scatenanti l’inflammaging c’è anche la dieta. Infatti le nostre abitudini alimentari possono giocare un duplice ruolo: se non corrette possono aumentare e promuovere l’infiammazione cronica di basso grado (attività pro-infiammatoria); se sane possono prevenire e spegnere tale condizione (attività antinfiammatoria).
Il consumo quotidiano di cereali, legumi, verdura e ortaggi, frutta fresca e secca aumenta l’apporto di fibra alimentare. La fibra quindi nutre i batteri buoni del microbiota intestinale che producono gli acidi grassi a catena corta ad azione antinfiammatoria. Anche il consumo di grassi attraverso gli alimenti influenza direttamente la produzione di mediatori infiammatori. Alcuni acidi grassi hanno proprietà antinfiammatorie e sono perciò definiti acidi grassi buoni, tra questi gli omega-3 (naturalmente presenti in noci, pesce azzurro e semi di lino) e gli acidi grassi monoinsaturi (olio extra vergine di oliva e avocado).
Gli acidi grassi saturi e un eccessivo apporto di omega-6 rispetto agli omega-3 (carne rossa, burro, formaggi, olio di palma) promuovono invece i processi infiammatori (attività pro-infiammatoria), e sono perciò definiti acidi grassi cattivi. Inoltre una dieta troppo ricca di grassi “cattivi” è strettamente correlata ad un aumento del rischio di sovrappeso e obesità soprattutto viscerale e di uno stato infiammatorio cronico.
Molti studi hanno dimostrato l’attività antinfiammatoria di alcune sostanze naturalmente presenti in alcuni alimenti di origine vegetale. Tali composti sono inoltre caratterizzati da un’elevata attività antiossidante capace di contrastare gli effetti negativi dei radicali liberi nell’organismo e quindi l’invecchiamento cellulare. I polifenoli sono dei composti bioattivi con particolari attività antiossidante e antinfiammatoria: tra questi abbiamo il resveratrolo, naturalmente presente nella frutta fresca, e soprattutto nella buccia dell’uva nera, nei frutti rossi quali mirtilli blu e rossi, ribes, e le catechine, presenti nel tè, cacao e frutta fresca.

Anche i carotenoidi hanno attività antiossidante e antinfiammatoria, tra questi il betacarotene, presente soprattutto nella frutta e nella verdura di colore giallo-arancione (carote, zucca, albicocche, pesche) e negli ortaggi a foglia di colore verde scuro (spinaci, rucola, radicchio), e il licopene, presente nei pomodori, pompelmo rosa, arance rosse, carote, albicocche e cocomero.
Tra questi composti tanto preziosi per il nostro organismo ricordiamo anche le antocianine, presenti ad esempio nel melograno. Alcune spezie, ormai largamente utilizzate per insaporire le pietanze, hanno dimostrato un’attività antiossidante e antinfiammatoria. Ad esempio la curcuma (fonte della curcumina) aggiunta come ingrediente singolo o come ingrediente del curry, una miscela di spezie e aromi) ed il peperoncino che è fonte di capsacina. Infine frutta secca (noci, nocciole, mandorle, pistacchi, …) e semi (di girasole, zucca, sesamo e lino) sono un concentrato di preziosi nutrienti come grassi essenziali, minerali, vitamine, fibra e antiossidanti.
Quali sono invece gli alimenti da limitare o evitare perché hanno attività pro-infiammatoria?
Certamente tra questi abbiamo l’alcol, gli alimenti ultra processati, perché contengono additivi e conservanti (ad esempio alcuni cibi precotti), la carne lavorata, i cereali da farina raffinata, la margarina, gli alimenti fritti, gli olii di semi, gli alimenti ricchi di zucchero includendo anche le bevande zuccherate; in generale una dieta ricca di proteine di origine animale.
I dati degli ultimi decenni indicano che le abitudini alimentari sono certamente a favore di una dieta pro-infiammatoria. Inoltre è stato osservato un elevato consumo di calorie vuote (alimenti ad elevato potere calorico e basso valore nutritivo) che aumenta il rischio di obesità viscerale e promuove infiammazione cronica di basso grado.
Come orientarci allora nelle nostre scelte alimentari per ridurre lo stato infiammatorio?
Traducendo in termini pratici quanto descritto potremmo lasciarci guidare dalla Dieta Mediterranea, un modello alimentare con un sicuro effetto antinfiammatorio.

Concetta Montagnese Ricercatore, Biologo Nutrizionista presso SC Epidemiologia e Biostatistica – IRCCS Istituto Nazionale Tumori “Fondazione G. Pascale”. Esploratrice di luoghi e stati d’animo.