Intelligenza collettiva e pensiero di gruppo.

Nel 1994 il filosofo francese Pierre Levy, partendo da studi sull’ impatto di internet sulla società, ha teorizzato il concetto di intelligenza collettiva, ossia di quel particolare tipo di intelligenza che si basa sulla collaborazione tra i membri di una comunità, così che tutti gli appartenenti ad essa possano risolvere i problemi del gruppo superando i limiti della cognizione individuale.

Al fondo si tratta di una valorizzazione dell’intelligenza individuale, messa in relazione al massimo grado in tempo reale. Una messa in comune di tutte le capacità cognitive, delle competenze e della memoria della gente che partecipa al flusso informativo. Un flusso che prevede comunità di immaginazione, non solo di notizie. Oggi le reti telematiche rappresentano simbolicamente l’intelligenza collettiva all’opera” (Pierre Levy).

Sebbene i suoi studi siano partiti dalla telematica, il Levy ha chiarito che il linguaggio, la natura, la scienza, la cultura, i miti… sono anch’essi manifestazione di intelligenza collettiva.

In un sistema basato sulla intelligenza collettiva ogni individuo offre le sue conoscenze a beneficio della comunità usufruendo a sua volta, in un muto tacito accordo, delle conoscenze degli altri componenti.

Le caratteristiche dell’intelligenza collettiva sono due: la cooperazione, grazie alla quale tra i membri della comunità vi è collaborazione e condivisione delle informazioni e l’ organizzazione, senza la quale i singoli non potrebbero condividere e cooperare.

L’organizzazione può essere centralizzata o decentralizzata: nel primo caso, essa è affidata ad una autorità centrale posta al vertice di una struttura piramidale (i sindacati, i partiti politici, i consorzi…), nel secondo caso, invece, gli appartenenti alla comunità trasmettono le informazioni agli altri senza necessità di una figura di coordinamento.

Per comprendere bene il meccanismo della intelligenza collettiva, basta guardare alla natura: gli esempi più comuni e noti di intelligenza collettiva ci giungono dal lavoro ordinato, condiviso, attento e fruttuoso delle api o da quello, altrettanto sorprendente ed accurato, delle formiche: in entrambi i casi, la sopravvivenza, sia dell’alveare che del formicaio, è legata al lavoro collaborativo  ed organizzato dei piccoli insetti.

L’intelligenza collettiva si differenzia dal pensiero di gruppo: infatti, quest’ultimo si fonda sulla tendenza degli individui ad adeguarsi alla linea di pensiero e di azione del resto del gruppo (anche quando si hanno dubbi sull’efficacia di tale linea di pensiero) senza alcuna forma di partecipazione, organizzazione e cooperazione alle vicende dello stesso: si tratta, in definitiva, del trionfo dell’appiattimento culturale e della sconfitta della promozione di risorse.

Il termine groupthink, pensiero del gruppo, è stato coniato nel 1972 dallo psicologo statunitense Irving Janis e descrive il processo attraverso il quale un gruppo prende decisioni irrazionali o sbagliate: in questo contesto, qualunque proposta avanzata discordante con quella che prevale nel gruppo, viene bocciata o addirittura ridicolizzata.

Talvolta il groupthink è molto presente nei gruppi più coesi, dove paradossalmente si tende ad adeguarsi al pensiero di alcuni, senza avanzare proposte ed idee per timore di creare rotture.

La storia ci insegna che le intelligenze collettive si trasformano ed evolvono, mentre i gruppi di pensiero nascono e declinano.

E allora si può forse concludere affermando che nelle attuali vicende sociali, il pensiero di gruppo stia superando l’intelligenza collettiva, esponendo le società moderne ad un difficilmente recuperabile decadimento culturale, ideologico, sociale… Forse ancora una volta la natura, con le sue api e le sue formiche, ha qualcosa da insegnare al genere umano: ed è forse proprio alla Natura che bisogna guardare per sperare di poter ricominciare.

Rosa Maria Bevilacqua, Sociologa, A.O.R.N. “San Giuseppe Moscati”- Avellino, Delegata alla Sanità ASI (Associazione Sociologi Italiani)

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