L’ amaro destino di un drinkman, al tempo del Covid.

E sovviene sensazione aspra e urente, anomala, mentre provi molto banalmente l’esercizio fisiologico della deglutizione…Ti occorre, tutta sul lato sinistro del palato e della gola alta, ma i due versanti controlaterali non hanno interferenze neurologiche riconosciute a quanto ti sembra, l’incredibile anatema dell’Amaro dominante, quando bevi qualsivoglia intruglio, da attuale positivo in corso al Covid.

Sovviene, al cambio di bevanda, malinconicamente l’acqua minerale naturale e quella gassata lievemente o robustamente, il senso sgraziato dell’amaro ubiquitario. Ma che beviamo a fare? Ti sembrano al sapore arduo le gocce di Abidec, il primo vitaminico che andò di moda per i pediatri negli anni ‘50.

Ma fatta salva la prova francescana dell’acqua sorgiva, divina e sana, quello che ti ferisce (a morte?) è il riscontro insensato verso qualsiasi pozione magica dotata di alcool. Con l’effetto soggettivo Covid, il Pernod caro al La Capria di Un giorno di impazienza diventa un Centerbe ascetico da Gran Sasso molisano e il Gin Tonic al Bombay del Baretto una immeritata sferzata al più acerbo dei limoni, ma noi mica volevamo questo dalla vita…E il Mojito delle rimosse splendide stagioni è un equivoco antologico – la menta? But what is mint? – di trapassati sapori, annullati come il tuo, che induce ad una sommatoria di dolori.

Il pilastro sinistro della faringe estraneo al buongusto, gentilezza nella mia mente, dateci un canale preferenziale come una tangenziale di papille gustative per il lato destro, hai visto mai, ma quello che resta ineluttabile e irreversibile è il test che ci siamo imposti oggi: non antigenico e non molecolare. Sorseggiare lievemente il Gewurztraminer 2021 di Elena Walch, per esorcizzare l’asprigno improprio che stiamo ritrovando in ogni nostro altro amato bicchiere bianco, ischitano o del contado o di Roccamonfina, sorseggiato di malavoglia a tavola. Solingo. Come un passero solitario.

E invece no, la verifica sinistra che oggi al palato è diventato severo e prussiano, come un indesiderato Petrus Boonekamp, anche la soave fruttata morbidità del Traminer. Ma che espiazione di buona esistenza è questa, se ci disperde ogni buon cimelio, fosse pure l’elisir di un vino che ti riporti a casa nostra?

Che contrappasso iniquo, a rimirare quella cassetta intatta di Traminer in dispensa, dono pregiato di un paziente, che oggi non avrebbe dunque più il suo afrodisiaco intimo nettare? Se non la conferma fisiologica che quel che è (stato) lasciato nella vita, è andato irrimediabilmente perduto.

Gian Paolo Porreca Chirurgo vascolare, professore di cardiochirurgia, scrittore, giornalista e amante del ciclismo

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