La consolazione di Boezio

Poche opere ebbero, per tutto il corso del medioevo, la fama e il prestigio della Consolatio Philosophiae di Boezio, il senatore romano giustiziato da Teodorico nel 524 che Dante celebra nel Paradiso, fra le anime sapienti del cielo del Sole.

Scritta in prigionia, alla vigilia della morte, l’opera reca l’impronta delle esperienze estreme dello spirito, quelle in cui un uomo, senza più futuro, è indotto a rimediare i valori e gli ideali sui quali ha fondato la vita. Boezio era un intellettuale di vastissima dottrina, uno degli ingegni più lucidi del suo tempo, imbevuto di cultura neoplatonica e aristotelica.

Vissuto <<al limite di due mondi>>, nel fosco tramonto della civiltà romana, egli fu, come pochi altri, consapevole della crisi in cui si dibatteva l’Occidente, e per tutta la vita perseguì, con ambizioso programma, l’impegno di conservare e tramandare il patrimonio filosofico della tradizione antica. Giustamente è apparso come l’ultimo dei Romani e il primo dei tempi nuovi, il fondatore della scolastica. Ma nessuno dei suoi molti trattati dottrinali ebbe echi così intensi come la Consolazione della Filosofia: questa sorta di romanzo filosofico, misto di prosa e di versi, che condensa e sintetizza, nei termini di una meditazione lucida e commossa, il vasto dibattito del pensiero etico classico sui problemi perenni della coscienza: il male e il bene, la fortuna e il libero arbitrio, la volontà e la prescienza di Dio.

È composta di cinque libri. Nel primo, Boezio, malato, si duole in prigione della sua triste condizione. È circondato dalle Muse che gli dettano il suo lamento. Improvvisamente gli appare una donna dal viso venerabile, con occhi splendenti di una forza di penetrazione straordinaria; ha colorito luminoso, e vigore giovanile, sebbene tanto carica d’anni da sembrare d’un’altra età. Dopo aver scacciato le Muse, la donna si china sull’ammalato, che è caduto in una specie di letargo e non la riconosce; gli asciuga gli occhi pieni di lacrime e annuncia di esser venuta a guarirlo. Allora il malato riconosce la sua nutrice, compagna della giovinezza: donna Filosofia. Questa spiega che è venuta per consolarlo nella sua miseria e, ricordandogli le ingiustizie di cui sono rimasti vittime tanti pensatori, come Socrate, Zenone, Seneca e molti altri, lo persuade a mettere a nudo la sua ferita, sì che ella la possa curare. Il lamento di Boezio, il racconto delle sue disgrazie, in cui vede un trionfo dell’ingiustizia e una violazione delle regole della morale, termina con una preghiera in versi che si conclude con la stupenda invocazione: Rapidos, rector, comprime fluctus et, quo caelum regis immensum, firma stabiles foedere terras.

La violenza dei flutti, o reggitore, tu calma e mediante la legge con cui reggi l’immenso cielo rinsalda stabilimente la terra”.

In questo canto si riconosce il motivo che ritornerà nel corso dell’opera: l’infelicità di Boezio, generalizzata e considerata come la conseguenza d’una condizione disastrosa dell’umanità. Questa condizione è in contrasto con l’ordine cosmico, stabile e non soggetto a sconvolgimenti.

Nel secondo libro la Filosofia esorta Boezio a rassegnarsi alle vicissitudini della Fortuna. È come un primo sedativo somministratogli con l’aiuto della retorica.

Nel corso del terzo libro l’argomentazione si fa più serrata e nello stesso tempo più seria. Ora la Filosofia inizia una terapia qualificata come più efficace. Viene studiato il problema del bene, che non si trova nelle ricchezze, negli onori, nella potenza: Dio è sommo bene, tutto tende verso di lui. Ma perché – obietta Boezio – esiste il male nel mondo? Perché la ripartizione del bene e del male fra i cattivi e i buoni sembra fatta senza discernimento? Nel quarto libro la Filosofia risponde a questa obiezione, affrontando il problema, arduo e carico di mistero, del bene e del male: i beni materiali dei malvagi sono falsi, le infelicità dei giusti sono utili per la loro salvezza., ma a noi sono ignoti i disegni secondo cui Dio opera per il nostro bene.

L’argomentazione conduce a un altro problema, ancora più difficile, quello del libero arbitrio e della prescienza divina, che costituisce l’argomento del quinto libro.

Si è concordi nel credere che Boezio sia stato cristiano, costituendo le sue opere teologiche – ormai considerate autentiche – la prova che la tesi di un Boezio filosofo pagano è insostenibile. L’ipotesi avanzata da alcuni secondo la quale avrebbe <<perso la sua fede>> poco prima di morire, non ha nessun fondamento nei testi. Ma se Boezio era cristiano, non è meno vero che nella Consolatio elementi cristiani sono quasi del tutto assenti: le citazioni bibliche che si sono volute rintracciare sono, tutt’al più, vaghe reminiscenze, il nome di Cristo non compare e il Dio di Boezio sembra essere il Dio astratto dei filosofi piuttosto che il Dio personale dei cristiani. D’altra parte, non ci sono elementi nettamente pagani nell’opera di Boezio, anche se taluni critici li hanno voluti riscontrare nella parte dedicata alla fortuna, soprattutto nel secondo e nel terzo libro.

Se si legge attentamente quella che è stata definita una specie di diatriba sulla fortuna, ci si renderà conto che la fortuna non è rappresentata come una forza divina. Essa è il destino che domina la vita degli uomini e di cui essi sono le vittime, ancor più quando la fortuna è loro favorevole che quando è contraria: poiché proprio allora essa impedisce di vedere in che consiste la vera felicità.

Tutte queste rappresentazioni della fortuna di cui è difficile trovare paralleli nei filosofi dell’epoca e che appartengono a certe convenzioni, prive di valore religioso, servono come prima cura somministrata dalla Filosofia a Boezio malato.

Ritornando al problema del cristianesimo di Boezio, se mancano da una parte elementi apertamente cristiani e dall’altra elementi pagani nel senso religioso del termine, è estremamente difficile dimostrare nella Consolatio, l’esistenza di enunciati contrari alla dottrina e alla fede cristiana. E ciò sembra un fatto capitale, spiegabile soltanto con un’esclusione voluta e cosciente da parte di Boezio di tutto ciò che avrebbe potuto turbare un cristiano.

Rimane da provare quale sia stata la ragione per cui il filosofo e letterato latino ha volutamente escluso da quest’opera, che sembra concepita come suo testamento spirituale, tutti gli elementi cristiani. Può darsi che questa formula testamento spirituale non sia esatta e che si debba piuttosto parlare di un testamento filosofico. Comunque, sembra impossibile dare alla questione suddetta una risposta sicura e definitiva. Chi saprebbe ricostruire i motivi più intimi che hanno guidato gli atti di un uomo messo di fronte alla morte? Si rimane, dunque, nel campo delle ipotesi.

Questo pare evidente: Boezio era in primo luogo filosofo, per vocazione e predilezione. Se si esaminano le sue opere, frutto di una vita breve, si può concludere che l’esistenza di quest’uomo è stata piena – nonostante i suoi incarichi politici e amministrativi – di ciò che si era proposto come impegno e ideale: rendere accessibile ai suoi compatrioti, in latino, l’eredità dei grandi filosofi greci, e in primo luogo di Platone e di Aristotele.

Trovandosi in prigione, accusato di crimini considerati gravi, si rese conto senza dubbio che non gli sarebbe stato più possibile tradurre in atto il suo progetto ardito e immenso. Nello stesso tempo egli si domandò certamente quale fosse il valore di questa filosofia, alla quale aveva votato la sua vita. Nulla impedisce di supporre che nella malattia di Boezio si nasconda un fatto autobiografico: una specie di depressione che lo porta a dubitare del vero valore di ciò che ha riempito la sua vita di filosofo.

Sforzandosi di mostrare nella Consolatio quale sia il vero valore della filosofia nella vita umana, anche nelle situazioni più tragiche e volendo, nello stesso tempo, dare una sintesi di ciò che non poteva compiutamente analizzare ed esporre nei particolari, considera suo dovere giustificarsi di fronte a se stesso e nello stesso tempo pagare il debito che credeva di avere nei confronti dei suoi contemporanei e particolarmente dei suoi lettori.

Se si considera così la Consolatio nel quadro della vita di questo filosofo assetato di saggezza umana, si comprende che egli ha voluto – che ha dovuto – distinguere tra ragione umana e dottrina della fede. Con un eroismo tragico ha difeso, di fronte alla morte, i valori ai quali aveva votato la sua vita.

Ci sono, comunque, dei passi – poco numerosi è vero – in cui Boezio si tradisce per cristiano: involontariamente? È un problema di difficile soluzione.

Boezio è divenuto uno dei grandi maestri del medioevo. La Consolatio soprattutto, usata, dopo Alcuino, come manuale scolastico e libro di edificazione nello stesso tempo, ha esercitato un’influenza enorme sia sul pensiero filosofico sia sulla spiritualità del medioevo, come pure sull’arte figurativa medievale. Il libro era presente in quasi tutte le grandi biblioteche medievali: gli antichi cataloghi attestano la presenza della Consolatio, a partire dallo VIII secolo, nella biblioteca di York, dove, senza dubbio, Alcuino l’ha conosciuta. Nel IX secolo la sua presenza è documentata a Riquier e a Nevers, a Reichenau, a Frisinga, a San Gallo e altrove. Ma il periodo di maggior diffusione si ebbe fra il XII e il XIII secolo.

La leggenda di Boezio martire ha, comunque, favorito la interpretazione cristiana della Consolatio e in numerose citazioni il filosofo figura come saggio cristiano e martire. E nel canto X del Paradiso Dante, assegnandogli un posto tra Orosio ed Isidoro, celebra il martire il cui corpo riposava a Ciel d’Oro e l’anima godeva della pace celeste:

Per veder ogni ben, dentro vi gode
l’anima santa, che il mondo fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode;
lo corpo ond’ella fu cacciata giace
giuso in Cieldauro; ed essa da martìro
e da esilio venne a questa pace.
(Divina Commedia X, 124/129)

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali.

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