Con la consulenza scientifica di Beniamino Casale
SimplyCity è una startup innovativa e ad alta intensità tecnologica. Tra le sue direttrici di ricerca e sviluppo c’è l’utilizzo delle Digital Humanities al servizio della Medicina e dell’approccio Narrativo alla ristrutturazione cognitiva ed affettiva del vissuto di malattia dei pazienti e caregivers.
In tale dimensione operativa, lo studio e il trattamento del dolore, iscrivendosi nella sfera esistenziale del “patico” nel senso descritto da Weizsacker, si offre come una dimensione centrale su cui si intrecciano approcci medici, psicologici, filosofici, esistenziali, sociologici, antropologici ed oggi anche sempre più tecnologici.
Il grande fisiologo, zoologo e filosofo Jakob von Uexkull (1864-1944) ha visto nel dolore il “contrassegno del corpo proprio” e del patico, ossia quel luogo in cui l’esperienza vissuta (Erleben) si configura come soffrire (Erleiden).
Nel manga e anime giapponese Loveless – dove tutti nascono con la coda e le orecchie tipiche dei gatti, e ciascuno le mantiene fino a che non diviene adulto-, la giovane Nagisa si dedica ad esperimenti di ingegneria genetica, finalizzati a creare esseri umani in grado di non avvertire dolore.

Dagli esperimenti di Nagisa nascono due coppie di combattenti: Zero femminile e Zero maschile. La coppia Zero femminile è il prototipo delle coppie combattente-sacrifice create dalla giovane donna, mentre la coppia Zero maschile è il primo esperimento da lei portato a completo compimento: una coppia di combattenti pienamente in grado di non avvertire dolore.
La coppia Zero maschile è davvero forte ma ha un tallone d’Achille che la porterà alla sconfitta: la loro costruzione genetica fa sì che essi siano privi del senso dolore, ma – per ciò stesso -, anche particolarmente vulnerabili al freddo, che verrà utilizzato come arma dal loro avversario più scaltro.
Lo stile di combattimento di Loveless è molto simile a quello dei giochi di ruolo, e inizia attraverso il lancio di un incantesimo d’attacco o di difesa attivato con la pronuncia di specifiche parole e nomi; è però uno stile di combattimento unico per il fatto che gli scontri avvengono tra due coppie, ciascuna composta da un Sacrifice, che riceve tutto il danno dall’attacco dell’avversario, e da un Combattente, che attacca la coppia avversaria. Ciascuna coppia ha un “vero nome” conferitogli prima della nascita e segno di un legame profondo che tiene legato il combattente con il sacrifice di ciascuna coppia.
Le coppie painless (“senza dolore”) della serie Loveless (“senza amore”) possono essere lette come marcatori e traghettatrici di importanti messaggi.
A tutta prima, non essere in grado di provare dolore potrebbe sembrare un fantastico vantaggio. Ma non è così. Infatti, la sensibilità agli stimoli dolorosi è un meccanismo percettivo e adattivo di enorme valenza biologica: saper processare il dolore ci protegge dai pericoli e da danni al nostro corpo, siano essi in atto o potenziali.
Un gene essenziale per il corretto sviluppo dei neuroni sensibili al dolore è stato recentemente identificato presso l’Università di Cambridge; la ricerca è stata pubblicata sula prestigiosa rivista scientifica Nature Genetics. Sono state identificate 10 differenti mutazioni a carico del gene PRDM12 sito sul cromosoma 9; e ciascuna di queste mutazioni, da sola, rappresenta la causa genetica della malattia da Insensibilità Congenita al Dolore (CIP).
La CIP è una malattia estremamente rara, anche perché è perlopiù mortale in giovanissima età: circa la metà delle persone che ne soffrono muoiono entro i 3 anni di età, e comunque raramente i portatori della mutazione in omozigosi superano i 25 anni; la causa principale di morte è l’ipertermia, poiché i soggetti affetti da mutazione di PRDM12 non avvertono sensazioni tattili, comprese quelle termiche del caldo e del freddo.
I bambini affetti da CIP sono incapaci di sentire dolore se si sono morsicati la lingua o mangiati troppo le unghie, e perciò viene proposta la avulsione di tutti i denti di latte per prevenire importanti danni da autolesione; allo stesso modo, questi bambini possono trascorrere anche giorni con un braccio rotto o una gamba fratturata o un organo lesionato o un’infezione, prima che i genitori ne abbiano contezza o sospetto. Il sistema nervoso di questi soggetti è privo di nervi sensoriali, mentre tutto il resto dell’organismo è normale e pertanto i portatori possono normalmente camminare, correre, muoversi coordinati e svolgere qualsiasi altra comune attività.

Per le sue caratteristiche, la CIP si rivelerà importante nella comprensione dei meccanismi del dolore e della segregazione delle varie componenti del dolore stesso, che in modo articolato e complesso stabiliscono una fine interazione biologica cibernetica finalizzata ad un’omeostasi vitale per gli organismi viventi.
Infatti, altro messaggio importante che possiamo trarre dalla serie Loveless è quello di evitare un modello riduzionista che tiene separate le componenti sensitive da quelle motorie del nostro organismo, e di considerare invece come il nostro evoluto Sistema Nervoso Centrale sia un complesso centro di integrazione di stimoli e risposte, che tengono conto dell’ambiente circostante così come delle componenti affettive e cognitive di tutto il nostro essere biologico in continuo plastico divenire.
In tale magnifico sistema di integrazione, il dolore detiene un posto centrale per indicarci le vie da percorrere in avvicinamento piuttosto che in allontanamento da stimoli e situazioni di vantaggio o di pericolo.
È importante ricordare che accanto alla funzione recettoriale e sensitiva del dolore, esiste una componente cognitiva ed affettiva del dolore stesso, embricata sia con la parte più arcaica ed emozionale del nostro cervello profondo, sia anche con la parte più recente e razionale della corteccia cerebrale. In particolare, i complessi, fini e distribuiti circuiti cerebrali coinvolti nel dolore, servono innanzitutto a far porre una assoluta attenzione (funzione attentiva) del soggetto senziente sullo stimolo doloroso e sul contesto in cui lo stesso si presenta, sì da poter stabilire azioni in grado di contrastare gli stimoli che determinano il dolore stesso.
Eppure altre volte, come avviene per esempio in tanti tipi di dolore cronico – sia oncologico che non -, il dolore smette di essere un segnale utile per divenire malattia di per sé; è l’insopportabile dolore “inutile”, così tanto spesso trascurato dalla società e su cui i medici hanno finalmente puntato i riflettori da alcuni anni.
Al momento, PRDM12 è il quinto gene scoperto tra quelli capaci di portare all’assenza di percezione dolorifica; già due di questi cinque geni sono serviti allo sviluppo di nuovi farmaci antidolorifici, e sono in attuale fase di sperimentazione clinica.
Ma se è pur vero che la CIP si rivelerà un importante modello per lo sviluppo di nuovi farmaci antidolorifici – oltre che un modello per la comprensione di alcuni dei meccanismi fisiologici e patologici del dolore -, non dobbiamo trascurare quella complessa e fine componente centrale di integrazione degli stimoli dolorosi, che quando viene compromessa determina l’instaurarsi di un dolore non funzionale e spesso insopportabile per il paziente.
Capire i meccanismi alla base della sensazioni dolorosa, o della sua assenza, è indispensabile per lo sviluppo di strategie che possano ridurre il dolore cronico. Oggi sono ampiamente validate cure per il dolore basate sull’utilizzo di farmaci. Si stanno facendo strada, con sempre maggior successo, anche diversi trattamenti basati sull’utilizzo della neuromodulazione, che utilizzano varie modalità e tipi di stimolazioni elettriche in grado di interferire direttamente con la conduzione e processazione degli stimoli nervosi.
Ma la strada più innovativa e meno invasiva è quella dell’utilizzo della Realtà Virtuale (VR) come terapia del dolore.
L’utilizzo della VR in ambito medico non è un’idea recente, ma solo l’evolversi delle IcT (Tecnologie delle informazioni e comunicazioni) ha potuto innescare le opportunità di ricerca, sviluppo e utilizzo che oggi vanno delineandosi in diversi settori della Medicina e Salute.
Sempre più ricerche stanno evidenziando come la tecnologia della VR possa essere sfruttata con successo in ambito terapeutico.

Per descrivere questo nuovo campo della medicina, basato su nuove tecnologie e architetture informatiche per lo sviluppo di interfacce grafiche digitali 3D, si parla di Realtà Virtuale Terapeutica.
I primi significativi risultati scientifici derivati dall’utilizzo della VR per trattare il dolore in ambito clinico, ed in particolare ospedaliero, risalgono agli anni ’90 dello scorso secolo.
Nel 1996, presso l’Human Interface Technology Laboratory (HITLab) dell’Università di Washington, i ricercatori Hunter Hoffman and David Patterson svilupparono un’App game-based di engagement del paziente affetto da dolore,che si chiama “Snow World”. L’applicazione Snow World, che oggi chiameremmo di applied game, era progettata come un ambiente digitale in grafica 3D che permetteva al paziente di lanciare delle palle di neve nella dimensione immersiva virtuale, mentre veniva trasportato in un ambiente artico.
In uno studio pionieristico svolto tra il 2016 e 2017 presso il Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles, sono state somministrate a pazienti ospedalizzati, 21 differenti esperienze di VR (simulazioni di volo, giochi, ambienti rilassanti, etc.) e queste sono state confrontate con esperienze somministrate ad un gruppo di controllo e consistenti nella visione – attraverso monitor TV -, di video per il rilassamento guidato (come la lettura di poesie, etc.). In maniera sorprendente, i punteggi nella scala di valutazione del dolore scendevano sensibilmente – e quindi erano migliori -, nei soggetti a cui era somministrata VR rispetto al gruppo di controllo con programma di rilassamento TV. Gli effetti positivi della sessione VR si presentavano già all’inizio dell’esperienza immersiva e si mantenevano ancora dopo 48-78 ore dalla stessa.
Gli effetti positivi della VR sono paragonabili a quelli ottenuti con una dose media di farmaci oppiacei, senza però avere rischi di effetti avversi né le comuni controindicazioni all’uso di questi farmaci.
Sono ormai numerosi gli studi e le ricerche scientifiche che dimostrano come la riduzione del dolore tramite App di VR siano una pratica destinata a diventare parte integrativa della comune pratica clinica ospedaliera, ambulatoriale e di cure domiciliari.
Tra le varie tecniche già oggi disponibili, in via esemplificativa menzioniamo la VHRD (Virtual Reality Hypnosis Distraction), che è una modalità antalgica che sfrutta soluzioni tecnologiche mirate ad alleviare il dolore attraverso tecniche di distrazione da quella particolare attenzione al dolore che abbiamo sottolineato come un marcatore centrale nella fisiologia e patologia del dolore stesso. Grazie ad una serie controllata di esperienze immersive di VR, ricche di stimoli cognitivi multisensoriali, si induce il rilassamento del paziente attraverso uno shift attentivo che contribuisce ad aumentare la resistenza al dolore ed offre effetti sia immediati che a lungo termine; tale approccio in integrazione con trattamenti farmacologici e di neuromodulazione antalgica potrebbe aiutare al ri-editing delle esperienze dolorose.

Annarita Palumbo, architetto, CEO Simplycity srl, esperta in ciberspazi.