Sei turbata, mia cara, dal multiforme miscuglio
dei fiori che s’affollano in tutto il giardino;
[…]
simili tutte le forme, nessuna è identica all’altra;
in coro ti preannunciano una legge segreta,
un sacro enigma. Potessi, gentile amica,
dartene sul momento felicemente la chiave!
Goethe, 1798 – Die metamorphose der pflanzen
Qual è la forma dell’acqua?
E qual è la forma della vita?
Perché gli animali e le piante hanno certe forme e quei colori?
Perché la mosca non è un cavallo?
Perché non abbiamo mai trovato Pegaso, sirene, unicorni e angeli ?
E perché non abbiamo mai trovato farfalle a sei ali, scolopendre a sei zampe e sanguisughe a trentasei segmenti corporei?
E perché invece possiamo trovare gemelli siamesi, vitelli a due teste e moscerini con quattro ali?
Perché le biomolecole son proprio così e non prendono invece le infinite forme di caleidoscopiche chimere?

In Biologia, il darwinismo costituisce ancora oggi l’indiscussa Teoria di riferimento, tant’è che un illustre biologo ha affermato che nulla avrebbe senso in biologia fuori dalla cornice dell’evoluzionismo darwiniano.
Eppure, a ben guardare, il darwinismo è un modello di riferimento utile ed efficace, ma che non riesce a raccontare tutta la Storia dell’esistente, sia esso nato (in forma semplice o già complessa) o sia esso creato (in forma semplice o già complessa) e poi – più o meno casualmente o teleologicamente -, evolutosi (da una forma semplice a tante sempre più complesse) attraverso una continua lotta per l’esistenza.
La teoria di Charles Darwin (1809-1882), basata sul ‘gioco’ di caso e necessità che determinano le regole e le mosse sia per l’origine ed evoluzione delle specie per selezione naturale, sia per lo svolgimento – attraverso una cronologia “eonica” – della lotta per la sopravvivenza (struggle for life) che tende a perpetuare mediante il <<possente principio dell’ereditarietà, ciascuna varietà, selezionata in via naturale>> (Darwin, 1859), è una delle teorie scientifiche più largamente e lungamente modificate e adattate, da quando fu per la prima volta concepita dal suo scopritore/inventore intorno al 1831 (spedizione naturalistica di Darwin nel secondo viaggio del HMS Beagle), e poi dallo stesso proposta al collega Lyell nel 1842, e infine pubblicata nel 1859.
A tracciare le rotte delle modifiche al darwinismo non fu Darwin stesso, ma le generazioni di scienziati che ormai dal 1800 stanno cercando di tenere in vita un modello che a suo tempo fu rivoluzionario (addirittura blasfemo per qualcuno!), efficace ed efficiente nella spiegazione di molti fenomeni del vivente, ma che certamente non è esaustivo né inattaccabile dalla scienza stessa.
È per tale motivo che, sebbene ancora oggi si ritenga dai più che senza darwinismo non possa esistere una coerente Teoria inerente alla Biologia della Vita, nel campo della biologia evolutiva dello sviluppo, il darwinismo classico è ritenuto una parte storicamente interessante ma ormai superata dalla scienza.
Infatti, solo per accennare a uno degli ultimi paradigmi sviluppati dalla scienza, per mantenere il modello darwiniano coerente con le nuove conoscenze biologiche, citiamo l’approccio di Biologia Evolutiva dello Sviluppo Evo-Devo (Evolutionary Developmental Biology).
Evo-Devo è un approccio concettualmente nuovo della ricerca biologica, che cerca di spiegare come dalle molecole si possa giungere agli organismi.

Il modello Evo-Devo ha conquistato gli specialisti e attratto il grande pubblico grazie alla sua capacità di indagare in maniera più compiuta molti fenomeni biologici, a qualsiasi livello di organizzazione del vivente: da quello molecolare a quello cellulare, da quello organismico a quello di popolazione, dallo sviluppo embrionale alla vita adulta alla senescenza, dai processi fisiologici a quelli patologici.
Sebbene gli interessanti sviluppi di Evo-Devo siano in grado di spiegare in maniera più compiuta e inclusiva molte manifestazioni del vivente, mantenendosi sempre fermamente ancorato nell’alveo del darwinismo imperante, ancora il modello manca di compiutezza e assoluta coerenza rispetto alla spiegazione dei fenomeni biologici.
Perciò, già da alcuni decenni, una piccola comunità di curiosi ricercatori si chiedono se il darwinismo sia una teoria scientifica o non piuttosto un credo!
Mentre il mainstream scientifico segue il ‘comandamento’ di Feodor Dobžanskij, che affermò che «niente in biologia ha un senso se non nella prospettiva evolutiva», alcuni prestigiosi scienziati (Estetica e scienze della vita, 2013), vedono un approccio più innovativo e promettente alla Biologia grazie all’utilizzo del concetto di morfospazio applicato allo studio dei fenomeni dell’esistente in generale e della vita in particolare.
In Italia, il professore di Genetica Giuseppe Sermonti (1925-2018), biologo e saggista di fama internazionale (autore di ricerche d’avanguardia nel campo della genetica di microrganismi industriali, vice-presidente del XIV Congresso Internazionale di Genetica del 1980; Presidente della Commissione Internazionale per la Genetica dei Microrganismi Industriali; laureato in Scienze Biologiche all’Università di Roma e in Scienze Agrarie all’Università di Pisa), divenne noto per la sua critica al darwinismo ingenuo e al totalitarismo della scienza ideologizzata.
Molto seguito dal pubblico, come un corpo estraneo o un agente patogeno, fu invece rigettato dal suo ambiente accademico.
Sermonti è stato uno dei rari esempi di scienziato che ha cercato nella Scienza del Morfospazio un superamento alle importanti questioni biologiche irrisolte dal dominante modello evoluzionistico darwiniano.
Giovanni Monastra (02.10.1999) intitolò un proprio articolo: ”Politica, bio-business e scienza: il caso italiano di Giuseppe Sermonti fra studiosi darwiniani e non-darwiniani”.
Lì, si ricorda come per sue critiche scientifiche al mainstream e a causa delle sue posizioni anti-darwiniane, G. Sermonti – già docente universitario a Palermo e poi a Perugia -, non si sarebbe guadagnato la ormai prossima cattedra romana.
Potremmo vedere G. Sermonti come la moderna vittima di una Nuova Inquisizione accademica e scientifica, che manda ad un rogo metaforico quanti – pur rimanendo nell’ambito della Scienza -, dissentono dal pensiero unico o dominante.
Eppure, oggi più che mai si sente l’eco del pensiero di G. Sermonti; una eco che nasce dall’invito accorato e deciso di un ricercatore di scienza e uomo di cultura umanistica e etica, all’esodo dalla forma mentis di quel tipo di scienziato in carriera, trincerato nella comoda autoreferenza del mondo dei suoi pari, che rischia di trasformarsi in una pericolosa creatura ibrida; uno scienziato-chimera con la forma a più teste (quella di un tecnico, di un uomo d’affari, di un sacerdote e di un poliziotto) che come moderno Cerbero difende e presiede all’ingresso e alla permanenza in un mondo in cui l’ordine imperante rischia di interrompere il progresso della scienza e dell’umanità.
Il Nobel per la Medicina Peter Brian Medawar affermò che «per un biologo l’alternativa a non pensare in termini evolutivi è non pensare affatto».
Ma l’evoluzione ed il pensiero sono come il dio Proteo, che possono assumere tante forme.
Il morfospazio è un campo semantico fertile pronto ad accogliere una nuova e complessa forma di pensiero scientifico e di ricerca biologica.
Proprio come le teorie della relatività di Albert Einstein (1879-1955) ampliarono il respiro e corressero la rotta delle concezioni di spazio e gravità di Isaac Newton (1642-1726), così una nuova e compiuta teoria del morfospazio può tenere in vita quanto di valido della teoria evoluzionistica di Darwin, lasciando però campo alla possibilità di comprensione di fenomeni della vita che oggi richiedono spiegazioni ad hoc e dove le note leggi dell’evoluzione e della selezione naturale risultano inadeguate.
Spingendosi ancora oltre, utilizzando per il fenomeno della vita i modelli fisici della teoria quantistica dei campi, si può già prevedere l’evoluzione del morfospazio in una teoria dei campi morfogenici o morfici affrontati in chiave strettamente scientifica.
In questo filone epistemologico, nuovo e antico insieme, proprio il concetto di forma diventa centrale in un tipo di pensare scientifico che approccia il biologico attraverso la categoria del morfospazio della vita e dei campi morfogenetici biologici.
L’approccio morfologico alla biologia non è nuovo ma piuttosto a lungo trascurato.
Intesa come studio della forma animale, la morfologia risale già ad Aristotele che nel De partibus animalium già accennava ad un tema centrale per la ricerca morfologica, che è quello della distinzione tra caratteri omologhi e caratteri analoghi.
Lo studio biologico moderno sulla forma delle piante e degli animali trae le proprie origini nel 1776, dagli studi di storia naturale sulla morfologia di Johann Wolfgang Goethe, che cercava il typus (“tipo”) universale nel mondo vegetale e in quello animale, alla stregua di <<un filo rosso comune attraverso il labirinto delle forme>>.
Nella storia del pensiero umano, forma e funzione hanno a lungo rappresentato i termini oppositivi di un binomio antitetico.
Anche in biologia, la forma e la funzione sono sempre state due ontologie centrali ma in contrapposizione.
Per i sostenitori della forma, è la stessa a determinare la funzione; per i sostenitori della funzione è la finalità funzionale stessa a premere sulla forma
Oggi possiamo pensare al morfospazio della vita come a un campo di forze in cui il biologico si trasforma (cambia forma) esplorando tutte le dimensioni che gli sono permesse dalla propria natura fisica, sotto la pressione di forze di vario genere; in tale campo di forze, forma e la funzione si inseguono come poli entangled di un binomio ricorsivo nella dialettica evolutiva della vita.
Allora, quando delle infinite ipotetiche possibili ricombinazioni matematiche di caratteri biologici non si trova traccia nel vivente o nella storia dell’estinto, o quando di due o più ipotetiche forme di vita macroscopicamente molto simili tra loro se ne manifesta in natura di un solo tipo o di un ristretto tipo, non è affatto scontato che l’assenza stia lì a rappresentare la prova di una selezione naturale operata sugli assenti. Piuttosto, le assenze – così come le presenze -, di caratteri biologici e di organismi viventi possono stare lì a rappresentare l’esistenza di vincoli (certamente ad oggi in gran parte sconosciuti) di vario genere che dettano al campo della vita quali forme possono esistere e quali invece no. Di tali vincoli, che per usare una terminologia alla René Guénon (1886-1951), potremmo denominare condizioni dell’esistenza corporea, possiamo annoverare una serie di vincoli antropici, quali: le leggi fisiche che operano nella nostra porzione di universo, le leggi chimiche che operano in questo stesso luogo “riccioli d’oro” dell’universo, così come vincoli emergenti da questi due livelli più basilari, e che possono essere di natura genetica, filogenetica, ontogenetica, epigenetica, storica, culturale, strutturale, meccanica, etc.
In tal senso, come scriveva nel 2007 il filosofo e ricercatore Jerry Fodor (1935-2017), non è necessario giustificare la mancanza di maiali con le ali con una selezione negativa di esistiti e disfunzionali maiali con le ali, quando invece basta pensare che <<Semplicemente , i maiali non hanno le ali perché non c’è posto per le ali sul loro corpo>>.
In definitiva, ciò significa che alcuni vincoli di natura fisicalista determinano quali forme possono esistere e quali no, in un determinato periodo storico, sulla nostra Terra.
Come le molecole di H2O che su questa Terra possono assumere circa 250 differenti conformazioni, e come l’acqua che può assumere le forme dei contenitori in cui fluisce e risiede, così le biomolecole e la vita, possono assumere le forme dettate dal campo di morfogenesi con cui interagiscono.
Il biologo e zoologo italiano Alessandro Minelli (1948), nel suo approccio Evo-Devo alla biologia evolutiva, sottolinea come l’attenzione della ricerca e degli scienziati dovrebbe rivolgersi nell’indagare i <<confini tra le forme possibili e le forme impossibili>>, perché <<le forme dei viventi non si fanno e disfanno a capriccio>> (Forme del divenire, 2007).
Tali forme della vita sono tante, innumerevoli, ma non infinite; le forme non sono tutte compatibili con la vita, a differenza di quanto annotava Darwin in chiusura a L’origine della specie, quando affermava che le forme animali che si sono evolute sul nostro pianeta sono “infinite e bellissime”.
I vincoli fisicalisti fanno sì che il campo dell’immaginabile, quello del possibile e quello del reale non siano isomorfici e co-estesi.
Una delle forme più riuscite e valide di catalogazione del vivente, può essere attribuita a Linneo.

Il sistema di classificazione degli organismi, introdotto da Linneo (Carl von Linn,1735) e ancora oggi valido, raggruppa gli organismi in base alle similitudini e quindi in base a criteri morfologici. Le nuove acquisizioni di genomica degli organismi stanno consentendo di rivedere questo ancor valido metodo di classificazione (basato sul criterio definitorio inaugurato da Aristotele e semplificabile nel motto “genere prossimo e differenza specifica”), integrandolo con dati di similitudine genetica che tracciano storie filogenetiche del vivente.
Ciascun essere vivente appartiene ad un determinato Dominio, Regno, Phylum, Classe, Ordine, Genere e Specie.
Se assimiliamo questo modello di classificazione biologica di un organismo (che viene in modo definitorio confrontato ad altri organismi per stabilire differenze nella forma macroscopica o microscopica), al modello fisico della meccanica statistica e della termodinamica (dove vengono definiti differenti gradi di entropia di diversi sistemi, confrontando gli stati termodinamici dei sistemi in esame), potremmo anche in biologia differenziare i macrostati e i microstati di un sistema.
Così, ad un livello macroscopico come quello della vista umana, due uomini (specie: Homo sapiens) ci appaiono della stessa specie, mentre un uomo e un cane (specie: canis lupus) ci appaiono di differenti specie; se invece passiamo a più approfondite e dettagliate indagini (per esempio, mediante un estensivo sequenziamento genetico), allora, anche due organismi differenti ma della stessa specie – o anche uno stesso organismo analizzato in due tempi differenti di vita -, ci appariranno differenti. Quindi: ad un livello di analisi di Microstati, i due sistemi -che come Macrostati ci apparivano uguali -, saranno invece differenti!
Un tale approccio, oltre che conoscitivamente interessante, appare oggi sempre più necessario in campi come la medicina; basti pensare alle implicazioni che i polimorfismi e le mutazioni geniche possono avere a livello di predisposizione a malattie e a livello di risposta ai trattamenti medici (Medicina predittiva e Medicina di precisione).
Goethe conosceva e apprezzava l’opera di Linneo, ma durante il suo Viaggio in Italia, il 26 settembre 1786, venne attratto dall’antico Orto botanico della città universitaria di Padova, e qui iniziò la sua critica alla costruzione di Linneo, che aveva tirato su una struttura dettagliata ma la cui perfezione nascondeva un allontanamento dalla realtà delle cose fisiche.
Per Goethe, il Systema Naturae di Linneo, con le sue descrizioni codificate, aveva usurpato il posto al giardino vivente!
Lo scienziato e poeta romantico sentì con forza l’astrazione della classificazione linneiana del vivente ed in risposta propone la riscoperta delle piante dal vivo e immerse nel loro specifico ambiente.
Lo scienziato e poeta, in qualità di uomo universale, distingue tra pianta descritta attraverso un codice artificiale e pianta osservata in soggettiva.
Sente che sostare nel giardino gli consente di guardare e pensare alle varietà vitali in un modo più originale; è la sua scoperta della <<varietà che mi viene incontro sempre nuova>> (Viaggio in Italia).
Sente di essere sulla soglia di un nuovo modo di guardare le cose, ma <<A questo punto della mia filosofia botanica mi sono arenato, e non vedo ancora in che modo districarmi. E’ un problema che mi appare non meno profondo che vasto>>.
Affronterà questo tema in articoli scientifici, ma paradossalmente riuscirà ad essere più chiaro scrivendo in versi. La sua riesce ad essere una poesia didattica, magnificamente e magistralmente condotta sul doppio livello dell’arte e della trattazione scientifica.
Il segno poetico viene piegato alle necessità della scienza. Allo stesso modo in cui la matematica e la fisica hanno piegato i segni astratti alla descrizione delle geometrie e delle forme del reale, del possibile e dell’immaginario.
Solo ora si può guardare il giardino variopinto senza turbamento, perchè ogni pianta annuncia
leggi eterne a chi la osserva ed ogni fiore parla sempre più chiaro.
Come il bruco esita sbirciando il mondo e la farfalla si affretta affaccendata, così l’uomo deve
saper trasformare interiormente la stabilità della forma.

Beniamino Casale, responsabile IPAS Terapie Molecolari e Immunologiche in Oncologia – AO dei Colli – Ospedale Monaldi.