La grande fuga
1859, Isole Pontine, Carcere di Santo Stefano: Luigi Settembrini, patriota, letterato, liberale, che era stato uno dei Capi dei Moti napoletani del 1848 contro il Re Ferdinando II di Borbone, marcisce da otto anni in quel penitenziario, insieme ad altri patrioti.
Il 1848 è stato chiamato la Primavera dei popoli, poiché in tutta Europa ci fu una sollevazione contro i regimi assolutisti come Francia, Austria ecc. che in Italia erano rappresentati fra gli altri dal Regno borbonico.
Un movimento così rivoluzionario per indicare un fenomeno sconvolgente, al punto che ancora oggi si dice: è successo il 48.
Dopo una prima fase in cui Ferdinando II di Borbone concesse la Costituzione, aprendo così alle richieste dei Liberali, il Re successivamente rinnegò l’impegno e passò alla repressione nei confronti dei Patrioti.
Settembrini, il più autorevole rappresentante dei gruppi che sognavano l’Unità d’Italia, fu condannato a morte per la sua attiva partecipazione ai Moti insieme ad altri due, ma per un caso curioso ne fu mandato a morte uno solo. Il fatto andò così: il Re dispose di concedere la Grazia (senza conoscere i nomi dei condannati) alla metà dei destinati alla forca. Se, ad esempio, erano otto, la grazia era per quattro, ma nel caso di Settembrini il numero di questi era dispari, erano in tre! Il procuratore generale, quindi, non potendo dividere in due un altro condannato, decise di far giustiziare quello che aveva riportato il maggior numero di voti di colpevolezza da parte dei giudici nella sentenza di morte (sei su otto) e questi non era Settembrini, la cui condanna fu commutata nell’ergastolo da scontare nel carcere di Santo Stefano.

I detenuti venivano sottoposti a un regime inumano che aveva sollevato le proteste dell’opinione pubblica europea, scandalizzata dal trattamento carcerario nei confronti dei patrioti.
I simpatizzanti della causa libertaria napoletana, sostenuti dall’appoggio di Governi stranieri come quello inglese, tentarono di organizzare l’evasione dei patrioti: la prima volta fu Carlo Pisacane a proporla, ma Settembrini la rifiutò perché insieme ai liberali sarebbero fuggiti anche delinquenti comuni, ladri e assassini, e non voleva che la causa italiana fosse infangata dalla liberazione anche di delinquenti senza scrupoli e dignità.
I messaggi che uscivano dal carcere per raggiungere gli amici dei carcerati venivano scritti con inchiostro simpatico o con frasi che corrispondevano ad un codice segreto.
Un piano successivo fu elaborato nel 1855, quando una nave forse al comando di Garibaldi si sarebbe avvicinata all’isola segnalando la presenza con una fiamma bianca e i prigionieri si sarebbero fatti trovare sulla spiaggia. Il piano non riuscì: attesero giorni, ma il veliero non arrivò perché il vascello inglese che era stato noleggiato per la fuga naufragò durante il viaggio.
E dovettero passare altri quattro anni senza speranze fin quando Ferdinando II, pressato dall’opinione pubblica europea e da Stati alleati, che denunciavano il trattamento persecutorio nei confronti dei patrioti detenuti a Santo Stefano, decise non di scarcerarli ma di esiliarli nella lontana America.
I patrioti furono imbarcati sulla nave Stromboli scortata da una fregata militare, la Fieramosca, che dopo più di venti giorni raggiunse Cadice in Spagna, dove sarebbero stati trasferiti su un piroscafo americano, noleggiato dai Borbone, per portarli verso la nuova destinazione.
A bordo erano saliti 66 patrioti che dovevano affrontare un lungo viaggio di 40/50 giorni in condizioni igieniche precarie con il rischio di fare naufragio nello sterminato Oceano.
Mentre a Napoli si svolgevano le operazioni per la partenza, in Inghilterra un Capitano della Marina inglese si presentava alla Società di Navigazione Peninsular and North Africa Company a Londra per avere un imbarco su qualche vapore diretto alle Isole Canarie, seguendo la rotta Lisbona-Cadice-Tenerife e ritorno: poiché l’ufficiale aveva mostrato la regolarità dei suoi documenti e la sua patente di navigazione, venne assunto e si imbarcò sulla nave.
Arrivato a Lisbona l’ufficiale lasciò il vapore per raggiungere Cadice via terra dicendo che si sarebbe fatto trovare lì, alla banchina, ma arrivato nella città andalusa sua unica preoccupazione fu quella di correre subito al porto dove erano alla fonda la Stromboli e la Fieramosca. Aveva letto sui giornali inglesi della partenza degli esuli da Napoli e quando le vide in porto tirò un sospiro di sollievo: era arrivato in tempo.
Il Capitano è italiano e si avvicina alla Fieramosca, sale a bordo, mostra i documenti e chiede di parlare con il prigioniero Settembrini. Il Comandante fa calare in acqua una lancia che va a prelevare l’esule e questi incontra l’ufficiale inglese: appena lo vede lo riconosce subito ed emette un grido di gioia: Raffaele!, è suo figlio Raffaele che non vede da quasi dieci anni, e che era un ragazzo quando lo arrestarono strappandolo alla famiglia.
Raffaele in quegli anni aveva partecipato, diciottenne, con i Piemontesi alla guerra di Crimea, dopo di che si era arruolato nella Marina genovese, passando poi al servizio della Marina britannica come Ufficiale.
Padre e figlio si abbracciano parlando di ideali e famiglia e si lasciano con la promessa di incontrarsi a New York da dove poi avrebbero cercato di tornare insieme in Inghilterra.
Fra le lacrime di commozione, Raffaele sussurra in orecchio al padre Tu non andrai in America e se ne va.
Con la gioia nel cuore per l’incontro con il figlio ed ormai rassegnato al suo destino, Settembrini non dà importanza alle parole di Raffaele e, purtroppo, New York lo aspetta, quindi ritorna sulla Stromboli.
Qualche giorno dopo i patrioti vengono trasferiti sulla nave americana e partono scortati dalla fregata borbonica, che prende a rimorchio il vapore americano per accompagnarlo verso l’Oceano.

La penisola iberica è alle spalle e gli esuli pensano al viaggio che devono affrontare, pericoloso e in condizioni difficili a bordo, fra sudiciume, fetore, vomito, galline, tacchini, polli, che costituiscono il cibo per il viaggio: sulla nave sono 66 patrioti più gli uomini di equipaggio. La ciurma della nave è composta da pochi marinai, che non parlano italiano, e da un gruppetto raccogliticcio di personale reclutato a Cadice per servire a bordo e per fare le pulizie in considerazione dell’alto numero di imbarcati.
Il vapore è già in navigazione nell’Atlantico, quando un cameriere, vestito modestamente e con un vassoio in mano si avvicina a Settembrini e gli dice: Non parlate e sarete ben servito, il cuore gli balza in gola, è la voce di Raffaele, che sotto falso nome e travestito, è riuscito ad imbarcarsi.
La notizia viene appresa anche dagli altri patrioti e si elabora un piano per impedire alla nave di andare in America, appena la Fieramosca mollerà il rimorchio ed invertirà la rotta per tornare a Napoli.
Arrivata nel vasto Oceano la fregata borbonica esaurisce il suo compito, lascia il mercantile americano solo nell’Atlantico e torna indietro, ormai il problema degli esuli deportati non è più un problema del Re di Napoli.
Scomparsa all’orizzonte la nave militare, Raffaele subito entra in azione: riprende la sua divisa di Ufficiale della Marina inglese e si presenta al Capitano della nave, imponendogli di dirigersi verso l’Inghilterra. Il Capitano rifiuta perché per fare questo occorre che lo paghino, il vapore è stato noleggiato dal console napoletano a New York che dovrà dargli il resto della somma ricevuta in anticipo e lui non vuole perdere i soldi del noleggio dovutogli. Ma denaro gli esuli non ne hanno.
Raffaele decide, allora, l’azione temeraria: l’equipaggio è formato da pochi uomini fra cui però due neri giganteschi contro i quali combattere, ma convince questi due a passare dalla sua parte, promettendo loro la libertà appena arrivati in Inghilterra. Spalleggiato dai patrioti (sono tanti di più degli uomini dell’equipaggio) e con quattro pistole che aveva portato con sé, spaventò il Comandante della nave che si decise a dirigersi verso le isole britanniche, arrivando finalmente in Irlanda: i deportati dopo tanti anni di sofferenza erano finalmente liberi, accolti con manifestazioni festose da parte dei simpatizzanti della causa italiana, ammirati per l’impresa romanzesca di Raffaele, che aveva mantenuto la promessa fatta al padre: Tu in America non ci andrai.

Sergio Giaquinto, Giurista, già Dirigente Amministrativo della A.O. dei Colli, cultore di Storia e Archeologia.