di Antonio Del Sorbo
La Medicina Narrativa è la tappa della visita medica in cui trova la massima espressione la comunicazione con il paziente, ed è un momento fatto soprattutto di relazione e calore umano, non solo di servizi e prestazioni. Visitare il paziente vuol dire innanzitutto conoscere la persona sofferente che abbiamo di fronte. È un’operazione più lunga e complessa rispetto a quella di attribuire un nome alla combinazione di sintomi che si porta in ambulatorio. In questa fase della visita, oltre agli aspetti patologici, assume un ruolo centrale l’individuo e il suo vissuto di malattia. Quando, a parità di sintomi, una stessa molecola ha azioni diverse su persone diverse, siamo di fronte all’universo soggettivo dell’essere umano, individuo unico e irripetibile.
In oltre 20 anni di professione medica ho notato che i miei pazienti hanno tra loro solo una cosa in comune: essere ognuno straordinariamente diverso dagli altri. E questo lo vedo ogni giorno, quando all’azione oggettiva di un farmaco o di un protocollo segue una reazione soggettiva da parte di ciascun paziente.
La Medicina Narrativa è anche nota come slow medicine, un ponte di connessione tra la medicina oggettiva, basata sui dati statistici, e la medicina soggettiva, basata sulle storie individuali delle singole persone. La Medicina Narrativa non è una medicina alternativa, in quanto già presente in qualsiasi visita medica. Anzi, rappresenta il modo con cui abbiamo fatto Medicina da sempre e che oggi, tra nuove tecnologie e obblighi burocratici che sottraggono tempo alla relazione umana, purtroppo rischiamo di dimenticare. La visita medica non è solo un atto tecnico, è innanzitutto una relazione umana, motivo per cui dobbiamo prestare attenzione anche alla qualità della relazione di Cura. Con noi il paziente si apre al racconto spontaneo della sua esperienza di malato, rivelandoci a volte preziosi frammenti narrativi e diagnostici difficilmente recuperabili nel corso di una sbrigativa visita di pochi minuti.

Ascoltando la pelle,
di Antonio Del Sorbo
edito da Macro Edizioni, 2018
Nel mio lavoro mi trovo ogni giorno ad ascoltare i pazienti, alcuni dei quali sentono il bisogno di confidarmi pezzi importanti della loro vita privata che magari non hanno mai detto a nessuno. Quando, durante la visita, i pazienti riportano ritagli dettagliati della loro vita privata, è perché li ritengono significativi, e come medici abbiamo il dovere di onorare le loro storie. Se da un lato il medico è un esperto di biologia del corpo umano, dall’altro il paziente va considerato come il massimo esperto di biografia della sua vita. Ascoltare il paziente è fondamentale perché solo lui possiede la verità su se stesso, e bisogna dargli la possibilità di esprimerla. Aiutare una persona a uscire da uno stato di sofferenza rappresenta molto più che applicare alla lettera un protocollo identico per gruppi di pazienti, poiché il disagio è sempre qualcosa di individuale e soggettivo. Non sempre basta proporre una nuova pillola o l’ennesima crema, soprattutto con il paziente cronico recidivante. Per stare meglio alcune persone hanno bisogno di spiegazioni, comprensione, empatia, speranza e aspettativa terapeutica all’interno di un sano rapporto medico-paziente basato su stima e fiducia reciproche. Da medici, dovremmo ricordare che non curiamo solo le malattie, ma soprattutto le persone che per esse soffrono. Comunicare con il paziente non vuol dire solo osservarlo, interrogarlo o informarlo. Comunicare con il paziente vuol dire soprattutto entrare in relazione con lui e creare un clima di apertura, serenità, reciprocità e fiducia, utile anche in termini di adesione alla terapia, la cosiddetta compliance. Nella relazione medico-paziente la comunicazione è fondamentale. È un po’ come nel rapporto di coppia: se manca la comunicazione manca tutto, e la relazione va in tilt. Il fallimento di una relazione è quasi sempre il fallimento di una comunicazione. Al momento della visita medica l’approccio narrativo completa l’anamnesi e rafforza l’alleanza terapeutica con il paziente, che sarà incline a iniziare o proseguire un’eventuale terapia farmacologica. Prima di prescrivere un farmaco occorre ricostruire un clima di accoglienza e sicurezza intorno al paziente, in cui possa liberamente esprimere tutti i suoi dubbi. La qualità di una visita medica non può essere quantificata in termini di tempo bensì di ascolto, tatto, calore umano, disponibilità, buonsenso e volontà che l’altro stia bene. Con il paziente di fronte occorre passare dal curare al prendersi cura, e a tal proposito riporto una bellissima frase tratta dal film sulla vita del medico statunitense Patch Adams: Quando curiamo una malattia possiamo vincere o perdere. Quando ci prendiamo cura di una persona vinciamo sempre.
Nell’arte medica la fase narrativa è forse l’elemento meno scientifico, ma è probabilmente quello più vicina al paziente, ai suoi dubbi, alle sue paure, a eventuali cause dei suoi disagi, e talora persino a qualche possibile via d’uscita. Nel mio lavoro noto ogni giorno che, di fronte a problemi di breve durata come tigna o herpes, i tempi di visita non sono particolarmente lunghi poiché dopo qualche settimana di terapia le manifestazioni cutanee rientrano e possiamo considerarci soddisfatti. Il problema si presenta quando entriamo nell’enigmatico mondo del paziente cronico recidivante. Anche qui siamo di fronte a manifestazioni cutanee facilmente riconoscibili, e prescrivere una terapia appropriata richiede di solito pochi secondi. Questo tipo di visita esige più tempo e più tatto, perché oltre alla dermatite il paziente porta con sé tanti dubbi, tra visite già effettuate, farmaci già praticati e continue recidive malgrado le corrette terapie. Questo tempo aggiuntivo che più o meno consapevolmente trascorriamo con lui è ciò che intendo per Medicina Narrativa, e comprende anche l’arte medica di trasformare le preoccupazioni del paziente in spiegazioni e, quando possibile, in coraggio e ottimismo. Questa è la vera differenza tra il nostro lavoro e quello del dottor Internet. Scrivere una ricetta medica è facile, parlare con chi soffre è molto più difficile.
Riporto volentieri una frase di Umberto Veronesi: Bisogna tornare alla Medicina della persona. Per curare qualcuno dobbiamo sapere chi è, che cosa pensa, che progetti ha, per che cosa gioisce e soffre. Dobbiamo far parlare il paziente della sua vita, non dei suoi disturbi. Oggi le cure sono fatte con un manuale di cemento armato: Lei ha questo, faccia questo; ha quest’altro, prenda quest’altro. Ma questo non è curare. Ascoltare è la prima cura.
In Medicina la qualità della comunicazione è importante non solo tra medico e paziente ma anche tra i diversi operatori della Salute, perché una medicina integrata unisce e non divide i diversi punti di vista. La Medicina Narrativa rappresenta il lato umano della Medicina, ed è forse il motivo per cui molti di noi hanno scelto di esercitare proprio questa professione e non un’altra. Sembra strano parlare di valori umani oggi, nell’era della tecnologia e della salute digitale, epoca in cui bastano pochi click per erogare un servizio sanitario senza sprecare tempo prezioso con i bisogni arcaici dell’essere umano, come essere compresi o ascoltati. L’intelligenza artificiale è entrata a far parte della nostra vita quotidiana da almeno un decennio, e comprende l’insieme delle tecnologie che consentono a un dispositivo elettronico di svolgere compiti e ragionamenti complessi tipici della mente umana. Attualmente le intelligenze artificiali hanno raggiunto una tale evoluzione tecnologica da apportare un valido aiuto anche in Medicina, e sono già una realtà concreta. Come nel caso dell’ospedale californiano che ha arruolato nel proprio team l’infermiera virtuale Molly. Il software si relaziona con i pazienti in maniera gentile, disponibile e professionale, riducendo il numero di telefonate giornaliere tra pazienti e medici. Un altro esempio virtuoso è Watson, l’unità di intelligenza artificiale prodotta da IBM e in grado di rispondere a quesiti medici espressi nel linguaggio naturale. Tra le ultime novità in Medicina ci sono anche i chatbot, macchine empatiche per uomini che non lo sono più.
Il paradosso è che di artificiale le macchine non hanno solo l’intelligenza ma persino capacità assistenziali come gentilezza, pazienza, flessibilità, conforto ed empatia, le stesse che l’uomo sta dimenticando. All’alba della Rivoluzione digitale della salute occorre riumanizzare la Sanità ed evitare una deriva consumistica della Medicina, rendendola alla stregua di un distributore automatico di prestazioni e servizi. Il ritorno a una Medicina più umana, fatta di persone e non solo di casi clinici, sarà la vera grande sfida del futuro, in quanto restituirà a ogni cittadino la propria dignità di fronte alla sofferenza. (articolo tratto dal libro Ascoltando la pelle – Antonio del Sorbo – Macro Edizioni, 2018)

Antonio Del Sorbo, Dermatologo, dottore di ricerca in dermatologia sperimentale, scrittore