La morte di bacio
ovvero
dell’alchimia dell’empatia nell’amore
<<Che mi bacie col bacio de sua bocca, Perché col suo ferire Un troppo crudo amor mi fa languire;
da altri è chiamata sonno, dove dice il Salmista: S’avverrà, ch’io dia sonno a gli occhi miei, E le palpebre mie dormitaransi, Arrò ‘n colui pacifico riposo.
Dice, dunque, cossì l’alma, come languida per esser morta in sé, e viva ne l’oggetto: Abbiate cura, o furiosi, al core; Ché tropp’il mio, da me fatto lontano, Condotto in crud’e dispietata mano, Lieto soggiorn’ove si spasma e muore. Co i pensier mel richiamo a tutte l’ore; Ed ei rubello, qual girfalco insano, Non più conosce quell’amica mano, Onde, per non tornar, è uscito fore. Bella fera, ch’in pene Tante contenti, il cor, spirto, alma annodi Con tue punte, tuoi vampi e tue catene, De sguardi, accenti e modi; Quel che languisc’ed arde, e non riviene, Chi fia che saldi, refrigere e snodi?
Ivi l’anima dolente non già per vera discontentezza, ma con affetto di certo amoroso martìre parla come drizzando il suo sermone a gli similmente appassionati: come se non a felice suo grado abbia donato congedo al core, che corre dove non può arrivare, si stende dove non può giongere, e vuol abbracciare quel che non può comprendere; e con ciò perché in vano s’allontane da lei, mai sempre più e più va accendendosi verso l’infinito
Giordano Bruno
Da Medico che ama l’Ematologia, mi sono imbattuto nella filematologia!
Quale sorpresa nello scoprire che si tratta di una scienza con cui forse tutti gli esseri umani son venuti in contatto!
Eh, sì, perché chi quel contatto non lo ha avuto – almeno nei suoi primi giorni di vita – o è morto abbandonato o è morto dentro, forse per sempre…
Il bacio è studiato dalla scienza ma praticato universalmente…
Il bacio è una magia naturale che si attua attraverso il ponte dei neuroni specchio, e che mette in azione quella complessa cosa che conosciamo come empatia; quella Carneade che Ugo Foscolo – precorrendo con l’intuito poetico una dimostrazione scientifica in ritardo di secoli – chiamò <<corrispondenza di amorosi sensi>>.
Il bambino riceve i suoi primi baci dalla mamma.
Li porterà sempre dentro di sé, non dimenticati né giammai scordati!
È quella, la vera prima comunione della nostra vita religiosa: è l’incontrarsi col viso e il seno della mamma. E quell’incontro è reciproco: infatti la mamma riceve dei baci nuovi dal suo bambino, rimanendone tatuata per sempre, indelebilmente! Se guardassimo una risonanza magnetica di una interazione madre-figlio attraverso un normale bacio, scopriremmo che quel bacio attiva un ponte relazionale di risonanza potentissimo, una reazione emotiva simmetrica che comunemente (perché comunque Medea docet… e non si può mai generalizzare) genera effetti benefici per entrambi; il bacio funge da mezzo di contatto in cui ciascuno dei due impara a conoscere se stesso mentre riconosce l’altro: è una musica d’orchestra quell’empatia che si accorda tra due esseri in risonanza d’amore attraverso il bacio.
Poi, ci sono anche i baci dei padri… quelli che tutti i figli dimenticano ma che non scordano (perché aveva ragione Pascal, che il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce…).
Poi, ci sono i baci degli amanti: quelli di cui son piene le strade affollate degli innamorati, son stracolmi i letti, i libri, le poesie, i bordelli e Dio solo sa cos’altro…; sono quei baci che magari non si dimenticano ma che quasi sempre si scordano!
Poi, ancora, ci sono tanti altri tipi di bacio, e tra questi, tanti sono quelli dei giochi sociali; sono quei baci sinceri o manipolatori, che dovrebbero essere studiati da quelli che si occupano di Teoria matematica dei Giochi, perché sono da tutti più o meno praticati; sono quelli che spesso reggono le fondamenta delle comunità sociali in cui viviamo.

Ma infine, c’è il mio bacio preferito…
C’è un bacio di cui quasi nessuno parla, perché in pochissimi lo conoscono: è quel bacio che porta il <<sonno dell’anima>> dopo il furore eroico della scalata impossibile e assurda (assurdità nel senso esistenzialista del termine) alla conoscenza di sé, degli altri e del mondo.
È la mors osculi o morte di bacio…
Lì, nel bacio vi è pienezza e annullamento; vi è annientamento dell’individualità volta a ricomprendersi nell’altro e nell’altro divenire altro Uno, grazie all’amore.
È una morte metaforica o reale «che procede da somma gioia»: la morte dell’anima <<baciata>> dall’amore.
L’Amore/Eros per sua stessa essenza è desiderio di ciò di cui è mancanza, tensione verso ciò da cui si è separati, nostalgia della Monade e di unione nell’Uno. Esso rappresenta una forza essenzialmente mediatrice e dinamica, che riconnette l’Uno attraverso l’unione dell’assoluto con il relativo, del vuoto col pieno, del singolo col tutto.
Giordano Bruno ben conosceva la morte per bacio: infatti, il Nolano, ricollegandosi all’umanista e filosofo Pico della Mirandola, e riprendendo la tradizione dei kabbalisti e degli alchimisti, descrive «la morte de l’anima, che da cabalisti è chiamata morte di bacio, figurata nella Cantica di Salomone»

La riflessione del Nolano sulla morte di bacio si ricollega alla sua riflessione sull’amore e sulla conoscenza dell’assoluto, e ha radici platoniche che conferiscono al sentimento erotico un valore conoscitivo fondamentale: grazie all’amore il soggetto può trascendere la quotidianità per accedere alla conoscenza dell’assoluto.
In Giordano Bruno, l’esperienza del furioso è una caccia sofianica che si muove completamente e senza possibilità di trascenderlo, all’interno del nostro mondo, fatto di conoscenza umbratile; il moto d’amore per la conoscenza del Tutto: Uno inizia dal riconoscimento dell’ombra come traccia e giunge alla visione della natura intera come simulacro del divino, esplicazione libera e necessaria dell’ineffabile.
L’uomo legato a preoccupazioni e desideri quotidiani, non riesce più a vedere coscientemente e pienamente il fondamento della vita; invece, l’eroe furioso che «ritiresi quanto può all’unità, contrahasi il più possibile in se stesso» – rivolgendo l’attenzione verso l’interno di sé, può distaccarsi dalle cure materiali quel tanto da accogliere «le freccie de Diana o di Febo», ovvero quella Pathei Mathos (conoscenza attraverso il patire) che è l’unica seppur umbratile luce di conoscenza accessibile all’uomo in questa forma di esistenza.
Il furioso eroe del Nolano vede l’Anfitrite, «il fonte de tutti numeri, de tutte specie, de tutte raggioni, che è la Monade, vera essenza de l’essere de tutti; e se non la vede in sua essenza, in absoluta luce, la vede nella sua genitura che gli è simile, che è la sua immagine: perchè dalla monade che è la divinitade, procede questa monade che è la natura, l’universo, il mondo; dove si contempla e specchia come il sole nella luna».

La caccia sofianica e teofanica del furente, in un moto circolare e ricorsivo, consente all’immanenza di sfumare nella trascendenza, e identifica la trasformazione che avviene nel soggetto contemplante, per cui egli diventa un tutt’uno con l’oggetto di contemplazione.
Giordano Bruno rifacendosi alla cabalistica e all’esoterismo, chiama «morte dell’anima» questo moto di identificazione del soggetto nell’oggetto amato; simbolicamente lo rappresenta con il dilaniamento del cacciatore Atteone ad opera dei suoi cani, che gli si rivoltano contro, non riconoscendo più nell’eroe trasfigurato dall’amore il proprio padrone ma piuttosto l’ambita preda per cui era iniziata l’ambiziosa caccia.
Atteone, per giungere alla visione di Diana, deve iniziaticamente distaccarsi dai «lacci delle cure» (la volontà legata agli oggetti materiali) e avvincere la propria stessa anima ai più alti pensieri, sicché l’anima stessa «all’ora vinta dagli alti pensieri, come morta al corpo, aspira ad alto».
Bruno indica col termine morte il distacco dai richiami sensuali e dalle affezioni ad essi legate. Atteone, dilaniato dai propri cani «qua finisce la sua vita secondo il mondo pazzo, sensuale, cieco e fantastico; e comincia a vivere intellettualmente: vive vita di dèi, pascesi di ambrosia et inebriasi di nettare».
La trasfigurazione del sé sensuale è indicata dal Nolano con una figura tratta dal platonismo e dalla tradizione sapienziale d’ispirazione mesopotamica ed ebraica: la morte di bacio.
Ne Gli Eroici Furori, la morte per bacio, è un atto non solo contemplativo ma anche incarnato, nel quale il soggetto amante intrattiene con l’oggetto amato una relazione unificante e trasfigurante che annulla nell’unità dell’essere la distinzione tra soggetto e oggetto.

Questo atto di pienezza conoscitiva è il raggiungimento di una condizione di identità tra soggetto osservatore e oggetto contemplato; è un contatto in cui il soggetto viene meno a sé stesso per vivere nel suo oggetto: «la morte dell’anima, che da Cabalisti è chiamata ‘morte di bacio’ […] da altri è chiamata ‘sonno’ […] per esser morta in sé e viva nell’oggetto».
Attraverso l’estasi eroica/erotica del furioso/furente bruniano, si spezza la separazione tra il sé/soggetto e l’altro/oggetto; il soggetto ha una passionale rivelazione di consustanzialità con il mondo amato: nella visione di Diana – ovvero nell’esperienza anamorfica del tralucere del divino nella vita del mondo -, l’eroe furente giunge alla consapevolezza che quella stessa «anima di tutte le anime», oltre che formare e vivificare la natura, forma e vivifica lui stesso.
Atteone, nel trasformarsi in cervo e quindi in preda per i suoi stessi cani, scopre che la via della conoscenza ultima non consiste in un moto di allontanamento verso realtà esteriori al sé, ma piuttosto in un raccoglimento in se stesso, nello sforzo tensivo e doloroso di trovare il contatto e l’identità con l’Uno/Tutto nel profondo della propria anima.
Il Nolano vede Diana come Anfitrite (sposa di Poseidone e regina del mare), simbolo dell’Uno/Tutto, della divinità tutta in tutto, «fonte di tutti numeri, de tutte specie, de tutte ragioni […] vera essenza de l’essere de tutti».
Accostare Diana a Anfitrite consente al Bruno di chiarire le implicazioni dell’esperienza mistica di Atteone: il gran cacciatore, nella contemplazione della natura come unità della vita universale, conquista la rivelazione che dietro l’apparenza della frammentazione nella molteplicità vi è una sola infinita anima, che tutto abita e tutto forma dall’interno, compreso lo stesso Atteone.

Anfitrite che come Oceano unico pur contiene tutte le gocce d’acqua, è la «vera essenza dell’essere di tutti», è quell’anima delle anime che il filosofo/eroe deve cercare all’interno di sé; nel profondo di sé, c’è la traccia di tutto quell’infinito oceano da cui l’io individuale e tutte le cose che ad esso appaiono come gocce, hanno avuto origine, e a cui le cose tutte, secondo la ruota e la scala delle metamorfosi, come gocce, si ricongiungeranno.
La morte di bacio, culmine della caccia eroica/erotica, rappresenta quell’attimo fuggente nella metamorfosi infinita delle forme, in cui il soggetto, in un moto dettato da eros/amore, si fa uno con ciò che di più profondo c’è in sé e nel mondo; cerca un moto di scarto per sottrarsi a sé medesimo, e immergendosi nella propria più profonda essenza «perde l’esser suo non altrimente che una stilla d’acqua che svanisce nel mare».
È questa la via estatica erotica, che a differenza di quella mistica non rifugge né disdegna il corpo, ma piuttosto libera il soggetto dai vincoli materici proprio attraverso il corpo stesso.
Giordano Bruno così descrive l’esperienza del furioso: «Rarissimi, dico, son gli Atteoni alli quali sia dato dal destino di posser contemplar la Diana ignuda, e dovenir a tale che dalla bella disposizione del corpo della natura invaghiti in tanto, e scorti da que’ doi lumi del gemino splendor de divina bontà e bellezza, vegnano trasformati in cervio, per quanto non siano piú cacciatori ma caccia. Perché il fine ultimo e finale di questa venazione è de venire allo acquisto di quella fugace e selvaggia preda, per cui il predator dovegna preda, il cacciator doventi caccia; perché in tutte le altre specie di venaggione che si fa de cose particolari, il cacciatore viene a cattivare a sé l’altre cose, assorbendo quelle con la bocca de l’intelligenza propria; ma in quella divina ed universale viene talmente ad apprendere che resta necessariamente ancora compreso, assorbito, unito».
La verità cercata dal Nolano non si lascia catturare concettualmente: è un pathei mathos che richiede quello che le neuroscienze moderne chiamano mente incarnata; l’eroe furente apprende col proprio corpo verità che l’intelletto da solo non potrebbe acquisire né spiegare da solo.
Per il Bruno la riuscita dell’impresa eroica dipende dall’essere capaci di riconoscere, nell’apparenza della separazione e frammentazione delle gocce oceaniche, l’unità dell’oceano stesso che si comunica «tutto in tutto».

La strada analitica e scientifica percorsa dell’intelletto dev’essere direzionata dalla forza dell’amore; infatti solo questa passione dell’anima rende perseverante e tenace la volontà, che diviene così in grado di spingersi oltre ogni sofferenza della ricerca e oltre lo scacco della comprensione; punta la tensione del soggetto verso l’unità, anche quando l’apparenza sensibile indica separazioni e differenze.
Questa caccia iniziatica richiede però un sacrificio: l’individualità del soggetto e di «tutte le altre specie di venaggione che si fa de cose particolari».
Nella ricerca dell’oggetto divino e universale, il cacciatore viene talmente ad apprendere che resta necessariamente ancora compreso, assorbito, unito. La forza unificante dell’amore, che fa conoscere uguagliando a ciò che viene conosciuto, può realizzare la propria caccia soltanto includendo il soggetto nell’unità pensata, assorbendolo in essa: «vedere la divinità è l’esser visto da quella», annullare la propria identità nell’unità assoluta dell’altro e del mondo.
Giordano Bruno descrive questa caccia guidata dall’amore come la disponibilità alla realizzazione di un sacrificio assoluto e cruento, che coinvolge completamente l’individuo/soggetto fino ad annullarlo nell’altro/oggetto, e richiede dal soggetto stesso la disponibilità a un’intensa sofferenza fisica, emotiva e intellettuale; richiede un amore per l’altro che sia superiore all’amore di sé.
L’uomo può avvicinarsi a tale conoscenza d’amore solo se saprà abbandonare la filautia e tutto quanto lo trattiene dall’aspirazione all’unità con l’oggetto d’amore.
L’eroe furioso pronto a morire in bacio, è in grado di abbandonare la cura del corpo, la conservazione dell’equilibrio, ogni cura che non sia l’altro amato.
Si tratta di una forma di conoscenza incarnata che richiede forza, coraggio, disponibilità al cambiamento e accettazione delle trasformazioni che lasciano intravedere i moti che dalla molteplicità conducono all’unità, e dall’unità alla molteplicità.
Il soggetto che vuole conoscere l’oggetto del proprio amore deve farsi carico della sofferenza dell’abbandono del locus della propria anima e deve perigliosamente esporre la propria filautia alla trasformazione, alla morte e alla rinascita, in un movimento che non va dalla sofferenza a una definitiva liberazione nella beatitudine, nella pace e nella serenità, bensì in un vortice predestinato di ricadute dall’unità nella molteplicità, dal raccoglimento nella dispersione, dall’entusiasmo alla disperazione.

Il furore del Bruno non è un raptus improvviso d’illuminazione ma è la scelta di preferire la dignità dello sforzo alla lassità asinina; è il sacrificio, è la tensione continua – drammatica e instancabile -, verso il compimento di ciò che di divino c’è nell’uomo.
Nella morte in bacio, l’amore, che «la cosa amata converte nell’amante» è un fuoco «potente a convertere tutti quell’altri semplici e composti in se stesso».
Come il fuoco, esso illumina ma trasforma anche: distrugge la forma dell’individualità nell’unità e nella forza della fiamma.
Il furioso che punta di conquistare una forma più profonda di felicità e di esistenza non è proteso verso l’autoconservazione ed è perfettamente consapevole del carattere doloroso e distruttivo del suo amore assoluto per l’oggetto del suo amore; affronta coscientemente il «periglio della morte» che la sua caccia comporta.
La caccia amorosa del furioso, che procede assimilandosi per gradi all’unità del bene amato, è una morte continua e progressiva.
L’amore del furioso è un progressivo morire: più l’oggetto desiderato è amato, meno vive il soggetto nelle altre cose, fino al momento della morte di bacio, nel quale il soggetto muore anche in se stesso, per vivere completamente nell’oggetto.

Beniamino Casale, responsabile IPAS Terapie Molecolari e Immunologiche in Oncologia – AO dei Colli – Ospedale Monaldi.