La musica e le canzoni a Napoli: connubio di arte, socialità, integrazione e appartenenza.

Napoli è mare, Vesuvio, arte, colori, cultura, vita, pizza, cielo… e canzoni, talmente tante canzoni da poter affermare che la Partenopea sia la sola grande città del mondo a possedere un proprio genere musicale.

La musica a Napoli nasce con Napoli… forse addirittura prima di Napoli, per divenirne, poi, binomio indissolubile; l’origine della città, in una prospettiva mitologica, è strettamente legata all’esistenza della sirena Partenope, famosa per il suo canto melodioso, seducente e bellissimo: il corpo sinuoso della sirena riposa sull’isolotto di Megaride, dove maestoso si erge Castel dell’Ovo e dove fu costruito il primo nucleo cittadino di Partenope.

Nei canti, nel ritmo, nelle melodie napoletane si ritrovano le caratteristiche musicali delle diverse popolazioni che hanno abitato, attraversato, popolato la città: Napoli, città accogliente anche nei confronti della musica, ha saputo assorbire le diverse sonorità dei popoli ospiti, adattandole e conformandole alla sua cultura.

Nel 1200, l’ Imperatore svevo Federico II, lo stupor mundi, con l’istituzione dell’Università federiciana, chiamò a Napoli cantori ed artisti da tutta Europa, dando inizio, storicamente, alla tradizione e all’origine della canzone napoletana.

Nel 1400  Alfonso D’Aragona, capostipite del ramo aragonese a Napoli, innalzò il dialetto napoletano a lingua del Regno: sonetti e cantate allietavano i ceti sociali più elevati, mentre il popolo continuava a intonare versi spontanei e improvvisati che lo accompagnavano durante la giornata.

Nel 1500 sorsero in città quattro Conservatori, con i quali la tradizione musicale locale ebbe notevole impulso; nel secolo successivo, periodo storico buio, durante il quale la città fu messa a dura prova dall’eruzione del Vesuvio nel 1631 e  della peste nel 1656, nacque il madrigale, sonetto d’amore e di galanteria.

Il 1700 fu il secolo di musicisti del calibro di Alessandro Scarlatti, Domenico Cimarosa, Francesco Durante; caratteristica principale dei canti di quegli anni furono l’originalità e la spontaneità dei musici ambulanti che si esibivano improvvisando sonorità e testi.

Il 7 settembre 1835, tal Raffaele Sacco, ottico di Spaccanapoli, compose una canzone che divenne un successo e che, ancor oggi, rappresenta il passaggio dalla canzone popolare alla canzone d’autore: Te voglio bene assaje.

Il 1900 è il secolo di Malafemmena, Core ‘ngrato, ‘o surdat ‘nnammurato, Tammurriata, ‘o sarracino: racconti delle brutture della guerra, ma anche di sentimenti e voglia di rinascita.

Negli anni più recenti del secolo scorso, è nato lo stile neomelodico: riconosciuto a tutti gli effetti come stile musicale partenopeo, numerosi sono gli artisti che continuano a presentarlo con successo sul palco, tra i quali Gigi D’Alessio, Nino D’Angelo, Gigi Finizio, Andrea Sannino.

I cantanti che hanno portato Napoli e la sua musica in giro per il mondo sono numerosi, distribuiti in epoche storiche diverse, e vale la pena citarne qualcuno: Mario Merola, Roberto Murolo, Massimo Ranieri, Franco Ricciardi, Aurelio Fierro, Peppino di Capri, Pino Daniele, Gianni Nazzaro, Enrico Caruso, Teresa De Sio, Eduardo De Crescenzo, Edoardo Bennato, Enzo Avitabile ed altri ancora ed ancora altri.

La musica e il canto, a Napoli, accompagnano non solo i momenti più difficili o più entusiasmanti che la città attraversa, ma anche le attività del quotidiano vivere, come accadeva nel 1300, quando le Fate del Vomero, donne molto belle e seducenti, attiravano le attenzioni degli uomini con il belcanto e, al contempo, scandivano il tempo e si tenevano compagnia durante il loro lavoro di lavandaie.

Nella città all’ombra del Vesuvio, la musica è simbolo di unione, aggregazione, legame, appartenenza: pensiamo, anzi ri-pensiamo, per un attimo, al canto che nei mesi più bui della pandemia si è all’improvviso alzato forte e spontaneo dai balconi delle case o, di contro, ai cori allegri e spensierati che hanno pervaso le strade della città in occasione della vittoria dello scudetto: l’abbraccio virtuale nel quale i napoletani (e a seguire l’Italia intera) si sono stretti, pur restando ognuno sulla propria terrazza, è una delle immagini più forti, potenti e commoventi che il Covid ha lasciato, così come le note sprigionate lo scorso giugno in una piazza del Plebiscito dove l’azzurro non era il colore solo del mare e del cielo, resteranno per sempre colonna sonora di una città festante ed orgogliosa.

A Napoli la musica è espressione di vitalità, gioia, sconcerto, rinascita, sconfitta, delusione, ripresa, stupore, confusione…

A Napoli, la musica, ha mille sfumature, come mille sono anche le sfumature della città, come mille e forse di più sono le sfumature della vita…

A Napoli si canta sempre, si canta pure quando, per gli estranei alla cultura partenopea, non ci sarebbe alcun motivo per cantare.

Si canta e si suona a tutte le ore… al sorgere del sole o quando è alto nel cielo e quando inizia la sua discesa verso il mare…

E la notte, si, la notte, quando il suono signorile ed intimo di un violino pervade l’aria celebrando il ricordo di un soldato innamorato, la sirena Partenope si desta dal suo sonno millenario e volge lo sguardo seducente e inebriante verso la costa per ammirare la città che le ha dato prestigio e fama e alla quale lei stessa, si continua a narrare, ha in qualche modo dato origine e vita…

E l’aria, mentre le note del violino si fanno via via più lontane ed eteree, si inebria e si riempie delle parole di una canzone che di Napoli raccontano l’essenza:

e intanto qualcuno, dai vicoli alle colline, dal lungomare agli scogli, o volgendo lo sguardo a una Fenestella ‘e Marechiaro, si unisce, grato, al coro e canta, canta la vita.

Rosa Maria Bevilacqua Sociologa A.O.R.N. “San Giuseppe Moscati” Avellino Docente Corsi di Laurea Professioni Sanitarie Università della Campania Luigi Vanvitelli Master in Medical Humanities perfezionamento in Malattie Rare e in Bioetica.

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