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La professione medica tra benessere del corpo e dell’anima

Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro: di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona cui con costante impegno scientifico, culturale e sociale ispirerò ogni mio atto professionale; di perseguire con la persona assistita una relazione di cura fondata sulla fiducia e sul rispetto dei valori e dei diritti di ciascuno e su un’informazione, preliminare al consenso, comprensibile e completa.

(tratto dal Giuramento di Ippocrate, 430 a.C.)

La professione medica, intesa come svolgimento di una missione, è un’alchimia, un insieme di scienze umane, filosofiche e scientifiche: il medico deve capire prima di tutto la situazione interiore del suo assistito, il suo vissuto sociale, e poi la sua patologia; deve avvicinarsi al paziente nel modo più adatto a quel paziente, perché ogni paziente è un caso unico e diverso dagli altri, anche se la patologia è la stessa.

Con il medico, i pazienti spesso si pongono con riverenza e malcelato imbarazzo.

Soprattutto in tempi recenti, il professionista della salute è inoltre divenuto bersaglio di diffide e denunce, spesso ingiustificate, assurde e finalizzate a trasformare la rabbia per la perdita di una persona cara in fonte di guadagno e profitto.

La comunicazione tra il curante e il paziente non sempre è agevole: talvolta infatti, a causa di un linguaggio troppo tecnico da parte dei medici o impreciso da parte dei pazienti, diventa difficile la comprensione tra i due interlocutori.

Il medico deve considerare il suo assistito prima come uomo, quasi sempre impaurito, nervoso o abbattuto, e dopo come malato. Deve sempre e in ogni caso ricordare che la vita, fino al suo ultimo istante, potrebbe vincere sulla morte, anche quando la lotta sembra impari.

Il medico esprime la sua professionalità attraverso il sapere clinico ma anche grazie a umanità e grado di empatia, ossia la capacità d’immedesimarsi nello stato d’animo dell’altro, divenendo così consapevole della condizione emotiva del suo assistito e rendendosi partecipe della stessa. Purtroppo non sempre riuscirà a guarire il corpo, ma spesso sarà possibile alleviarne le sofferenze dedicandosi a esso come se fosse il proprio.

Il paziente ha il diritto di ricevere spiegazioni esaurienti e dettagliate e di conoscere la verità: il medico gli deve chiarimenti che chiede, senza fargli perdere la speranza anche quando la realtà è dolorosa; il paziente ha bisogno di avere un motivo, anche uno solo, per continuare a lottare e ad aspettare il domani.

Il medico deve conoscere la medicina, ma anche saper comprendere il paziente e rispettarne la volontà.(Galeno di Pergamo, medico greco, 129 d.C.)

Il malato terminale deve poter vivere i suo ultimi giorni sostenuto da una persona amica, capace di rendergli più sopportabili le inevitabili sofferenze.

Il malato cronico, insicuro nella sua precaria condizione, ha bisogno di un medico capace di infondergli fiducia e senso di stabilità, ma che sappia anche imporsi, se necessario.

Il malato fragile, bambino, anziano o con più patologie, deve poter contare su un professionista che si faccia comprendere e che non incuta timore.

Laddove c’è un malato, c’è un medico

Laddove c’è un uomo che soffre, ci deve essere un altro uomo che tenti di farlo soffrire di meno.

Il medico si confronta ogni giorno con il dolore, con la rabbia, con la paura, ma spesso incontra anche la gioia, la soddisfazione, il timido e profondo ringraziamento di un paziente che prima pareva non sapesse sorridere. Il medico è protagonista dei suoi successi tutte le volte che può regalare a un paziente almeno la serenità necessaria a fargli affrontare meglio la malattia. Quando le paure dei pazienti divengono timore per lo stesso medico, quando le aspettative dei malati si spengono nella silenziosa certezza della diagnosi, quando la salute sembra superare la malattia o quando purtroppo accade il contrario, essere medico si erge al di sopra del puro accademismo, e il rispetto verso gli altri diviene rispetto verso la vita: medico e uomo si fondono e si confondono in un’unica armonica persona, ed è allora, e solo allora, che il professionista del corpo e dell’anima, ancorato ai suoi principi, può ripensare al Giuramento di Ippocrate e sentirsi fiero e lusingato, anche come uomo, di averlo pronunciato.

Rosa Maria Bevilacqua, Sociologa, A.O.R.N. “San Giuseppe Moscati”- Avellino, Delegata alla Sanità ASI (Associazione Sociologi Italiani)

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