La rappresentazione del dolore nei malati oncologici.
Il dolore per un malato oncologico non è un semplice sintomo.
Diversi studi hanno mostrato che la comparsa del dolore è tra i primi elementi che permettono al paziente di giungere alla diagnosi e seppur ben gestito con un’adeguata terapia antalgica, accompagna il paziente in tutte le fasi della malattia sia esso acuto o cronico.
L’esperienza dolorosa è un evento estremamente intimo, ognuno avverte il dolore in maniera individuale e con la propria soglia di sopportazione.
Esso non è solo tissutale e c’è la necessità di capire come il paziente lo racconti al proprio medico al fine di capire il livello personale di sopportazione, l’accettazione di esso ovvero la rassegnazione allo status quo.
Il paziente durante un colloquio clinico riporta la sua sofferenza creando delle immagini, spesso nefaste o tetre, racconta di sentirsi trapassato da mille spilli, di sentire un formicolio in diverse parti del corpo, di avere una sensazione di malessere e freddo che parte dall’interno.
E non solo.
Può affermare che durante la giornata si sente trafitto da lame, scosse elettriche e spade e chi affetto da dolore cronico rimanda ad immagini di frantumazione interna e nichilistica, ad un dolore pulsante che lo calpesta e gli rende impossibile il movimento e che dall’interno lo schiaccia e immobilizza.
La medicina può ben spiegare che ogni tipo di dolore è causato da un danno celebrale, viscerale o osseo, o dalle controindicazioni delle terapie chemio o radioterapiche ma, nell’immaginario del nostro paziente, il dolore è la rappresentazione che il cancro c’è; che è dentro di lui e che nonostante un’ottima gestione farmacologica e terapeutica, la malattia dà prova della sua esistenza e forza.

Per un paziente affetto da patologia oncologica il nemico non è più esterno, nella sua vita non c’è più solo la paura dell’altro e dell’estraneo, ma il “suo corpo” diventa gestito dall’interno da un nemico.
E le emozioni che scaturiscono dal dolore non sono affatto semplici da elaborare; esse richiamano alla morte, morte lenta e dolorosa.
Lavorando da anni in un reparto pneumoncologico mi rendo conto che molto spesso i pazienti con una lunga diagnosi, abituati ad essere sottoposti ad un controllo diagnostico ogni 8-12 settimane, sono consapevoli che la loro malattia stia progredendo.
Metro di questa autoanalisi è il dolore che compare e ricompare ancora più forte in nuove parti del corpo.
Ma c’è di più.
I pazienti tendono ad anticipare i referti negativi con una premonizione troppo spesso corretta.
Il loro sentire non è una semplice sensazione o sesto senso, ma il dolore che provano li aiuta ad accettare la malattia, a capire la caducità della vita e a superare le fasi psicologiche della diagnosi che sono ben spiegate dal modello di Elizabeth Kluber-Ross come la negazione, la rabbia, il compromesso, la depressone e l’accettazione.
Il malato oncologico spesso accetta e sopporta il suo dolore se supportato dall’amore dei propri cari e tende a gestirlo meglio quando non è solo.
Nell’ultima parte della vita di un ammalato di tumore, il dolore cronico viene accettato anche dai caregivers.
Il dolore acquisisce un senso e un valore: aiuta entrambi a piegarsi ad un dolore.
Per i primi è il preambolo della sofferenza più grande che loro vivranno con la perdita del proprio caro ma allo stesso tempo che metterà fine alla sua afflizione.

Raffaela Cerisoli, Psicologa e dottore di ricerca in Scienze della mente, A.O. dei Colli, Ospedale Monaldi.