La Salute Digitale: oltre le pillole e gli esami diagnostici
Ovvero: della sfida etica delle nuove tecnologie al servizio della salute
Con il supporto scientifico del dr. Beniamino Casale.
Da quando il nostro mondo è piombato nella pandemia da nuovo coronavirus, si sta tanto parlando di Salute Digitale (Digital Health).
C’è una corsa agli strumenti digitali di tele-salute, eppure spesso sembra che con questi stessi non ci siamo allontanati tanto dal telefono: invece che di persona, incontriamo il medico attraverso la messaggistica istantanea di whatsapp, o al più lo vediamo anche e ci parliamo attraverso skype.
Secondo sempre più numerosi studi, questo tipo di contatto medico che prevede una modalità di incontro attraverso interfacce digitali, sembra che sia gradito dai pazienti e spesso anche dai medici.
Eppure, vista così, la Salute Digitale sembra ben poca cosa e potrebbe semplicisticamente essere assimilata alle nuove abitudini di consumo e fruizione emerse nel corso degli ultimi anni, quali lo shopping online e il booking online o a quelle prassi implementate d’emergenza durante la pandemia, quali il telelavoro (smart working) e la didattica a distanza (DAD).

Sebbene il medium di tutti queste attività sia lo stesso, e cioè l’utilizzo di dispositivi e applicazioni digitali, ciascuna di esse detiene delle proprie specificità, peculiarità e valitudini, che riteniamo vadano comprese, valorizzate e preservate per non denaturarle attraverso l’attuale alambicco tecnologico, che tenta l’alchimia delicata di distillare il virtuale dal reale.
Le tecnologie digitali hanno reso possibile e facilmente accessibili attività che hanno consentito alle nostre società di non affondare col piombo pesante e oscuro del covid-19; grazie ad esse, non ci siamo dovuti arrendere inermi al distanziamento sociale imposto dalle normative anti-Covid-19 e dall’esiziale virus, e abbiamo potuto – pur tra mille difficoltà e scarsa performance – proseguire e salvare dal disastro attività sociali essenziali per le nostre complesse comunità: salute, educazione, lavoro, politica, banking, etc.
In ambito medico, le Digital Health hanno permesso ai sistemi sanitari mondiali di non implodere; inoltre, le prassi inaugurate durante la prima ondata pandemica hanno fatto da tratturi per la costruzione di strade maestre su cui ci si potrà muovere in futuro per transitare con alta performance dal reale al virtuale.
È stato così che, in tante parti del mondo e per tanti tipi di patologie, si è potuto monitorare a distanza lo stato di salute e malattia del paziente, senza la necessità che questi si recasse direttamente negli ospedali e presso gli ambulatori medici (che hanno spesso costituito un luogo di cura ma anche di elevato potenziale di pericolo, per la concentrazione di casi di soggetti affetti da covid-19).
Passata la fase emergenziale più critica ed acuta del lockdown, ci si è cominciato a chiedere: <<perché dobbiamo recarci in clinica per essere monitorati con esami che pure sono effettuabili in remoto?>>. <<Perché dobbiamo affrontare viaggi (e a volte si tratta di lunghi viaggi) o assentarci dal lavoro (sia il paziente che il caregiver) o fare lunghe soste nelle sale d’attesa, quando è possibile un teleconsulto o una televisita?>>.
Quindi, in definitiva, perché non rendere effettivi e strutturali i benefici derivabili dall’utilizzo sistematico delle nuove tecnologie digitali al servizio della salute?
Ormai, ciascuno di noi, ogni giorno utilizza una serie di dispositivi digitali che possono essere utili a tracciare attività ed abitudini facilmente associabili o assimilabili alla sfera della salute. Basti pensare all’utilizzo di quello che è ormai un’estensione del nostro corpo – lo smartphone -, per tracciare i nostri movimenti e tragitti quotidiani e le nostre attività vitali, o all’utilizzo dei tanti dispositivi elettronici indossabili, che catturano in formato digitale dati utili o pertinenti al nostro stato di attività, di salute e malattia.

Si prevede che nei prossimi anni il maggior trend nella e-health (salute elettronica) sarà l’utilizzo di dati digitali catturati dai dispositivi tecnologici, e relativi alla salute di ciascuno di noi; si tratterà di dati peculiari, perché generati dai cittadini e di proprietà degli stessi.
Si prevede che per il 2030 i consumatori dell’industria della Salute Digitale supereranno la spesa del trilione di dollari, nell’utilizzare i nuovi prodotti digitali, quali i dispositivi indossabili per il tracciamento di dati relativi alla salute.
In previsione di ciò, grandi e piccoli players si sono messi in moto per seguire il flusso o meglio la grande marea dell’economia generata dall’e-health.
Uno dei nobili obiettivi dichiarati, da tali forze imprenditoriali scese in campo, riguarda la possibilità di empowering del paziente; cioè della possibilità da parte del paziente stesso di potenziare le proprie risorse di conoscenza e azione al servizio della propria salute, sì da divenire parte proattiva del processo di salute e cura. Concetti come selfcare potrebbero così fare l’ingresso ufficiale nel campo della sanità e salute.
In tante parti del mondo, importante big pharma hanno iniziato a lavorare con importanti players del digitale, con l’intento di fotografare lo stato dell’arte in ambito di Sanità Digitale, e di comprendere e provare a dirigere le rotte di navigazione verso il Nuovo Mondo delle Digital Health.
Esse si chiedono: <<cosa dovrà accadere per accelerare l’adozione di strumenti e tecnologie al servizio della Salute Digitale?>>. E ancora: <<quali sono le azioni e gli interventi possibili ed idonei affinché la Salute Digitale assuma la struttura desiderata?>>.
Si parla di nomi importanti e di primo piano nell’industria internazionale del farmaco e in quella del digitale e dei nuovi media; il loro lavoro congiunto mira d identificare se e come le diverse Nazioni utilizzino le Digital Health e se sia possibile accelerare l’adozione di strumenti elettronici in grado di catturare dati di salute digitale, di registrarli in supporti elettronici di registrazione di dati digitali (EHR – Electronic Health Records), di renderli disponibili all’uso da parte dei teams di cura, di integrare questi dati in più ampie reti e pathway di cura, e di rendere interoperabili sistemi che si occupino di differenti domini di cura e salute.
Sembrano tutti utili e nobili obiettivi!
Se in passato le industrie del farmaco hanno lavorato per rendere disponibile ai medici farmaci e soluzioni tecniche al servizio dei pazienti, oggi la loro nuova sfida può essere quella di lavorare con i medici per rendere disponibili le soluzioni ai pazienti. Soluzioni a problemi di salute che spesso non sono neppure percepiti dalle persone.
Il discorso è ampio e solo apparentemente semplice!
Esistono ormai strumenti digitali che opportunamente sviluppati e utilizzati possono essere messi al servizio della salute e della medicina.
In tanti ambiti diversi dalla medicina tali strumenti ed applicazioni digitali sono utilizzati ampiamente anche in luoghi a non elevato sviluppo tecnologico, e man mano che la semplicità d’uso avanza, possono essere sempre più utilizzati da chiunque, senza le barriere legate al digital divide.
Ad esempio: oggi è ormai normale che a qualunque età e con qualsiasi grado di istruzione, in quasi ogni posto del mondo si sappiano usare Fb e Google o altri social media e motori di ricerca internet; oggi è ormai normale che dall’America, all’Europa, all’Africa, all’Asia, tantissime persone utilizzano i mobile phones per il banking ed il trasferimento di moneta.
Allora, ci si chiede: <<perché non si dovrebbero utilizzare gli stessi strumenti anche per la raccolta la memorizzazione ed il trasferimento di dati relativi a quello che è l’asset più importante per ciascuno di noi: la salute?>>.
Infatti, sarà a breve disponibile la possibilità per le persone di raccogliere importanti informazioni in formato digitale, con cui potenzialmente potranno gestire propriamente la loro stessa salute, grazie all’utilizzo di app appositamente sviluppate!

Chi svilupperà queste app? quali saranno gli obiettivi di salute integrati negli algoritmi con cui lavoreranno queste app?
Chi veglierà affinché questa potente forza in corsa abbia a cuore la salute e non interessi di altro genere, economici e di potere?
Avremo garanzie di salvaguardia da insidiose forme di educazione alla salute e di educazione medica massificata, tenendoci debitamente alla larga dal disease mongering (Lynn Payer, 1992) o mercificazione della malattia?
Riusciremo ad arginare lo tsunami dei moderni Metodici che riterranno nuovamente possibile una teorizzazione della medicina estremamente semplicistica ed alla portata di tutti?
Da millenni l’arte medica si è cimentata con la questione etica della scienza e del sapere a favore del malato; la Medicina si è sviluppata come la prima professione ove il bene dell’altro (il paziente) primeggiava rispetto a quello proprio del medico stesso.
Già con Ippocrate e Galeno si era sistematizzata un‘ars medica basata, tra l’altro, sulla diffusione responsabile del sapere, sull’amore per il sapere e la ricerca scientifica, sull’impegno a favore della vita, sul senso del proprio limite, sulla rettitudine e segreto professionale.

Dobbiamo sforzarci affinché i nuovi players che scendono sulla scena della salute digitale non estromettano né intacchino i valori etici ed il know-how etico-filosofico (oltre che scientifico) di millenni di tradizione che la medicina ha messo al servizio dei pazienti e delle comunità umane. I nuovi Big Players sono spesso imprese for profit e che quindi hanno un dichiarato e legittimo interesse economico nelle proprie attività, ma a cui si dovrà chiedere con forza e determinazione di stare in campo accanto ai medici ed ai pazienti e cittadini, con la capacità di coniugare all’interesse economico, le necessarie azioni etiche e di bene sociale appannaggio della cultura medica.
Dovrà essere valorizzata l’umanizzazione delle cure attraverso le Digital Humanities; già Ippocrate esaltava il dialogo tra medico e paziente: «se ti udrà un medico di schiavi, ti rimprovererà: “Ma così tu rendi medico il tuo paziente!” proprio così dovrà dirti, se sei un bravo medico»; noi, oggi dobbiamo rendere possibile trasportare ed imprimere negli algoritmi, nelle app e negli strumenti della sanità elettronica – ed in tutte le azioni messe in campo per sviluppare e attuare l’e-health -, le necessità più autentiche di cittadini e pazienti proattivi, critici e formati, più che semplicemente informati.
Riteniamo che tutto ciò potrà essere realizzabile solo attraverso un pensiero sistemico ed etico fondato sul modello del Think globally, Act locally (“Pensa globale ed Agisci locale”) dove le imprese ad alto potenziale tecnologico che sviluppano tecnologie per la salute, crescano in incubatori che valorizzano la più sana cultura medica e alla salute e che una volta sul mercato, inglobino nei propri specifici team di lavoro, anche esperti di etica, filosofia e scienze sociali ed umane, e che tengano sempre aperti i canali di dialogo e confronto con la società civile e con le comunità locali in cui operano.

Annarita Palumbo, architetto esperta in ciberspazi.