La schiavitù, dai Sumeri ai “Black Holocaust”
…E noi oggi possiamo ritenerci uomini liberi, servi o schiavi?
Il termine «schiavo»
La parola è di origine medievale, da «sclavus», slavo. In latino classico «servus» ed in greco «δοῦλος».
La condizione degli schiavi presso i Sumèri in epoca protodinastica
Così Paolo Matthiae (La Storia, Vol. I, La Biblioteca di Repubblica, pag. 253): “La mano d’opera nei latifondi era fornita in maniera precipua da schiavi, da individui che avevano perso la condizione di liberi per aver contratto debiti, per aver recato danni ad altri senza essere in grado di risarcire, per essere stati venduti spontaneamente dal padre o per essere stati catturati come prigionieri di guerra. Non si hanno notizie di maltrattamenti nei confronti degli schiavi che anzi mantenevano certi diritti di autonomia negli affari, pur versando al padrone una quota fissa. Sembra che i padroni avessero cura della loro educazione allo scopo di una maggiore efficienza. I figli di un genitore schiavo erano liberi come quelli di un qualunque altro genitore e la libertà poteva essere riscattata.”
La condizione degli schiavi presso gli Egizi
Forse sarebbe più corretto parlare di servi, piuttosto che di schiavi. La classe dei servi era costituita dai prigionieri di guerra, che il faraone destinava al lavoro per le opere pubbliche e per i propri domini, ma che concedeva anche al servizio della classe sacerdotale ed a cittadini privati. Poteva anche accadere che venissero arruolati fra le truppe mercenarie. Spesso venivano, con il tempo, liberati. Sembra che godessero di beni propri e che venissero considerati cittadini di diritto.
La condizione degli schiavi presso gli Ebrei
La condizione di maggiore liberalità della società ebraica nei confronti degli schiavi, espressa più volte nella Bibbia, sembrerebbe più formale che sostanziale. La Bibbia ammonisce spesso gli Israeliti a non dimenticare la propria esperienza esilica, riferendosi evidentemente sia a quella egizia sia a quella più tardiva, babilonese. Un’altra motivazione, seppure vi fu effettivamente maggiore indulgenza in Israele per la condizione degli schiavi, può essere ricercata nelle abitudini del nomadismo che solo tardivamente permisero l’evoluzione in sistemi sociali cittadini più aderenti ad una organizzazione sulla base dei modelli schiavistici già esistenti in area mesopotamica ed egizia. E verosimilmente fu proprio l’influsso egizio ad attenuare la legislazione ebraica sulle condizioni degli schiavi in Israele.
Così in proposito A. Donini (Breve storia delle religioni, pag. 149): “Il codice sacerdotale del Levitico, XXV, rielaborato [il testo originario verosimilmente fu redatto dopo l’esilio babilonese] all’alba del II secolo a. C. nel libro della seconda legge mosaica, il Deuteronomio, XV , testimonia di una certa liberalità verso gli schiavi di razza ebraica; ma per gli altri così si esprime: «di schiavi e schiave da tenere a vostro servizio prendetene pure fra le genti che vi circondano o compratene tra le famiglie degli stranieri venuti a stare presso di voi e tra i loro figli, nati e cresciuti nel vostro paese; potrete averli in proprietà perenne e lasciarli in eredità ai vostri figli» (Levitico 25, 44-46). Anche per la Bibbia non era un delitto uccidere uno di questi schiavi, mentre l’assassinio di un uomo libero era punito con la morte, nel caso di uno schiavo era sufficiente offrire al suo legittimo padrone un compenso in denaro […]. L’adulterio commesso da una donna sposata, non schiava, comportava la pena di morte per lapidazione; ma se si trattava di una schiava o di una concubina, tutto si poteva sanare grazie ad un accordo pecuniario con il proprietario […].”
Gli schiavi in Grecia ed a Roma
Così Platone: «gli schiavi sono «strumenti dotati di vita» (Politica II). Così Varrone: «esistono tre categorie di strumenti quelli parlanti (gli schiavi), quelli semiparlanti (i buoi) e quelli muti (gli attrezzi del lavoro)” (A. Donini, Breve storia delle religioni, pag. 172).
Così ancora A. Donini (ibidem, pag. 132): “Ad Atene nel V secolo a. C. si contavano 18 schiavi per ogni cittadino adulto, oltre a 2 di condizione servile: a circa 90.000 liberi, donne e bambini compresi, si contrapponevano già 365.000 schiavi e 45.000 liberti e stranieri senza diritti, i «metechi». Ma un censimento effettuato un secolo dopo (332 a. C.), dava un totale di poco più di 20.000 persone di stato libero […]: tutto il resto della popolazione, quasi mezzo milione di persone, era composto di schiavi o di lavoratori di stato servile. La percentuale sale ancora in epoca ellenistica, sino a raggiungere le cifre più alte tra il II sec. a.C. ed il II d.C. (su 60-70 milioni di abitanti dell’intero mondo mediterraneo non più di 2 milioni, il 3% della popolazione, potevano considerarsi effettivamente liberi).
La condizione degli schiavi dopo l’avvento del cristianesimo
Inizialmente la posizione della chiesa delle origini rispetto alla schiavitù fu abbastanza ambigua. Del resto non ci si poteva attendere che essa, ancora debole ed intesa soprattutto alla sopravvivenza, alle prese con le persecuzioni di cui era oggetto, instaurasse un ulteriore motivo, addirittura rivoluzionario, di contenzioso con lo Stato imperiale. Sappiamo che uno schiavo potette addirittura divenire vescovo di Roma (il liberto Callisto). Poi, una volta divenuta essa stessa potente e vincitrice, l’ambiguità poté scomparire. Già Leone Magno vietava l’elezione di uno schiavo all’episcopato. “La chiesa, essendo divenuta essa stessa la più grande proprietaria di latifondi, invece di combattere questo male capitale dell’economia tardo-antica, lo ha accresciuto ed ha così contribuito in maniera non secondaria all’impoverimento delle masse. Ed in quanto proprietaria di latifondi essa doveva diventare anche, in tutta naturalezza ed in grande stile, padrona di schiavi.” (H. Küng, Cristianesimo, pag. 208)
La schiavitù presso i popoli germanici
Presso le popolazioni germaniche la società era strutturata in uomini liberi, che esercitavano in assemblee sostanzialmente democratiche tutti i poteri; erano presenti anche una sorta di servi della gleba, uomini semiliberi legati all’agricoltura, che comunque non era preminente; infine erano presenti anche schiavi, in genere prigionieri di guerra. La schiavitù era una condizione poco diffusa e verosimilmente transitoria.
Gli schiavi nell’Impero Romano d’Oriente
“Mentre in Occidente, sotto l’influsso germanico, la situazione degli schiavi andò gradualmente migliorando, a Bisanzio la schiavitù è stata mantenuta sino al crollo dell’impero [1453], pur nel quadro di uno stato «cristiano», di una chiesa «cristiana» con un imperatore «cristiano» (H. Küng, ibidem, pag. 208).
Gli schiavi nel Corano
“Noi proponiamo la parabola di uno schiavo, che è cosa posseduta e senza potere, e di un uomo cui abbiamo accordato da parte Nostra un buon sostentamento: sono forse eguali?” (Cor 16, 75)
La schiavitù in Occidente
La schiavitù, nell’Europa dell’Occidente, tardò ad estinguersi e si protrasse sino al Medioevo. Per quanto alla fine del X secolo era stata quasi eliminata (per merito di Carlo Magno e della Chiesa), in realtà il commercio degli schiavi persistette; a Verdun, in Francia sorse il principale mercato, sotto l’egida della monarchia e gestito dagli Ebrei; alla «fabbrica», dove venivano resi eunuchi, giungevano, soprattutto dalla Polonia, schiavi che poi attraverso la Spagna venivano trasferiti in tutti i paesi arabi.
In seguito, nel XVI secolo, la schiavitù è di nuovo comparsa ufficialmente e si protrasse sino al XIX secolo. Alla importazione degli schiavi dalla costa occidentale dell’Africa (la “tratta degli schiavi”, che gli Afroamericani chiamano “Black Holocaust”), oltre il Brasile e il Nordamerica, parteciparono anche Paesi europei (Francia, Olanda, Germania e Inghilterra). Voltaire, ad esempio, fu socio di una compagnia d’importazione francese. Infine la schiavitù fu ufficialmente vietata nel 1807 dal Regno Unito e nel 1808 dagli USA.

Domenico Casale, cardiochirurgo di professione e contadino per passione, esperto di mitologia e testi sacri multiculturali, scrittore.