Uomini e formiche occupano nicchie ecologiche differenti ma hanno approssimativamente la stessa biomassa complessiva. E ciò può essere visto come un segno del successo evolutivo di queste due specie animali.
Esistono circa 2.600 famiglie di insetti ma solo 15 di queste hanno raggiunto un livello di strutturazione tale da poter essere considerate società complesse chiamate superorganismi.
Tra i vertebrati, a parte l’uomo, solo l’eterocefalo glabro(Heterocephalus glaber, una specie di talpa senza pelo, rosa e quasi cieca anche conosciuta come “l’animale più brutto del mondo”) ha sviluppato una forte tendenza all’aggregazione sociale (eusocialità).
Tra gli invertebrati, le formiche, le api e le termiti sono gli esempi più noti di superorganismo.
Come sostengono gli scienziati Hölldobler e Wilson, presso questi prodigiosi insetti eusociali, la divisione del lavoro è tanto rigorosa da non risparmiare neppure la funzione riproduttiva. Infatti, a ben osservare, in una colonia di formiche possiamo facilmente riconoscere: una regina madre, gli inoffensivi maschi addetti all’inseminazione, la casta delle operaie sterili e dedite alla cura della prole regale o quella delle soldatesse impiegate in missioni ad alto rischio. Per spiegare una forma tanto avanzata di cooperazione bisogna ammettere l’esistenza di un effetto coesivo nel gruppo che riesce a superare il contrastante effetto dissolutivo derivante dalla spinta individualistica del singolo (ego) all’interno del gruppo stesso e dei suoi membri (alter); ed è con tale coesione che una colonia diviene, a un livello più alto, un organismo; anzi, un superorganismo.
Un superorganismo si differenzia da un organismo per il fatto che i suoi componenti base sono riconoscibili ad occhio nudo: è come un organismo ingrandito ad una scala di osservazione più grande. Anche la forma complessiva di un organismo – così come si delinea nello spazio-tempo percettivo dell’uomo -, appare molto ben definita per un organismo ed invece molto più fluida ed eterea per un superorganismo, che piuttosto – anziché come entità unica – ci appare come una serie discreta di unità cellulari separate e distinte.

Secondo i micologi e i sociobiologi, il superorganismo è privo di una “testa”; ma nonostante ciò, nel mondo degli insetti eusociali, poche semplici regole reiterate (algoritmi) riescono a garantire il mantenimento di una complessa organizzazione spontanea, che non necessita di una coscienza per apparire intelligente, né tantomeno necessita della conoscenza esplicita di complesse equazioni matematiche che pure emergono dal caos deterministico del funzionamento di una colonia eusociale.
L’idea di una società unita e solidale, sorretta da regole semplici, chiare e rispettate, e dove ciascun ego ha un proprio compito ben definito e dove nulla è lasciato al caso ed al libero arbitrio, ha spesso affascinato e sedotto filosofi e scienziati. Ed è così che gli insetti eusociali sono stati talora presi come modello per l’uomo; ed allora, in maniera talora anche distopica, società evolutivamente lontane dalle nostre sono state assunte come esempio di una organizzazione sociale a cui dovrebbe tendere anche l’uomo nella strutturazione dei propri modelli sociali e di convivenza tra alter ed ego.
Ma piuttosto che addentrarci in questi meandri dai toni orwelliani, noi, qui, vorremmo piuttosto porre l’attenzione su alcuni aspetti che può assumere la convergenza biologica che avviene a differenti stati di organizzazione del vivente: ogni volta che elementi viventi discreti (ego) si organizzano in una complessa rete di interazioni ed interdipendenza reciproca (ego con alter), possiamo riconoscere una struttura connessa e complessa, evidentemente governata da leggi di aggregazione che garantiscono una economia sociale ed una ecologia sociale del complesso stesso, che riesce ad agire come un tutt’uno nell’ambiente in cui è immerso ed in cui cerca di evolvere con successo (fitness landscape).

Chiameremo queste leggi di aggregazione che evidentemente agiscono su alcune specie viventi, e che peraltro sono ancora perlopiù non spiegate dalla scienza, natura sociobiologica di queste stesse specie.
Ed allora, possiamo trovare le stigmate di una natura sociobiologica e di un’ecologia dell’aggregazione interattiva – e quindi di eusocialità – a diversi e crescenti livelli di complessità ed ordini del vivente; così, possiamo individuare un’ecologia dell’aggregazione interattiva tanto a livello cellulare (dove l’aggregazione delle cellule tra loro va a formare un organismo), quanto a livello degli organismi (dove l’aggregazione reciproca va a formare un superorganismo), quanto – e qui il gioco si fa duro per le menti meno aperte alle possibilità dell’essere ed alla creatività del pensiero – al livello di aggregazione di tutto il vivente sulla Terra (dove la Teoria di Gaia postula l’integrazione delle forme organiche ed inorganiche sulla Terra, sì da garantire un unico sistema complesso autoregolato ed in grado di mantenere le condizioni di vita sul nostro pianeta); ancora, qualcuno dalla mente davvero molto creativa, postula che l’Universo intero sia un unico processo evolutivo o una totalità organismica tendente verso un ordine superiore di sintesi (e dove – come già Platone aveva prospettato parlando di un macrocosmo che si presentava come un grande organismo -, l’Universo stesso ha le proprietà di un essere vivente piuttosto che quelle di un meccanismo inanimato).
Potremmo sintetizzare e semplificare dicendo che, in generale, un’entità organismica è caratterizzata da una particolare forma di auto-organizzazione dove componenti e relazioni riproducono costantemente componenti e relazioni (i biologi e filosofi Maturana e Varela definirono autopoiesi tale complessa forma di organizzazione del vivente).
Sebbene il nostro pensiero antropomorfo ci porti erroneamente a pensare che serva un centro di coscienza e di volontà per realizzare un sistema di tal guisa, la cibernetica e la Teoria Matematica dei Giochi ci hanno mostrato che algoritmi autoregolativi e reiterativi possono bastare a creare dinamiche emergenti dal caos e dotate di caratteristiche organismiche evolutivamente stabili.
Seguendo questo filo di Arianna nei labirinti della complessità e delle possibilità, possiamo pensare ad un uomo come ad una colonia di cellule che si è organizzata rispetto all’ambiente (sia interno che esterno), e che si è strutturata in differenti classi, tessuti, organi ed apparati (sì da poter operare una suddivisione regolata e specializzata dei ruoli e del lavoro), e che affida la propria sopravvivenza e quella della propria progenie alla efficacia della comunicazione interattiva tra i membri interni della colonia stessa; e ad un livello esterno di organizzazione, affida la propria sopravvivenza come organismo e quella della propria progenie e quella del proprio gruppo sociale, alla efficacia della comunicazione interattiva con gli altri organismi.
Negli ultimi decenni, l’attenzione della sociobiologia si è fermata ad analizzare le società degli insetti e quelle umane, ed ormai si sono accumulate numerose e valide osservazioni scientifiche che stanno formando solide basi per la formulazione di robuste teorie in grado di spiegare e prevedere comportamenti collettivi.
Cosa accadrebbe se utilizzassimo alcuni degli strumenti e delle teorie sviluppate in ambito sociobiologico ed in ambito dei sistemi adattivi complessi alla “colonia cellulare” che costituisce un individuo umano?
Tanto per cominciare, prenderemmo confidenza col fatto che sebbene ciascuno di noi si sente un preciso centro di coscienza, tanti dei fenomeni biologici che regolano la nostra vita e l’economia comunicativa ed ecologia interattiva delle nostre cellule, hanno una propria capacità di autoregolazione ed autopoiesi che non necessità della coscienza (basti pensare al prosieguo delle attività fisiologiche vitali durante il sonno o durante alterazioni dello stato di coscienza che si hanno per esempio durante un’anestesia generale). Poi, potremmo proseguire col cercare di studiare i traffici comunicativi che avvengono nelle nostre “colonie cellulari” con gli strumenti della semiotica (biosemiotica) ovvero potremmo comprendere come le nostre cellule interpretano e danno senso ai segnali che tra loro si scambiano in condizioni fisiologiche e patologiche.

Potremmo comprendere meglio cosa “significa” quando un virus porta il proprio messaggio alieno all’interno di una “colonia cellulare” umana e come i singoli membri della colonia stessa reagiscano a tale “segno” virale.
Potremmo comprendere meglio cosa “significa” il “messaggio” comunicato da una mutazione cancerosa di un gene che muta e determina la crescita tumorale di una progenie di cellule di un tessuto della colonia; e potremmo comprendere meglio come aiutare il resto della colonia a reagire contro i membri devianti (la sociobiologia ha lungamente affrontato il tema della devianza e della criminologia e le società umane hanno sviluppato articolate forme di “Immunologia Sociale” per cercare di garantire forme di giustizia) piuttosto che cercare di spegnere farmacologicamente la “voce distruttiva” del clone cellulare tumorale. Ed eccoci così a parlare ancora una volta di Anakoinosis (dal greco antico: “comunicazione”), ossia di quel nuovo principio terapeutico in oncologia, che tratta il cancro con i principi derivanti dalla biosemiotica e dalla sociobiologia, correggendo l’equilibrio organizzativo e l’omeostasi dei tessuti utilizzando come messaggi comunicativi alcuni “farmaci” noti per essere portatori di una pragmatica comunicativa che spinge i membri sani della colonia ed i guerrieri della colonia a circoscrivere ed inibire le “fake news” diffuse dalle cellule cancerose.

Beniamino Casale, responsabile IPAS Terapie Molecolari e Immunologiche in Oncologia – AO dei Colli – Ospedale Monaldi.